Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 252 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 10/01/2017, (ud. 02/11/2016, dep.10/01/2017),  n. 252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7926-2014 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS) in persona del Ministro legale

rappresentante pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difeso per legge;

– ricorrenti –

contro

N.M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 586/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/11/2016 dal Consigliere Dott. STEVANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato VINCENZO RAGO per l’Avvocatura dello Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 27.3.2013 n. 586 la Corte d’appello di Palermo ha rigettato la impugnazione principale del Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali (ora Ministero della Salute)e la impugnazione incidentale di N.M.G., confermando la decisione di prime cure che aveva condannato l’Amministrazione statale al risarcimento dei danni sofferti dalla N. per aver contratto il virus HCV in conseguenza di emotrasfusione eseguita nell’anno (OMISSIS).

I Giudici di appello rilevavano che le questioni concernenti il nesso di causalità tra la condotta omissiva colposa e l’evento dannoso e l’obbligo di vigilanza imposto da norme di legge alla PA fin dagli anni 70, erano state già risolte dalle SS.UU di questa Corte con la sentenza n. 576/2008 ai cui principi intendevano attenersi.

La sentenza di appello non notificata, è stata impugnata per cassazione dal Ministero con atto spedito per la notifica il 25.3.2014, con il quale sono stati dedotti due motivi.

Non ha resistito la intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Entrambi i motivi si pongono in manifesto contrasto con gli arresti delle SS.UU. nn. 576-585/2008, non avendo addotto il ricorrente alcun elemento critico nuovo che imponga di sollecitare un nuovo intervento delle SS.UU. di questa Corte.

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 2043 c.c. nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè il vizio di difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è inammissibile in quanto:

a) nel medesimo contesto espositivo trovano formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge (che presuppongono una esatta rilevazione da parte del Giudice di merito degli elementi ricostruttivi della fattispecie concreta) e vizi della motivazione (che presuppongono invece la contestata valutazione delle risultanze di causa), ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 c.p.c., venendosi ad affidare alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 10295 del 07/05/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 22348 del 24/10/2007; id. Sez. L, Ordinanza n. 9470 del 11/04/2008; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).

b) anche volendo ravvisare nella censura la denuncia di un vizio concernente un “error fatti”, la sentenza pubblicata in data successiva all’11.9.2012 può essere impugnata per cassazione esclusivamente in relazione al vizio di motivazione come riformulato dal D.L. n. 83 del 20123, art. 54, comma 3 conv. in L. n. 134 del 2012, e quindi nei ristretti limiti in cui – esclusa la ipotesi, che non ricorre nel caso di specie, di assoluta mancanza di motivazione riconducibili all’elemento di validità del provvedimento giurisdizionale richiesto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’art. 111 cost., comma 6 – il Giudice di appello abbia del tutto omesso di considerare un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione e risulti decisivo per pervenire ad un diverso assetto del regolamento di interessi del rapporto controverso (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

c) la censura è priva del requisito di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4: nella parte espositiva il ricorrente si limita ad elencare una serie di fattori, individuati dalla scienza mendica, che avrebbero potuto ipoteticamente assumere efficienza causale nella produzione del danno (uso di strumenti chirurgici contaminati; indagini endoscopiche, cure odontoiatriche, ferimenti accidentali procurati da aghi di siringhe, rasoi, forbici, lame, rapporti sessuali con soggetti portatori del virus, ecc.). La mera allegazione della esistenza di molteplici fattori di rischio di trasmissione del contagio del virus non inficia l’accertamento in fatto, condotto in concreto dal Giudice di appello, alla stregua delle risultanze delle indagini medico-legali, svolte dalla CMO nell’ambito del procedimento disciplinato dalla L. n. 210 del 1992, e dal CTU nominato in primo grado, le cui conclusioni sono apparse convergenti nel correlare la insorgenza della infezione alla trasfusione eseguita nel (OMISSIS), avuto riguardo tanto ai criteri proporzionale e cronologico della medicina legale, quanto al criterio di regolarità causale ex artt. 40 e 41 c.p.c. che presiede – nella specie difettando altri fattori causali concorrenti – al giudizio di derivazione causale del contagio da virus HCV dalla trasfusione, essendo pacificamente acquisito nella giurisprudenza di legittimità che – ove risulti provata l’idoneità dell’atto medico a provocare il contagio – è legittimo il ricorso alle presunzioni, in difetto di predisposizione (o anche solo di produzione in giudizio), da parte della struttura sanitaria, della documentazione obbligatoria sulla tracciabilità del sangue trasfuso al singolo paziente, e ciò in applicazione del criterio della vicinanza della prova (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; id. Sez. U, Sentenza n. 582 del 11/01/2008; id. Sez. U, Sentenza n. 584 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 5961 del 25/03/2016). Orbene la pronuncia della Corte di appello, che ha inteso aderire alle conclusioni dell’ausiliario, va esente dai vizi denunciati in quanto conforme ai principi enunciati delle SS.UU. nei predetti arresti del 2008, secondo cui in materia di responsabilità da omessa vigilanza del Ministero della Sanità (ora della Salute), premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttiva e vigilanza sull’impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi, il Giudice, accertata l’omissione di tali attività, ed accertata l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la verificazione dell’evento.

Con il secondo motivo (violazione dell’art. 2043 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.) si censura la sentenza di appello in punto di accertamento dell’elemento soggettivo della colpa, per non aver rilevato il Giudice di merito che il virus HCV era stato scoperto soltanto nell’anno (OMISSIS) e che la sequenza genomica era stata individuata solo nel successivo 1989 quando furono disponibili anche i tests diagnostici, con la conseguenza che alcuna colpa poteva essere attribuita alla Amministrazione statale che aveva proceduto ad emanare, già in tempo anteriore, specifiche direttive volte alla prevenzione dei rischi da contagio (circolare n. 50/1966; direttive tecniche previste dalla L. n. 592 del 1967; D.M. 18 giugno 1971; D.M. 15 settembre 1972).

Il motivo è da ritenere manifestamente infondato alla stregua del principio di diritto, enunciato dalle SS.UU. nelle sentenze sopra richiamate, cui il Collegio intende attenersi, secondo cui:

a) in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto: ne consegue che già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B – la cui individuazione spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto – sussiste la responsabilità del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo.

b) anche prima dell’entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria. L’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi.

In conclusione il ricorso deve esser rigettato. Non occorre procedere alla regolazione delle spese di lite in difetto di difese svolte dalla intimata.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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