Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25200 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/12/2016, (ud. 13/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13961-2014 proposto da:

P.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

ALESSANDRO MAGNI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIANLUCA BRASCHI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SANTA CHIARA FIRENZE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo studio dell’avvocato FABIO PULSONI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELLA

RAPONE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 265/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/03/2014 r.g.n. 845/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato MAGNI FRANCESCO ALESSANDRO;

udito l’Avvocato RAPONE RAFFAELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 265/2014, depositata il 6 marzo 2014, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze, riteneva la legittimità del licenziamento intimato il 18 giugno 2014 a P.F., già Direttore Generale di Santa Chiara Firenze S.p.A., per soppressione del posto di lavoro conseguente alla riorganizzazione degli standards operativo-gestionali applicati nel nuovo gruppo di cui la società era entrata a far parte e che prevedevano la sola presenza delle figure del direttore amministrativo e del direttore sanitario.

La Corte osservava che il nuovo assetto organizzativo era stato effettivo, coerente con le discrezionali scelte imprenditoriali e non pretestuoso, in particolare essendo risultata realmente soppressa l’autonoma posizione di direttore generale nel corso del 2004 e ridisegnata con l’assegnazione dei relativi compiti a figure e livelli diversi.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il P. con quattro motivi; la società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con i primi tre motivi il ricorrente, denunciando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale omesso di esaminare e valutare taluni documenti prodotti nel primo grado di giudizio e precisamente: quanto al primo motivo, il verbale di riunione del 17/10/2004 tra la Commissione regionale per l’accreditamento delle strutture sanitarie e lo staff della (OMISSIS) (doc. 17) nonchè i documenti 16, 19, 19/1 e 20; quanto al secondo, gli ordini e le circolari a firma di altra dipendente incaricata di attività gestionale e organizzativa già di competenza del ricorrente o alla stessa indirizzati (ancora documenti 16, 17 e 20); quanto al terzo, l’organigramma della Casa di Cura (doc. 7).

Con il quarto motivo, denunciando la violazione dell’art. 24 Cost. e dei principi del giusto processo (art. 111 Cost.) in coerenza con l’art. 6 CEDU nonchè violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 114 e 115 c.p.c. e difetto di motivazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale trascurato di prendere in considerazione il complessivo materiale di prova acquisito al giudizio e, in particolare, per avere fondato la propria decisione su talune soltanto delle deposizioni assunte, e non anche su altre di segno contrario, e per non avere valutato i documenti già richiamati nei precedenti motivi.

In sostanza, il ricorrente assume che l’esame di questi ultimi, unitamente ad una completa valutazione delle dichiarazioni testimoniali, avrebbe portato a ritenere che la posizione di Direttore Generale della Casa di Cura, già dal medesimo ricoperta, era, in realtà, e diversamente da quanto stabilito dalla Corte, sopravvissuta alla dedotta riorganizzazione aziendale.

I motivi così formulati possono essere esaminati congiuntamente, proponendo, pur sotto profili parzialmente difformi (il 4 rispetto al 1, al 2 e al 3), una comune e unificante critica di cattivo governo del materiale istruttorio.

Ciò posto, si osserva che i motivi in esame non si conformano allo schema normativo del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante dalla modifica introdotta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, pur in presenza di sentenza di appello depositata in data 6/3/2014 e, pertanto, posteriore all’entrata in vigore della novella legislativa (11 settembre 2012).

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054, l’art. 360 c.p.c., n. 5, così come riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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