Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2520 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23427/2016 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VEIO 52/B,

presso lo studio dell’avvocato VALERIA PALOMBO, rappresentato e

difeso dall’avvocato RITA LIMBANIA VALLEBELLA;

– ricorrente –

contro

MEDICAL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

SERGIO PALMAS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 234/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 20/07/2016 r.g.n. 250/2015.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Sassari, con sentenza del 12 novembre 2014, ha respinto la domanda di P.A., già agente della Medical S.p.A. volta al risarcimento del danno che l’agente riteneva di aver subito in relazione al recesso della preponente del 18 febbraio 2010;

che tale recesso, secondo il ricorrente, sarebbe stato effettuato illecitamente come conseguenza ritorsiva al legittimo suo rifiuto di sottoscrivere una lettera di conferimento di agenzia (a condizioni peggiorative rispetto a quelle in corso) e contestuale risoluzione del precedente contratto di agenzia del 31 gennaio 2005, entrambi datati 28 dicembre 2009;

che a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto, concordando con la valutazione espressa in prime cure, che la lettera del 18 febbraio 2010, con la quale la preponente recedeva dal contratto di agenzia, non costituisse un abuso del diritto;

che ha precisato in particolare la corte che il recesso esercitato risultava conforme alla legge, che conferisce ad entrambe le parti del rapporto di agenzia la facoltà di recedere ad nutum dal contratto a tempo indeterminato, salvo il diritto al preavviso e ciò anche nel caso che le stesse non ritengano più conveniente la prosecuzione del rapporto, precisando che ritenere diversamente contrasterebbe con il regime di libera recedibilità che caratterizza il rapporto, poichè imporrebbe a ciascuna parte che intenda recedere, di farsi carico della tutela degli interessi della controparte (aspetto che la norma non prende in considerazione);

che ha escluso altresì la corte, concordando con la valutazione svolta in primo grado, alcun intento discriminatorio, tenuto conto che la proposta rifiutata dal ricorrente fu inoltrata anche ad altri agenti, quattro dei quali la accettarono le condizioni peggiorative;

che la corte infine, sempre concordando con le valutazioni del giudice di primo grado, ha escluso che sussistesse il diritto alle provvigioni che il ricorrente aveva invocato (sul presupposto che grazie alla sua opera la preponente si aggiudicò l’appalto per la ASL di Sassari), sul rilievo che tale diritto sarebbe sorto solo al momento dell’emissione degli ordini d’acquisto (e non in quello dell’aggiudicazione dell’appalto), momento successivo alla cessazione del contratto; che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione P.A., affidato a due motivi;

che la Medical S.p.A ha resistito con controricorso;

che non sono state depositate memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:

1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c., comma 4, artt. 2043,2059,1175,1375 c.c., in cui sarebbe incorsa la corte territoriale escludendo che il recesso intimato da Medical s.p.a. all’agente integrasse abuso di diritto, nonostante si trattasse in effetti di un atto illegittimo e ritorsivo, avente connotati di rilevanza penale ed errando nel valutare il quadro probatorio che deponeva in tal senso;

in particolare la corte erroneamente avrebbe argomentato, per escludere il carattere abusivo della condotta, dalla circostanza che tale proposta risultava formulata anche ad altri agenti (alcuni dei quali la avevano accettata), poichè, invece, le variazioni contrattuali proposte, in sè denotavano l’abuso, giacchè risultavano così ampie da svuotare il contenuto del contratto, oltre che essere difformi dalle previsioni del contratto collettivo;

2) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge, in riferimento l’art. 1742 c.c., art. 1748 c.c., commi 1 e 3;

avrebbe errato la corte di appello, perpetuando l’errore del giudice di primo grado, nell’applicazione delle norme che regolano il contratto di agenzia e quelle sul sorgere del diritto alla provvigione in capo all’agente; ed infatti il ricorrente aveva dimostrato di essere agente mono-mandatario operante in via esclusiva con il reparto di cardiochirurgia dell’ASL, per cui la corte avrebbe dovuto ritenere che già con l’aggiudicazione dell’appalto in ragione della Delib. n. 820 del 2009 (alla quale si era prevenuti grazie alla attività del P.), si fosse perfezionato il diritto di questi a percepire le provvigioni sulle successive vendite della fornitura che era stata aggiudicata; (ed infatti se il contratto di agenzia non fosse stato illegittimamente revocato il P. avrebbe continuato a percepire le provvigioni pari all’8%, come concordate con atto del 3 gennaio 2005, per tutta la durata quadriennale della fornitura di cui alla Delib. n. 820 del 2009;)

Avrebbe errato, altresì, il giudice d’appello nell’interpretazione del contratto del 3 gennaio 2005, prodotto nel corso del giudizio di primo grado quanto all’insorgenza del diritto alla provvigione in capo all’agente;

Che i motivi del ricorso non possono trovare accoglimento in quanto entrambi, sotto vari profili, investono l’accertamento di fatto compiuto conformemente dai giudici di entrambi i gradi di giudizio, relativamente al recesso oggetto di giudizio e al diritto alle provvigioni invocate dal P..

Ed infatti la valutazione relativa alla prosecuzione del rapporto, nell’ambito del regime di recedibilità ad nutum che caratterizza il contratto di agenzia, e all’insieme delle condotte che condussero le parti, nell’ambito delle trattative volte alla rinegoziazione del rapporto per adattarlo alle mutate condizioni di mercato, così come la interpretazione degli atti contrattuali regolanti il rapporto ai fini della configurazione del diritto alla provvigione, sono totalmente delle quaestiones facti appartenenti al sovrano apprezzamento dei giudici del merito e sottratte al sindacato di legittimità, tanto più nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

Inoltre le censure solo formalmente denunciano la violazione o la falsa applicazione di legge, mentre nella sostanza sono entrambe riconducibili al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto mirano indubitabilmente a contestare i fatti accertati dai giudici di merito, relativi alla natura del recesso, caratterizzato dalla volontà del preponente di ottimizzare i profitti, nell’ambito di un regime di libera recedibilità.

Nè del resto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risulta deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme” (v. Cass. n. 23021 del 2014);

Appare, ancora, inammissibile, così come formulato, il secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole, al fine di invocare il proprio diritto alla provvigione in relazione a determinati ordini conclusi dopo la intervenuto recesso dal rapporto, della interpretazione di atto contrattuale prodotto nel giudizio di primo grado, per violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in base al quale l’impugnazione per cassazione deve contenere “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Questa corte ha chiarito, da tempo, come il requisito di natura contenutistica (v. Cass. SS.UU. n. 28547 del 2008) per essere assolto postula sia che il documento venga specificamente indicato nel ricorso, sia che si dettagli in quale sede processuale risulti prodotto, “poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile” (cfr. Cass. SS. UU. n. 7161 del 2010, Cass. n. 27475 del 20/11/2017).

Il doppio onere della localizzazione e della trascrizione ha avuto seguito nella giurisprudenza successiva (tra le altre v. Cass. n. 18679 del 2017Cass. n. 6937 del 2010; Cass. sez. VI n. 4220 del 2012).

In particolare, circa l’indicazione della sede processuale ove i documenti risultino prodotti, è stato sovente ribadito che è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (Cass. n. 8569 del 2013, Cass. n. 18679 del 27/07/2017) con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. n. 12239 del 2007; Cass. n. 26888 del 2008; Cass. n. 22607 del 2014).

Quanto poi alla trascrizione dei contenuti si è detto in generale che “l’onere di specificazione non concerne solo il cd. contenente, cioè il documento o l’atto processuale come entità materiale, ma anche il cd. contenuto, cioè quanto il documento o l’atto processuale racchiudono in sè e fornisce fondamento al motivo di ricorso. Sotto questo profilo l’onere di indicazione si può adempiere trascrivendo la parte del documento su cui si fonda il motivo o almeno riproducendola indirettamente in modo da consentire alla Corte di cassazione di esaminare il documento o l’atto processuale proprio in quella parte su cui il ricorrente ha fondato il motivo, sì da scongiurare un inammissibile soggettivismo della Corte nella individuazione di quella parte del documento o dell’atto su cui il ricorrente ha inteso fondare il motivo” (in termini: Cass. n. 22303 del 2008; conformi: Cass. n. 2966 del 2011; Cass. n. 15847 del 2014; Cass. n. 18024 del 2014).

Anche ove non si vogliano pretendere pedisseque riproduzioni integrali, chi fonda il ricorso per cassazione su uno o più documenti ha quanto meno l’onere di indicare nell’atto “il contenuto rilevante del documento stesso” (Cass. n. 17168 del 2012).

Mancando nel motivo la “specifica indicazione” dei documenti e degli atti processuali su cui si fonda, nei sensi espressi dagli orientamenti di legittimità innanzi richiamati, il medesimo risulta inammissibile, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il fondamento sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso diretto agli atti del giudizio di merito (tra le tante: Cass. n. 8569 del 2013; Cass. n. 3158 del 2003; Cass. n. 12444 del 2003; Cass. n. 1161 del 1995).

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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