Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25198 del 24/10/2017
Cassazione civile, sez. II, 24/10/2017, (ud. 21/03/2017, dep.24/10/2017), n. 25198
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3063-2014 proposto da:
G.D., (OMISSIS), domiciliato in ROMA, VIA RONCIGLIONE
studio dell’avvocato FABIO GULLOTTA, difeso dall’avvocato PATRIZIA
FINIS;
– ricorrente –
contro
P.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che
la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MONICA ESPOSITO,
MARCELLA NERI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 924/2012 del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata
il 12/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21/03/2017 dal Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS CHIARA;
udito l’Avvocato MASSIMILIANO PANCI, con delega dell’Avvocato ENRICO
LUBERTO difensore della controricorrente, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SALVATO LUIGI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. G.D. ha convenuto in giudizio P.G., sua convivente per circa vent’anni, chiedendo di accertare il proprio diritto di comunione di due immobili di proprietà della signora in quanto acquistati con il proprio determinante contributo economico e lavoro.
Il Tribunale di Livorno ha rigettato la domanda.
2. La Corte d’appello di Firenze ha definito il giudizio ex art. 348 – bis c.p.c..
3. G. impugna di fronte a questa Corte la sentenza di primo grado del Tribunale.
P.G. ha resistito con controricorso.
Il 14 marzo 2017 l’avvocato della signora P. ha depositato certificato di morte della stessa (avvenuta il 14 ottobre 2014), formulando istanza di interruzione del processo.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, circa l’istanza di interruzione del processo per la morte della controricorrente la Corte precisa che nel giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, “in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo” (così da ultimo Cass. 1757/2016).
2. Il ricorso, articolato in un unico motivo, è proposto nei confronti della sentenza di primo grado, così come prescrive l’art. 348 – ter c.p.c..
Esso è inammissibile, in quanto del tutto privo di qualsiasi riferimento al giudizio di appello e in particolare ai motivi della impugnazione, limitandosi il ricorrente a dire di aver proposto “appello che veniva definito come da ordinanza ai sensi dell’art. 348 – bis c.p.c.”. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348 – ter, “l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348 – bis, costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza ex art. 348 – bis, al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame” (così Cass. 10722/2014).
3. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 4.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda Sezione Civile, il 21 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017