Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2519 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9912/2015 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 16,

presso lo studio dell’avvocato BENIAMINO LA PISCOPIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

COMALI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FLAVIO FRANCESCO PANA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 833/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 14/03/2014 R.G.N. 1026/2010.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Verona, con sentenza n. 207 del 2010, ha rigettato le domande di B.M. volte ad ottenere, previo accertamento della sussistenza di un rapporto di agenzia, il pagamento da parte della società CO.MA.LI. di provvigioni relative a quattro affari per l’importo di Euro 39.743,08 e/o dell’indennità suppletiva di clientela e del FIRR; che la Corte di appello di Venezia, con la sentenza impugnata n. 833 del 2013, ha respinto il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle spese;

che a fondamento del decisum, la Corte territoriale, concordemente con quanto accertato dal giudice di primo grado, ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito prova del rapporto di agenzia dedotto in giudizio, poichè gli accordi tra le parti prevedevano che il ricorrente, di volta in volta richiedesse il pagamento di una commissione del dieci per cento sugli affari che aveva concluso, in assenza di alcun obbligo di svolgere una prestazione;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il B., affidato a due motivi;

che la CO.MA.LI. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato;

che non sono state depositate memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:

1) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1362,1363,1742,1748 e 2697 c.c., nonchè l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in cui sarebbe incorsa la corte d’appello di Venezia, in relazione al contratto di agenzia dedotto in giudizio; avrebbe errato in particolare la corte nell’escludere la sussistenza del contratto di agenzia basandosi solo sul dato letterale del contratto sottoscritto dalle parti (che prevedeva solo il pagamento di una commissione del 10% sugli affari conclusi dietro presentazione, di fattura ma alcun obbligo per il ricorrente), non valutando gli intenti negoziali che emergevano dal loro complessivo comportamento, nè altri aspetti dai quali avrebbe dovuto desumere come sussistevano gli elementi essenziali del contratto di agenzia (come il fatto che il B. fosse indicato come agente nei moduli per biglietti da visita, il dato della regolarità e periodicità delle fatture nonchè le annotazioni sull’agenda del B. etc.);

2) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento degli artt. 1362,1363,1364 e 2697 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente contraddittoria motivazione in cui sarebbe incorsa la corte in relazione alla figura del procacciatore d’affari; avrebbe errato in particolare la corte nel ritenere, sulla base dell’interpretazione letterale del contratto, che le parti avessero previsto esclusivamente una provvigione sulle vendite effettuate andata a buon fine laddove da altri elementi quali la lettera di recesso doveva emergere diversamente;

che nel controricorso la società ha proposto ricorso incidentale condizionato in cui, per l’ipotesi di soccombenza rispetto alla domanda di B., ha rinnovato la richiesta di detrazione dall’importo e eventualmente spettante al ricorrente della somma che la convenuta gli ha corrisposto per l’affare (OMISSIS) non andato a buon fine, pari ad Euro 1724,97;

che, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

che, con entrambe le doglianze che possono essere congiuntamente esaminate, il ricorrente principale pur a legando formalmente violazioni di legge, dedotte promiscuamente in uno al vizio di motivazione (peraltro con la locuzione letterale dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, antecedente alla riforma intervenuta con la L. n. 134 del 2012), propone un vizio di motivazione che concerne esclusivamente la motivazione in fatto.

Come è noto, risultando la sentenza della Corte territoriale depositata in data 14.3.2014, si applica il punto n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nella versione di testo introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, che al riguardo consente il ricorso per cassazione solo per “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” per le sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012.

che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile in causa ratione temporis, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Al compito assegnato alla Corte di Cassazione resta dunque estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti che implichi un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014).

Il ricorrente, nel caso di specie, pur denunciando anche violazioni di legge, in definitiva non evidenzia concretamente in che cosa di tradurrebbero le violazioni dedotte e neppure, sotto il profilo del vizio di motivazione, si duole del mancato esame di un fatto storico ma, in sostanza, solo della valutazione di merito in ordine ai fatti esaminati in sentenza, non sindacabile – per quanto sopra detto – da questa Corte.

In particolare, la gravata sentenza, ha dato conto, dopo aver correttamente richiamato gli orientamenti di questa corte circa i caratteri distintivi dell’agenzia rispetto al procacciamento di affari, che sono da individuare nella continuità e stabilità dell’attività dell’agente e nella mancanza di vincolo di stabilità e nell’episodicità o occasionalità dell’attività di procacciatore di affari. Ha chiarito la corte che l’elemento distintivo del contratto di agenzia consiste nell’obbligo, in capo all’agente, di svolgere l’incarico per il preponente e, sulla scorta della interpretazione del dato contrattuale, ossia la lettera di incarico del 13 maggio 1998, ha escluso nel caso di specie fosse pattuito tale obbligo (cfr. pag. 7 sent. impugnata);

nè, d’altra parte risulta rilevante, nel senso auspicato da parte ricorrente (cfr. pag. 14 ricorso) la interpretazione letterale che la sentenza avrebbe dato della locuzione utilizzata della dichiarazione di recesso ove è scritto che la provvigione sarebbe stata corrisposta “per le vendite derivanti dalla collaborazione prestata”, poichè dalla stessa non emergono contorni distintivi del contratto di agenzia, risultando infatti tale statuizione compatibile con la natura del rapporto di procacciatore di affari (cfr. pag. 20 del controricorso).

che non sono, pertanto, ravvisabili omessi esami di fatti storici, deducibili come vizio di motivazione della sentenza;

che alla stregua di quanto esposto il ricorso principale deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, assorbito il ricorso incidentale condizionato, (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3223 del 07/02/2017);

che alla pronuncia di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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