Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25182 del 07/12/2016

Cassazione civile sez. lav., 07/12/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 07/12/2016), n.25182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 630-2015 proposto da:

BANCO POPOLARE SOCIETA’ COOPERATIVA, C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MICHELE MARIANI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.I.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 210/2013 del TRIBUNALE di LUCCA, depositata il

05/04/2013 r.g.n. 570/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’avvocato BOZZI CARLO per delega verbale Avvocato MARIANI

MICHELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per in subordine rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con ordinanza ex artt. 436-bis, 348-bis e 348-ter c.p.c., pronunciata mediante lettura all’udienza dell’otto luglio 2014 (come da relativo contestuale verbale, cui il provvedimento risulta allegato), la Corte di Appello di Firenze dichiarava inammissibile il gravame interposto da BANCO POPOLARE soc. Coop., quale successore della Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno S.p.a. e di SGC BP S.p.a., avverso la sentenza n. 210/5 aprile 2013, emessa dal giudice del lavoro di Lucca nei confronti dell’appellante e dell’appellata B.I., laddove l’impugnata sentenza aveva ritenuto che il distacco della B. presso SGC BP, con mansioni di gestore presso l’ufficio incagli e ristrutturati, avesse provocato all’istante B. una de qualificazione rispetto alle precedenti mansioni di responsabile dell’area affari (OMISSIS), osservando in particolare che l’impugnazione de qua non aveva una ragionevole probabilità di essere accolta, giusta la citata giurisprudenza, sicchè ricorrevano i presupposti utili ai fini dell’applicazione dell’art. 348 bis c.p.c.. Inoltre, con la stessa ordinanza parte appellante veniva condannata al pagamento delle relative spese, dichiarandosi la sussistenza dei presupposti di legge per l’obbligo di parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

La soc. Coop. Banco Popolare ha, quindi, proposto ricorso per cassazione ex art. 348 c.p.c. contro la B. avverso la sentenza n. 210/2013 del Tribunale di Lucca, confermata con l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis, pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze l’otto luglio 2014, non notificata, con atto di cui veniva chiesta la notificazione il 2312-2014, poi eseguita in data 24 dic. 2014/sette gennaio 2015, affidato ad un unico motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 2103 e 2697 c.c..

La B. è rimasta intimata.

Alla pubblica udienza del 20 luglio 2016 parte ricorrente ha depositato verbale di conciliazione, datato 27 gennaio 2015, sottoscritto da B.I. dal procuratore speciale della soc. cooperativa Banco Popolare in relazione al contenzioso di cui ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 210/2013 del Tribunale di Lucca, confermata con ordinanza di inammissibilità dell’appello contro la stessa, pronunciata dalla Corte d’Appello di Firenze l’otto luglio 2014 (verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale anche dai componenti della commissione paritetica di conciliazione).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto fuori termine.

Ed invero, l’art. 348-ter c.p.c., comma 3 stabilisce che “Quando è pronunciata l’inammissibilità (ex art. 348-bis cit. codice, con l’ordinanza di cui al medesimo art. 348-ter, comma 2), contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’art. 360, ricorso per cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Si applica l’art. 327, in quanto compatibile)”.

Inoltre, in base a quanto testualmente previsto dall’art. 176 c.p.c., le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi, mentre quelle pronunciate fuori dell’udienza sono comunicate a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi (v. anche l’art. art. 134 c.p.c., secondo cui se è pronunciata in udienza, l’ordinanza è inserita nel processo verbale; se è pronunciata fuori dell’udienza, è scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del giudice o, quando questo è collegiale, del presidente. Il cancelliere comunica alle parti l’ordinanza pronunciata fuori dell’udienza, salvo che la legge ne prescriva la notificazione).

Orbene, nel caso di specie qui in esame dal verbale di udienza (sottoscritto dal cancelliere e dal presidente del collegio) della Corte di Appello, in data 8 luglio 2014 (ore 11,25 /chiusura del verbale alle 15,20), emerge che entrambe le parti, costituite, erano presenti e che all’esito della camera di consiglio veniva data lettura in aula dell’ordinanza, quindi allegata allo stesso verbale, con la quale appunto veniva dichiarato inammissibile l’appello della società, attuale ricorrente, avverso l’impugnata sentenza n. 210/5 aprile 2013, con conseguente condanna alle spese della parte soccombente, dando altresì atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato da parte di quest’ultima.

Pertanto, ai sensi del citato art. 176 l’anzidetta ordinanza deve considerarsi comunicata per ogni effetto di legge alle parti, di guisa che da tale comunicazione decorreva il termine, di cui all’art. 325 c.p.c., per proporre ricorso per cassazione, in mancanza di preventiva formale notifica, non applicandosi d’altro canto il termine lungo di cui all’art. 327, che, in forza di quanto sul punto precisato dal surriferito art. 348-ter, comma 6 opera in via residuale, cioè nella sola ipotesi in cui la declaratoria d’inammissibilità non sia stata comunicata alle parti, ovvero non sia stata formalmente comunicata (nei sensi anzidetti v. Cass. civ. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 2595 in data 11/12/2015 – 09/02/2016).

V. altresì Cass. civ. Sez. 6 – 3, n. 2594 in data 11/12/2015 – 09/02/2016: la parte che intenda esercitare il diritto di ricorrere in cassazione ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, deve rispettare il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, che decorre dalla comunicazione dell’ordinanza, ovvero dalla sua notificazione, nel caso in cui la controparte vi abbia provveduto prima della detta comunicazione o se questa sia stata del tutto omessa dalla cancelleria, mentre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. opera esclusivamente quando risulti non solo omessa la comunicazione, ma anche la notificazione. Ne consegue che il ricorrente, per dimostrare la tempestività del ricorso ex art. 348 ter c.p.c. proposto oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, ha l’onere di allegare sia l’assenza di comunicazione, sia la mancata notificazione, affermando, pertanto, di fruire del cd. termine lungo.

Peraltro, già Cass. lav. n. 10539 del 9/5/2007, aveva affermato che in tema di comunicazione dei provvedimenti del giudice, a mente dell’art. 176 codice di rito, le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza ed inserite nel processo verbale a norma dell’art. 134 cit. codice si reputano conosciute sia dalle parti presenti sia da quelle che avrebbero dovuto intervenire, e pertanto non devono essere comunicate a queste ultime dal cancelliere. A tal fine resta irrilevante che il giudice (nella specie la Corte d’appello in una controversia celebrata con il rito del lavoro) si sia ritirato in camera di consiglio e abbia dato lettura dell’ordinanza al termine della stessa, in assenza dei legali dalle parti.

In senso analogo, v. quindi Cass. lav. n. 5966 del 14/03/2011, nonchè Cass. 6 civ. – L, ordinanza n. 2302 del 6/2/2015, secondo la quale la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45 nel modificare l’art. 42 c.p.c., prevedendo la forma decisoria dell’ordinanza, non ha inciso sul relativo regime impugnatorio, sicchè in caso di ordinanza resa a verbale di udienza il termine per la proposizione dell’impugnazione decorre dalla data di questa, trattandosi di provvedimento che, ai sensi dell’art. 176 c.p.c., comma 2, si reputa conosciuto dalle parti. Quindi, è stata dichiarato inammissibile il ricorso avverso un’ordinanza dichiarativa della litispendenza, resa dal giudice del lavoro all’esito della camera di consiglio, con lettura del dispositivo e contestuale esposizione delle ragioni della decisione, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni dalla data dell’udienza.

Cfr. ancora Cass. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 25119 del 14/12/2015, secondo cui in caso di declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., allorchè la relativa ordinanza sia stata pronunciata in udienza, il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, da identificare in quello “breve” di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, decorre dall’udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo, secondo la previsione di cui all’art. 176 c.p.c..

Cass. sez. un. civ. n. 25208 del 15/12/2015: ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., è idonea la comunicazione dell’ordinanza, sicchè la Corte di cassazione, qualora verifichi che il termine stesso è scaduto in rapporto all’avvenuta comunicazione, dichiara inammissibile il ricorso, senza necessità di prospettare il tema alle parti, trattandosi di questione di diritto di natura esclusivamente processuale.

Cass. n. 20236 del 09/10/2015: il termine breve di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, in caso di ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., decorre, prioritariamente, dalla comunicazione di tale ordinanza, sicchè la data di quest’ultima non è solo presupposto dell’impugnazione in sè considerata, ma pure requisito essenziale (di contenuto-forma) del ricorso introduttivo, restando onere del ricorrente allegare gli elementi necessari per configurarne la tempestività.

Cass. n. 25115 del 14/12/2015: in caso di declaratoria di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado – decorrente, a norma del successivo art. 348 ter c.p.c., dalla comunicazione (o notificazione, se anteriore) dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile il gravame – si identifica in quello “breve” di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, dovendo intendersi pertanto il riferimento all’applicazione dell’art. 327 c.p.c. “in quanto compatibile” (contenuto nel medesimo art. 348 ter c.p.c.), come limitato ai casi in cui tale comunicazione (o notificazione) sia mancata).

Pertanto, nella specie il ricorso va dichiarato inammissibile, poichè la suddetta ordinanza della Corte distrettuale risulta comunicata integralmente, come da verbale di udienza 8 luglio 2014, allorchè fu pronunciata, mentre la notifica del ricorso è stata chiesta il 23-12-2014 (perciò dopo 5 mesi, 2 settimane e un giorno, pari a complessivi 168 giorni), dunque ben oltre il termine di giorni sessanta di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2 (non rilevando, peraltro, nella specie neanche la sospensione dei termini durante il periodo feriale, che ad ogni modo non opera per le controversie di lavoro – così tra le altre Cass. sez. un. civ. n. 749 del 16/01/2007, secondo cui, inoltre, in tale materia l’esclusione dalla sospensione feriale dei termini si applica anche con riferimento ai giudizi di cassazione).

Quanto poi al verbale di conciliazione in data 27 gennaio 2015, prodotto soltanto in sede di pubblica udienza, ne va evidenziata l’irrilevanza, almeno per quanto concerne questo procedimento. Ed invero, l’inosservanza dei termini, perentori, ex artt. 325 o 327 c.p.c. comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato (come tale rilevabile anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo) della sentenza impugnata, fin dallo spirare del termine ultimo utile per proporre l’impugnazione, donde la portata meramente dichiarativa della relativa pronuncia, perciò senza alcun rilievo processuale dei successivi atti posti in essere, salvo restando tuttavia la disponibilità degli effetti del giudicato dalle parti legittimate, le quali rimangono perciò libere di concordare un diverso assetto dei loro interessi (cfr. tra l’altro Cass. 1 civ. n. 2234 del 14/04/1981, laddove si è confermato che la declaratoria d’inammissibilità è preliminare rispetto alla pronunzia di estinzione del processo per la rinunzia all’impugnazione, non potendosi rinunziare ad un diritto processuale quando non sussistano le condizioni necessarie per il suo esercizio. Conformi: n.. 1263 del 1980, n. 4182 del 1979, n. 5812 del 1978, n. 3736 del 1976.

V. più recentemente Cass. sez. un. civ. n. 15438 del 04/11/2002: la pronuncia sulla inammissibilità o improcedibilità del ricorso per cassazione ha carattere pregiudiziale e prevalente rispetto a quella sulla rinuncia stessa, la quale postula la ritualità dell’impugnazione, poichè non è dato di rinunciare ad un diritto processuale quando non esistono le condizioni necessarie per il suo esercizio. Conforme Cass. n. 8801 del 1999.

Cfr. altresì Cass. 5 civ. n. 5468 del 29/02/2008, secondo cui la tardività dell’opposizione a sanzione amministrativa impone al giudice di dichiararne l’inammissibilità prima di qualsiasi esame nel merito, e quindi anche allorquando, per effetto della rinuncia da parte dell’amministrazione alla propria pretesa, sia cessata la materia del contendere).

Visto, infine, che la B. è rimasta intimata, non avendo svolto alcuna attività difensiva, nonostante la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, nulla va disposto per le relative spese.

Tuttavia, ricorrono i presupposti di legge, attesa l’anzidetta inammissibilità del ricorso, successivo al gennaio 2013, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso. NULLA per le spese nei riguardi dell’intimata B..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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