Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25181 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/12/2016, (ud. 13/07/2016, dep. 07/12/2016), n.25181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18172-2015 proposto da:

C.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 56 INT. 8, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNI BONACCIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALDO

VALENTINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ACQUAMBIENTE MARCHE S.R.L., già CIGAD S.P.A.;

– intimata –

Nonchè da:

ACQUAMBIENTE MARCHE S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MAGILANO SABINA 24, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PETTINARI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO LUCCHETTI, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 186/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 05/02/2015 R.G.N. 7/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato VALENTINI ALDO;

udito l’Avvocato LUCCHETTI ALBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso principale, assorbimento

dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Ancona, con sentenze dell’11/2/2006 (non definitiva) e dei 16/5/2006 (definitiva), in parziale accoglimento delle domande proposte da C.M. nei confronti di CIGAD s.p.a. (nel quale era stato trasformato il Consorzio intercomunale gas acqua depurazione – CIGAD, con conferimento di parte delle attività in Acquambiente Marche s.r.l.) e di Acquambiente Marche s.r.l., dichiarò il diritto nel ricorrente alla qualifica di dirigente dal 1/4/1983, condannando le società convenute a corrispondere le differenze retributive a lui spettanti dal 1/9/1995 al 21/11/1997 Respinse ia comanda riconvenzionale proposta dalle società nei confronti del C. e diretta a ottenere la condanna dei medesimo al risarcimento dei danni cagionati da gravi negligenze e inadempienze commesse durante il rapporto di lavoro alle dipendenze del consorzio, decorrente dal 1983. Con sentenza del 6/10/2010 la Corte d’appello di Ancona, investita del gravame, accolse la censura delle società avverso la sentenza di primo grado, relativamente all’accertamento del diritto dei C. alla qualifica di dirigente e alla relativa decorrenza, che fissò al 1 marzo 1984; respinse l’appello incidentale del C. avverso le sentenze, non definitiva e definitiva, di rigetto della domanda dallo stesso proposta per l’annullamento del licenziamento intimatogli dal CIGAD s.p.a. e le conseguenti statuizioni di cui all’art. 18 St. lav.

2. La Corte di Cassazione, investita del ricorso di entrambe le parti, con sentenza del 2/7/2013, n. 24531, accolse l’impugnazione proposta dal C. e rigettò il ricorso incidentale proposto da Acquambiente Marche s.r.l., nella quale si era fusa per incorporazione Cigad s.p.a..

Annullò la sentenza impugnata, rimettendo la causa al giudice del rinvio.

3. Decidendo in sede di rinvio, la Corte d’appello di Perugia, premesso che restava oggetto di contesa fra le parti il licenziamento disciplinare irrogato al C. con lettera 21 novembre 1997 e che comportamenti oggetto di contestazione disciplinare erano riconducibili alle imputazioni in sede penale nei confronti del predetto, osservò che doveva escludersi la rilevanza ai fini dell’indagine delle condotte di cui ai capi E, F, G, H di cui ai decreto di rinvio a giudizio, poichè con riferimento ad esse il datore di lavoro era decaduto dall’esercizio dei potere disciplinare, nonchè quelle di cui ai capi A. D, G, per le quali vi era stata assoluzione con formula ampia per insussistenza del fatto. Rilevò che ai fini della valutazione in ordine alla legittimità dei licenziamento dovevano essere considerati i fatti di cui ai capi B, I, L, sia per quanto attiene alla sussistenza degli addebiti.. che per guanto attiene all’idoneità a giustificare il recesso, affermando che ciascuno degli episodi in questione era idoneo a tal fine.

3.1. Specificamente, per quanto attiene alla condotta di cui ai capo B dell’imputazione penale, osservò la Corte che la stessa riguardava vicenda della revisione dei prezzi per la costruzione del terzo lotto per la canalizzazione delle acque potabili da (OMISSIS), nella quale il M., progettista esterno, determinò l’indice di revisione in 1,3671, mentre quello corretto sarebbe stato 1,1892, con conseguente indebita sopravvalutazione del corrispettivo spettante all’azienda appaltatrice; oltre che de compenso spettante all’ingegner M. per la revisione. Nei giudizio penale fu ritenuta insufficiente la prova in merito all’elemento soggettivo dei reato (dolo), rilevandosi che non poteva escludersi che il fatto fosse derivato da errore. Rilevò la Corte che le società appellanti, che avevano visto respingere la domanda di accertamento dell’illegittimità dei licenziamento, non avevano l’onere di impugnare l’erronea statuizione della sentenza di primo grado nel punto in cui aveva ritenuto insussistente l’addebito disciplinare specifico, poichè era sufficiente che esse riproponessero tutti i profili di responsabilità disciplinare del ricorrente, come in concreto era avvenuto. Osservò che in quell’episodio era da ravvisare ia responsabilità del C., quale omise di esercitare sul conteggio del M. quel controllo che il suo ruolo gli avrebbe imposto. E ciò considerando tanto il diritto all’inquadramento nella qualifica di dirigente riconosciuto giudizialmente ai ricorrente, quanto l’inquadramento ricevuto dall’azienda (ottava qualifica funzionale e poi qualifica A3, nel tempo attribuitegli). Concluse affermando che il comportamento del C. integrava un inadempimento particolarmente significativo dei doveri nascenti dal rapporto di lavoro, denotando negligenza e superficialità nell’esecuzione di un compito di particolare rilievo per l’attività della società.

3.2. In ordine ai fatti contestati al capo I, rispetto ai quali il giudice penale aveva dichiarate l’estinzione per prescrizione, l’addebito consisteva nei non aver rilevato l’infondatezza della richiesta di revisione dei prezzi avanzata dall’Ati Edilstrade-Seas nell’ambito delle opere di posa in opera della condotta di acqua potabile del terzo lotto dei progetto (OMISSIS) e, anzi; nell’aver sostenuto le pretese dell’appaltatrice che aveva formulato riserva al riguardo, affermando la genuinità di un documento datato 18 aprile 1988 che nessuno aveva mai visto prima e che era privo del numero di protocolo. Osservò la Corte che, anche ad escludere l’ipotesi di connivenza con le appaltatrici, la condotta del C. era gravemente lesiva dei suo dovere di lealtà nei confronti del datore di lavoro e denotava una sostanziale indifferenza verso gli interessi dell’ente, che, invece, gli avrebbe dovuto curare con diligenza e dedizione, tenuto anche conto del suo ruolo direttivo.

3.3. In relazione alla condotta di cui al capo L dell’imputazione (per la quale vi fu declaratoria di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione), concernente l’affidamento alla s.r.l. EcoAmbiente di uno studio per la valutazione dell’impatto ambientale della realizzazione di potabilizzatore, rilevò la Corte territoriale che lo studio era inutile (rientrando la valutazione di impatto ambientale per contratto tra gli obblighi della società incaricata della progettazione dell’opera) e, in ogni caso, eccessivamente dispendioso. In ragione della decisione, ab origine errata, assunta dai C. con riferimento all’incarico conferito, era del pari configurabile il grave inadempimento idoneo a giustificare licenziamento. Precisò la Corte territoriale che ciascuno degli addebiti suindicati era di per sè idoneo a giustificare il licenziamento.

4. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il C. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la società; proponendo, altresì, ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va premesso che il ricorso, per la sua tecnica redazione, farcita dell’allegazione di documenti ed atti processuali nella loro integralità, frammisti con l’esposizione delle censure proposte presenta profili d’inammissibilità. Questa Corte legittimità, infatti, ha avuto modo di affermare che ricorso per cassazione redatto per assemblaggio, attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero letterale; contenuto negli atti processuali, è carente del requisito di cui all’art. 365 c.p.c., n. 3), che non può, a fronte dell’utilizzo di tale tecnica, neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi” (Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 3385 del 22/02/2016, Rv. 638771, conforme Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18363 del 18/09/2015, Rv. 636551, nello stesso senso). Di conseguenza è per mera completezza d’indagine che si passa all’esame delle singole censure, per come evincibili dal tenore del ricorso, pur con i limiti derivanti dalla inadeguata tecnica redazionale.

2. Con il primo motivo li ricorrente principale deduce: A) Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione alla violazione dei principi di divieto di produzione di nuovi documenti ed in tema di giudicato e conseguente vizio di ultra-petizione; 8) Violazione di legge in relazione agli artt. 345 e 447 c.p.c.; C) Violazione di legge in relazione all’art. 2909 c.c.; d) Error in procedendo. Rileva che la Corte d’Appello non ha contestato la produzione documentale di controparte e, in particolare, quella dei documento portante il n. 10, relativo ai contenzioso con Equitalia, del tutto estraneo alla vicenda ma certamente in grado di poter influenzare ed incidere sullo scrutinio effettuato dalla Corte d’appello. La stessa Corte, inoltre, osservando che la sentenza di primo grado, pur rigettando la domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, conteneva la statuizione secondo cui l’assoluzione dal reato contestato sub A) escluderebbe automaticamente la responsabilità per quanto attiene al capo B), aveva rilevato che le società appellanti non avevano l’onere di impugnare la sentenza di primo grado in relazione agli addebiti disciplinari specifici, essendo sufficiente che esse riproponessero la questione nei gradi successivi.

3. Il motivo è infondato. Quanto al primo profilo, se ne evidenzia la genericità, poichè non è indicato il contenuto del documento che si assume illegittimamente ammesso, nè le ragioni che consentano di dedurne la decisività, in ordine ai secondo profilo di censura, si evidenzia che la pronuncia della Corte territoriale è conforme all’interpretazione dell’art. 346 c.p.c. offerta da questa Corte di legittimità, secondo cui “la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi aria presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle” (si veda, per tutte, Sez. 1, Sentenza n. 9889 del 13/05/2016, Rv. 639809).

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 360, n. 3 in relazione alla violazione degli artt. 2104, 2105 e 2106 c.c. in rapporto all’art. 2119 c.c. – Difetto dei presupposti e di motivazione per configurare un giustificato motivo soggettivo ovvero una giusta causa – Error in procedendo. Rileva che la Corte d’appello ha esaminato le problematiche attinenti alle contestazioni penali di cui alle lettere B, I e L, senza valutare in modo corretto e ponderato le posizioni dei ricorrente alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e, specificamente, dalla sentenza che dispose il rinvio, in forza dei quali le condotte del C. devono essere valutate rispetto ai principi giuslavoristici in tema di licenziamenti per gli impiegati e non per Rileva, inoltre, quanto all’addebito di cui alla lettera B), che lo stesso è smentito dalla ricostruzione dei fatti e da quanto si ricava dalle stesse decisioni in sede penale, posto che il C. all’epoca era un impiegato (A/3) e, pertanto, con limitate possibilità di agire e, tantomeno, di assumere decisioni in via autonoma per il Consorzio. Rileva, inoltre, quanto alla ravvisata responsabilità del C. per ritenuta omissione di controllo sul conteggio proposto dal M., che non si riesce a comprendere come possa giungersi alle conclusioni cui è pervenuto il consulente, posto che dalla sentenza penale si desume che la quantificazione dell’aggiornamento era corretta e che il C. era stato coinvolto sulla scorta di mere dichiarazioni dello stesso progettista. Contesta la ricostruzione dei fatti in relazione alla mancata rilevazione dell’infondatezza della richiesta di revisione dei prezzi avanzata da Ati Autostrade s.r.l., che assume fondata sulla mera valutazione delle dichiarazioni contrapposte delle parti. Rileva la circostanza che il fatto disciplinare era noto agli organi della Cigad sin dai 1992 non può conciliarsi con la riconosciuta tempestività degli addebiti. Con riferimento all’addebito di cui alla lettera L, rileva che la presunta eccessiva onerosità dei compenso non era ravvisabile, poichè la materia non era regolamentata da alcuna legge e che i compensi rispettavano totalmente le tariffe professionali. In conclusione, deduce che il giudice del rinvio non aveva valutato adeguatamente l’effettiva gravità dei fatti contestati, mancando di contestualizzarli non già con il metro della responsabilità apicale e dirigenziale ma con quella di un impiegato d’ordine con qualifica A 3.

4. Anche le predette censure sono prive di fondamento. La sentenza, infatti, motiva riguardo alla responsabilità del ricorrente, anche con specifico riferimento all’inquadramento dallo stesso ricevuto dall’azienda, in forza del quale “egli era tutt’altro che un modesto impiegato, poichè l’ottava qualifica funzionale e poi la qualifica A 3, nel tempo attribuitegli, erano entrambe qualifiche direttive, ben diverse da quelle spettanti a un semplice impiegato d’ordine. Inoltre il ricorrente era responsabile dei procedimenti concernenti gli appalti delle grandi opere eseguite.” Quanto agli altri rilievi, gli stessi si risolvono nella proposizione di una valutazione degli elementi difforme da quella offerta dai giudici del merito. Specificamente, in ordine alle doglianze relative alla CTU, la censura avrebbe richiesto una maggiore specificazione, anche in termini di allegazioni documentali (mediante opportuna riproduzione delle parti della relazione di consulenza oggetto di contestazione e degli atti di parte di riferimento), risultando, al contrario, generica. Per quanto concerne, poi, il profilo attinente alla tardività della contestazione, a fine di escluderne la fondatezza è sufficiente richiamare le notazioni decisive a pg. 19 della sentenza impugnata, peraltro non specificamente censurate, in cui si rileva che “nonostante che in alcuni casi i fatti risalissero a diverso tempo prima; il CIGAD ebbe la piena consapevolezza degli illeciti perpetrati ai suoi danni solo con l’avvio del procedimento penale. Poichè i fatti coinvolgevano la responsabilità di varie persone, e non solo del C., il ruolo da questi effettivamente svolto in quelle vicende essere compreso appieno soltanto dopo l’emergere delle condotte penalmente rilevanti”.

5. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione all’art. 360, n. 5, vizio di motivazione in relazione al D.P.R. n. 3 del 1957, all’art. 7 Statuto Lavoratori e al principio di conservazione degli atti, alla L. n. 504 del 1955, art. 1 all’art. 2119 c.c. e all’art. 112 c.p.c.. Error in indicando. Rileva il ricorrente che contraddittoria e viziata appare la motivazione data riguardo al rispetto della procedura di cui al CCNL 2/8/1991. Osserva, tra l’altro, che l’istruttoria doveva comunque esaurirsi con la ricezione da parte dei ricorrente della relazione, mentre si è protratta oltre il termine di trenta giorni previsti dal contratto vigente, termine perentorio, non potendosi condividere le considerazioni sulla complessità degli addebiti, riferibile non genericamente a situazioni di difficoltà istruttoria, ma a circostanze impeditive assimilabili alla forza maggiore. Evidenzia, inoltre la fondatezza del rilievo attinente alla illegittimità del licenziamento per difetto del requisito dell’immediatezza della contestazione degli addebiti. Pur richiamando principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità in punto di elasticità dell’applicazione del principio di immediatezza della contestazione, rileva che la valutazione a tali fini, in relazione alla specifica realtà fattuale in cui si è concretizzato l’illecito disciplinare, è stata compiuta dal giudice in modo parziale ed erroneo, senza adeguata considerazione delle circostanze concrete.

6. Anche tale censura è infondata, poichè non risultano denunciati vizi sussumibili nell’ambito dei limiti della doglianza come enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 vigente ratione temporis, come risultante dall’intervento della L. n. 134 del 2012, (così Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dai art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”). La critica alla sentenza si risolve, di conseguenza, in una non consentita rivalutazione delle circostanze emergenti dall’istruttoria.

7. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, rimanendo assorbite nella pronuncia di rigetto le censure poste con il ricorso incidentale condizionato, attinenti alla ritenuta carenza del requisito dell’immediatezza con riferimento agli addebiti di cui ai capi E, F, G, H del decreto di rinvio a giudizio e alla affermata non utilizzabilità, ai fini del provvedimento espulsivo, delle condotte di cui ai capi A, D e G, per le quali il C. fu assolto.

8. Le spese dei presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori si legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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