Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25192 del 07/12/2016

Cassazione civile sez. lav., 07/12/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

(OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PATRIZI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO PAOLESSI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 239/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 10/06/2013 R.G.N. 167/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato PUGLIESE VINCENZO per delega Avvocato VESCI GERARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Genova, con sentenza n. 239/2013, riformava la sentenza del locale Tribunale, che aveva accolto la domanda proposta da M.G. nei confronti della M.O.L. Europe B.V., avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimato il 15 novembre 2010 per giustificato motivo oggettivo:

2. Il M., impiegato di 7^ livello del CCNL per il personale dipendente da agenzie marittime, era stato assegnato dal gennaio 2010, unitamente ad altri due dipendenti, al reparto Customer Service per svolgere attività di raccolta bookings e inserimento nel sistema informatico, contatto telefonico e via e-mail con vari clienti per interscambio di notizie sui noli marittimi, tariffe di trasporto terreste, predisposizione di prospetti statistici relativi al traffico estero prodotto da M.O.L. in Italia.

3. La società aveva intimato il licenziamento a motivo della riorganizzazione della struttura aziendale intrapresa dal gruppo con il declassamento dell’Italia da Region ad Area, essendo le funzioni di Region state trasferite in Francia, con conseguente perdita di funzioni ed attività, e la necessità di ridurre il reparto cui il ricorrente era addetto di un’unità.

4. Il Tribunale aveva rilevato che ricadeva sulla società l’onere di provare il rispetto del principio di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c. nella scelta del lavoratore da licenziare e che tale onere non era stato correttamente adempiuto nella specie.

5. La Corte territoriale non condivideva tale soluzione, ritenendo che il suddetto principio fosse stato rispettato per le considerazioni che seguono:

– non era controverso che la posizione lavorativa fosse stata soppressa allo scopo di comprimere i costi e di fronteggiare la riduzione del fatturato;

– non trovavano applicazione i criteri dettati dalla legge n. 223/91 per i licenziamenti collettivi;

– la società aveva prospettato che l’appellato era il lavoratore che, a parità di mansioni, comportava maggiori costi per l’azienda, era risultato il meno “performante” ed era titolare anche di altri redditi;

– la veridicità della prima di tali affermazioni aveva trovato riscontro nella prova per testi; quanto alla seconda, il medesimo appellato aveva ammesso di non avere percepito per l’anno 2010 il bonus erogato ai dipendenti che avevano dimostrano maggiore impegno e professionalità (bonus che invece era stato riconosciuto ad altri suoi colleghi, anche se non a tutti); la circostanza che il M. fosse titolare anche di altri redditi non era stata smentita dall’appellato, che si era limitato a sostenerne l’irrilevanza ai fini del decidere;

– era del tutto sostenibile che la società intendesse privarsi di colui che percepiva una retribuzione maggiore rispetto agli altri dipendenti in posizione fungibile e che quindi rappresentava un maggiore costo;

– il criterio che porta a individuare un lavoratore che dispone di fonti di sostentamento diverse dal reddito dal lavoro integra “ragioni di equità che, soprattutto in tempo di crisi, non appaiono certo irragionevoli”;

– il ricorrente non aveva lamentato una condotta discriminatoria, limitandosi ad affermare di avere un figlio a carico (affidato alla ex moglie) e di avere una maggiore anzianità di servizio rispetto agli altri lavoratori in posizione omogenea;

– non si era posta in giudizio la questione di ricercare in azienda una diversa collocazione del lavoratore, ma solo quella di stabilire se la società avesse rispettato, nella scelta del M., i principi di buona fede e correttezza, quali estrinsecati dalla società in corso di giudizio.

6. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il M. con due motivi. Resiste la soc. Mol Europe B.V. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame della posizione e della situazione reddituale, economica e patrimoniale degli altri dipendenti M.O.L., colleghi di lavoro del ricorrente al momento del licenziamento.

1.1. Si deduce che il tema controverso in appello non era più l’effettiva sussistenza delle ragioni produttive che avevano spinto la soc. M.O.L. a sopprimere una posizione lavorativa, nè il fatto che nel reparto Costumer Service, del quale faceva parte il ricorrente, vi fosse una sostanziale omogeneità e fungibilità delle mansioni, ma unicamente la legittimità della scelta operata dalla M.O.L. di licenziare proprio il M. piuttosto che un altro dipendente in posizione omogenea e fungibile.

1.2. Nessuna delle ragioni addotte dalla società poteva integrare una ragione oggettiva:

– il fatto che il ricorrente fosse il meno “performante” fra i dipendenti implica un giudizio valutativo dell’Azienda, non ancorato a parametri oggettivi;

– la circostanza che il reddito da lavoro non fosse l’unico reddito era circostanza del tutto estranea al rapporto di lavoro, irrilevante se non addirittura discriminatoria;

– in ogni caso, sarebbe stato necessario un confronto tra la capacità professionale, la posizione di lavoro, la situazione economica e patrimoniale del ricorrente con quella degli altri dipendenti M.O.L., o quanto meno con quelli addetti al medesimo reparto Customer Service;

– anche nel caso in cui non si ritenessero applicabili i criteri della L. n. 223 del 1991, l’individuazione dei criteri sulla cui base operare la scelta non avrebbe potuto essere rimessa alla discrezionalità o addirittura nell’arbitrarietà del datore di lavoro.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione o mancata applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la Corte di appello posto a fondamento della decisione circostanze di fatto, bensì mere affermazioni dell’Azienda aventi per la maggior parte carattere valutativo ovvero circostanze solo allegate e non provate da M.O.L. In particolare, non erano state prodotte in giudizio le buste paga degli altri dipendenti comparabili, onde stabilire quale fosse l’effettivo differenziale retributivo. Del pari, quanto alla minore performance, era stata attribuita valenza probatoria determinante alla mancata concessione del bonus aziendale, che peraltro, come riconosciuto dalla stessa Corte, era stato negato anche ad altri dipendenti. Pure l’esistenza di altri redditi era stata solo allegata da M.O.L., ma tale affermazione, che la Corte di appello ha ritenuto di condividere, non era suffragata da alcun elemento, neppure indiziario e senza il seppur minimo confronto con l’eventuale percezione di altri redditi da parte dei colleghi di lavoro del ricorrente.

3. Il ricorso è infondato.

4. La questione centrale posta dal primo motivo è quella di stabilire se, in caso di soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, ai fini del rispetto del principio di buona fede e correttezza ex art. 1175 c.c., i criteri della selezione del lavoratore da licenziare possano essere individuati dal datore di lavoro ovvero se i criteri posti a base della selezione debbano essere connotati da una oggettività determinabile ex ante, esclusivamente mediante il ricorso ai criteri di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5.

5. Va premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., in particolare, Cass. n. 7046 del 2011), quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, non sono utilizzabili nè il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere in quanto non più necessaria, nè il criterio della impossibilità di repechage, in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono potenzialmente licenziabili. In questi casi, il datore di lavoro deve pur sempre improntare l’individuazione del soggetto (o dei soggetti) da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, cui deve essere informato, ai sensi dell’art. 1175 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse.

6. In questa situazione, pertanto, si è posto il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buonafede (Cass. 6.9.03 n. 13058) ed è stato ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti) (v. Cass. n. 16144 del 2001, nonchè n. 11124 del 2004).

7. Certamente, dunque, la L. n. 223 del 1991, art. 5 offre uno standard idoneo a rispettare l’art. 1175 c.c.. Tuttavia, non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purchè non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

8. Nel caso concreto, i criteri utilizzati dalla soc. Mol Europe B.V., ossia il maggiore costo della retribuzione, il minore rendimento lavorativo e le condizioni economiche complessive di ciascun lavoratore, appaiono ragionevoli in quanto oggettivamente enucleabili tra fatti riferibili alla comune esperienza con riguardo alle qualità e alle condizioni personali del lavoratore; inoltre, tali criteri si prestano, ciascuno di essi ed anche in concorso tra loro, alla elaborazione di una graduatoria e dunque consentono, su basi oggettive, una comparazione tra tutti i lavoratori interessati dalla riduzione dell’organico in quanto assegnati a posizioni di lavoro fungibili.

9. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Il motivo è infondato. Innanzitutto, la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n.21603 del 2013); inoltre, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 14267 del 2006; cfr. pure Cass. 12 febbraio 2004 n. 2707).

9. Nel caso di specie, la Corte di appello ha dato atto delle fonti del proprio convincimento, affermando che tutte le circostanze addotte dal datore di lavoro erano risultate veritiere. In particolare, ha rilevato che la circostanza del “maggior costo” aveva trovato “riscontro nella prova per testi”; che la mancata percezione del bonus per l’anno 2010 (costituente circostanza di rilievo indiziario in ordine alle performance professionale) era stata ammessa dallo stesso ricorrente; che la disponibilità di redditi ulteriori non era stata smentita dal M.. Nè il ricorrente ha prospettato alcun intento discriminatorio o una errata applicazione dei criteri come sopra individuati, nel concorso comparativo con gli altri dipendenti in pari posizione lavorativa.

Il ricorrente non ha difatti prospettato che, se i criteri della selezione fossero stati applicati diversamente, non sarebbe risultato destinatario del provvedimento di recesso.

10. In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: Quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, non essendo utilizzabile il criterio della impossibilità di repechage, il datore di lavoro deve improntare l’individuazione del soggetto da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, ai sensi dell’art. 1175 c.c.. In tale contesto, la L. n. 223 del 1991, art. 5 offre uno standard idoneo ad assicurare che la scelta sia conforme a tale canone; tuttavia, non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purchè non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

10. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

10.1. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, il rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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