Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25195 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/10/2017, (ud. 23/06/2017, dep.24/10/2017),  n. 25195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19653-2016 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE,

49, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO TORTORA, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANILO BUONGIORNO;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE COMMERCIO & INDUSTRIA S.P.A. – C.F. (OMISSIS), in

persona del suo procuratore speciale, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LIMA 28, presso lo studio dell’avvocato MARCO NICOLOSI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1061/2015 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 27/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/06/2017 dal Consigliere Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – R.F. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei suoi confronti su ricorso della Banca Popolare Commercio & Industria, che aveva assunto di essere creditrice della società Red Spark, quale obbligata principale, e dello stesso R., quale fideiussore.

Il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione: in particolare, affermava essere sussistente la propria competenza per territorio, oggetto di contestazione in giudizio, e riteneva non fondate le deduzioni dell’ingiunto vertenti sulla nullità della garanzia.

2. – Proposto gravame, la Corte di appello di Milano pronunciava ordinanza ex art. 348 bis e ter c.p.c., con cui dichiarava inammissibile l’impugnazione.

3. – Contro detta ordinanza e contro la sentenza del Tribunale è stato proposto, da parte di R., un ricorso per cassazione le cui censure sono suddivise, secondo quanto si chiarirà appresso, in cinque aree argomentative. Banca Popolare Commercio & Industria s.p.a. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente, anzitutto, censura la sentenza della Corte di appello per violazione o falsa applicazione dell’art. 348 c.p.c., in relazione alle erronee motivazioni con le quali era stata valutata l’inammissibilità dell’appello. Deduce l’istante che il giudice dell’impugnazione avrebbe dovuto effettuare una delibazione sommaria dei motivi di gravame rilevando l’assoluta genericità delle deduzioni o l’assenza di elementi che rendessero verosimile l’accoglimento dell’appello. Ritiene il ricorrente che il giudizio prognostico sia stato formulato sulla scorta di dati che non fornivano indicazioni decisive quanto all’ipotetico esito del gravame.

Il motivo è inammissibile.

L’ordinanza di inammissibilità dell’appello emessa per manifesta infondatezza nel merito del gravame non è ricorribile per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento carente del carattere della definitività, giacchè il comma 3 del medesimo art. 348 ter consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado (Cass. 12 ottobre 2015, n. 20470; Cass. 22 settembre 2014, n. 19944).

2. – Il ricorrente poi sviluppa il ricorso contro la sentenza di prime cure articolando deduzioni che non sono rubricate secondo la tipologia dei vizi elencati dall’art. 360 c.p.c.. In particolare, si censurano le “erronee motivazioni attraverso le quali il Tribunale di Milano è giunto a rigettare l’opposizione”, l'”erronea valutazione dell’oggetto di causa”, l'”erroneità della sentenza del Tribunale di Milano in ordine al rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale”, l'”insufficienza di motivazione della sentenza di primo grado”, 1′”insufficienza della istruttoria”, la non meglio chiarita “erronea valutazione da parte del Tribunale di Milano”.

Si tratta di censure pure inammissibili, proprio in quanto non articolate nei termini in cui il ricorso per cassazione, che è mezzo di impugnazione a critica vincolata, impone.

Nel giudizio di legittimità è infatti onere del ricorrente indicare con specificità e completezza quale sia il vizio da cui si assume essere affetta la sentenza impugnata (Cass. 7 aprile 2015, n. 6902; Cass. 2 marzo 2012, n. 3248): è dunque necessario che la parte precisi se intenda censurare la sentenza per motivi attinenti la giurisdizione o la competenza, per violazione di norme di diritto, per nullità del procedimento o per vizi motivazionali.

Nella fattispecie, come si è accennato, non è nemmeno precisato a quali delle singole ipotesi dell’art. 360 c.p.c., le censure sollevate vadano ricondotte.

Ed è appena il caso di aggiungere che, comunque, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 1 dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010), mentre il vizio di cui all’art. 360, n. 5 nella presente ipotesi non è nemmeno deducibile, posto che l’inammissibilità pronunciata dalla Corte di appello è fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione impugnata (art. 348 ter c.p.c., comma 4).

3. – Il ricorso va dichiarato, pertanto, inammissibile.

4. – Per le spese di giudizio opera il criterio della soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti perchè la parte principale proceda al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 Sezione Civile, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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