Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 252 del 12/01/2010

Cassazione civile sez. I, 12/01/2010, (ud. 14/10/2009, dep. 12/01/2010), n.252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4218/2009 proposto da:

R.J.T., in proprio e nella qualità di madre di

R.M.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 47, presso l’avvocato CORTI Pio, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.M.;

– intimato –

avverso il decreto n. 8697/2 008 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 20/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/10/2 009 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.M. presentava istanza al Tribunale per i Minorenni di Milano, ai sensi della L. n. 64 del 1994, art. 7, con riferimento alla convenzione dell’Aja del 1980, sulla sottrazione internazionale dei minori, per ottenere la riconsegna e il rimpatrio del figlio minore R.M.J., nato dalla convivenza con R. J.T.. Si costituiva la R., chiedendo rigettarsi l’istanza del G..

Il Tribunale per i Minorenni, con decreto in data 20/11/2008, accoglieva l’istanza di rimpatrio in (OMISSIS) del minore, disponendo il suo accompagnamento coatto presso una comunità, per un monitoraggio dei primi contatti con il padre per un periodo predeterminato, in preparazione del rimpatrio presso la residenza paterna.

Ricorre per cassazione avverso tale decreto la R., sulla base di sei motivi. Non ha svolto attività difensiva il G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo e secondo motivo di ricorso possono essere trattati insieme perchè strettamente collegati. Lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione dell’art. 13 Convenzione dell’Aja 1980 e difetto di motivazione del decreto impugnato; nonchè ulteriore omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione al predetto art. 13 Convenzione dell’Aja.

Sostiene in particolare la ricorrente che il padre del minore da lungo tempo non esercitava alcun diritto di affidamento o di visita sul minore, assolutamente necessario per disporre il rimpatrio di questo.

E’ opportuno richiamare il contenuto delle due convenzioni, di Lussemburgo del 20/5/1980, sull’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e dell’Aja 25/10/1980, sulla sottrazione internazionale dei minori. Differenti sono i caratteri e le finalità, ma pure i presupposti delle due convenzioni: nel primo caso l’assunzione di un provvedimento di affidamento del minore anteriormente al trasferimento illecito o magari, successivamente, un provvedimento dichiarativo dell’illiceità dell’affidamento stesso;

nel secondo, non è invece necessario alcun titolo giuridico di affidamento per il genitore, o comunque per il rappresentante del minore richiedente, dovendosi in ogni caso reintegrare il diritto violato, con il rientro del fanciullo nel suo Stato di residenza abituale (fra le altre, Cass. n. 2954 del 1998).

Con più specifico riferimento alla Convenzione dell’Aja, va precisato che la finalità è quella, come già detto, di assicurare l’immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in uno Stato contraente, indipendentemente dall’esistenza di un provvedimento di affidamento, nonchè di assicurare che i diritti di affidamento e visita siano effettivamente rispettati in tutti gli stati contraenti. Si chiarisce altresì quando il trasferimento o il mancato rientro del minore debba considerarsi illecito, ciò che costituisce il presupposto per l’applicabilità della convenzione stessa: esso è tale quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione od ente, se tali diritti sono effettivamente esercitati o avrebbero potuto esserlo se non si fosse verificato il trasferimento. Il diritto di custodia può derivare dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa o da un accordo. Dal contesto delle disposizioni emerge che viene tutelato anche un mero rapporto di fatto tra genitore e minore, indipendentemente da qualsiasi titolo giuridico. Il genitore, o il rappresentante del minore, può rivolgersi all’autorità centrale di ogni Stato contraente, e questa assumerà ogni adeguato provvedimento per assicurare la riconsegna del minore e dovrà procedere d’urgenza.

Si precisa che l’autorità adita, ove sia trascorso un periodo inferiore ad un anno dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, disporrà per il suo immediato ritorno; qualora la scadenza dell’anno sia stata superata, l’autorità dovrà comunque ordinare il ritorno del minore, a meno che non si dimostri che egli si sia integrato nel nuovo ambiente. Solo in casi tassativi essa non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore, ove il rappresentante del fanciullo non eserciti il diritto di affidamento o abbia comunque consentito al trasferimento; ovvero sussista un fondato rischio per il minore stesso di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici o psichici o di trovarsi in una situazione intollerabile. Si chiarisce ulteriormente che, se una decisione relativa all’affidamento fosse già stata assunta o potesse essere riconosciuta dallo Stato richiesto, ciò non potrebbe giustificare di per sè il rifiuto al rientro del minore; in tal caso l’autorità dovrebbe esaminare in concreto le diverse e contrapposte esigenze. In ogni caso il ritorno del minore può essere rifiutato ove non sia consentito dai principi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

E’ prevista una intensa collaborazione tra gli Stati allo scopo di impedire ostacoli alla piena attuazione della Convenzione dell’Aja.

Nella specie, dal contenuto del decreto impugnato, che richiama pure quello dell’autorità svizzera nonchè le risultanze di consulenze disposte da tale autorità, emerge che il padre non ha esercitato in precedenza il “diritto di affidamento e di visita” necessario per disporre il rimpatrio. Fino al 20/3/2008, data del provvedimento svizzero con il quale è stata “ritirata” la potestà della madre, era questa ad esercitare la potestà sul figlio; anteriormente ad esso, la R. si era trasferita con il bambino in (OMISSIS) (e questi aveva sempre abitato con lei, in (OMISSIS) come in (OMISSIS));

da più di tre anni, il G. non aveva esercitato il diritto di visita sul minore e i contatti furono ripresi una sola volta nel 2007 e cinque volte nel 2008 (così la consulenza svizzera, richiamata dal provvedimento impugnato), con notevole difficoltà di rapporto tra il minore e il padre (e non può rilavare in questa sede se tali difficoltà fossero generata dall'”influenza negativa” della madre).

E’ altresì assai significativo che il Tribunale, per preparare il rimpatrio del minore, con collocazione presso il padre, abbia individuato misure idonee a rendere “meno traumatico” il ripristino delle relazioni con il padre, mediante la programmazione di incontri del minore con lui e con la propria moglie, in forma “protetta e riservata”.

Non sussistono dunque i presupposti per l’accoglimento dell’istanza di rimpatrio di cui all’art. 3 e segg.; 13 lett. a) della Convenzione dell’Aja, in mancanza dell’esercizio di un diritto di affidamento da parte del padre.

L’accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso è assorbente rispetto agli altri motivi, che non vanno pertanto esaminati.

Va cassato il provvedimento impugnato.

Per quanto sopra osservato, non appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto: ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, questa Corte può decidere nel merito.

Va rigettata l’istanza di rimpatrio.

La natura della causa richiede la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso, ritenuti assorbiti gli altri; cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, rigetta l’istanza; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2010

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