Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2518 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/01/2019, (ud. 26/06/2018, dep. 29/01/2019), n.2518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4029-2017 proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dei rispettivi

Amministratori pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato FRANCESCO CIABATTONI;

– ricorrenti –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona dei

Curatori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

BASTIONI DI MICHELANGELO 5/A, presso lo studio dell’avvocato MONICA

SAVONI, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO MAROZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 97/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 28/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza n. 595/2008, resa in data 10 luglio 2008 e depositata il 16 agosto 2008, in accoglimento della domanda proposta dai condomini “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” nei confronti della S.r.l. (OMISSIS), accertato che il difetto di costruzione degli edifici, causa del fenomeno di risalita capillare di acqua dal sottosuolo nei pavimenti e nelle pareti esterne ed interne dei primi piani degli edifici, era dovuto alle tecniche di edificazione, condannava la (OMISSIS), al pagamento, in favore dei condomini, della somma di Euro 277.241,04, oltre rivalutazione monetaria ed interessi come per legge, nonchè delle spese di lite.

In virtù del gravame interposto dalla società appaltante, previamente interrotto dal giudizio di fallimento della società costruttrice, poi riassunto dalla curatela, la Corte di Appello di Ancona, con sentenza n. 97 del 2016, pubblicata in data 28 gennaio 2016, nella resistenza dei condomini, dichiarava la sopravvenuta improcedibilità delle domande oltre a compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, i Condomini degli edifici “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, propongono ricorso per Cassazione, affidandosi a due motivi, cui replica la Curatela del fallimento (OMISSIS) & C. S.r.l. in liquidazione con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere parzialmente accolto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente notificato ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale, entrambi le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Atteso che:

– con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del sistema delineato dal R.D.Lgs. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 52 e 96, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in riferimento alla dichiarata sopravvenuta improcedibilità del giudizio. Ad avviso dei condomini, la sentenza della Corte di appello di Ancona sarebbe viziata laddove ha dichiarato la sopravvenuta improcedibilità di tutte le domande svolte dagli appellati, giacchè queste traevano titolo da ragioni di credito nei confronti della procedura fallimentare.

In altri termini, i ricorrenti, nel giudizio di appello, contestavano la erronea applicazione della L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3, precisando che le domande proposte avevano ad oggetto, solo la corresponsione del saldo della somma cui la società fallita era stata condannata con sentenza di primo grado, pari ad Euro 129.000,00.

Sennonchè, secondo il combinato disposto del R.D.Lgs. n. 267 del 1942, artt. 52 e 95, e successive modifiche, qualsiasi ragione di credito nei confronti della procedura fallimentare deve essere dedotta nel rispetto della regola del concorso, con le forme di insinuazione al passivo. In esso si esplica il principio di esclusività dell’accertamento del passivo.

Di converso, l’art. 96, comma 2, n. 3, della sopra citata normativa, dispone altresì che: “oltre nei casi stabiliti dalla legge, sono ammessi al passivo con riserva, tra l’altro, i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento”. La ratio di tale disposizione è da rinvenirsi nell’evitare che si verifichino conflitti di giudicati e nel contempo tutelare la pretesa creditoria. La questione oggetto di disamina, poichè si fonda sulla richiesta di corresponsione di una somma ancora non riscossa dalla parte debitrice, si ritiene che non possa essere condotta nell’alveo applicativo di tale ultima disposizione. Infatti, rileva la circostanza che la sentenza del giudice di prime cure non era ancora passata in giudicato, per l’effetto dell’impugnativa della parte soccombente, al momento del fallimento. A seguito dell’intervenuto fallimento della Grillo Costruzioni Edili S.r.l., in cui il titolo giudiziario non ancora definitivamente formato, come previsto dal R.D.Lgs. n. 267 del 1942, art. 43, comma 3, i processi a carico del soggetto fallito si interrompono, potendo quest’ultimo intervenire solo in determinati casi, precipuamente indicati dal legislatore. A ragione di ciò, il giudizio de quo non avrebbe potuto proseguire dinanzi alla Corte di Appello, operando per esso la vis attractiva della competenza del giudice delegato al fallimento, in relazione a tutte le azioni di insinuazione allo stato passivo. Ne deriva che, la statuizione operata dalla Corte territoriale, consistente nel dichiarare improcedibile l’appello, si appalesa ragionevole. A tal riguardo, giova menzione l’insegnamento di questa Corte (Cass. n. 9198/2017 e Cass. n. 28833/2017), con la quale si afferma che dalle regole generali dell’inammissibilità o improcedibilità delle azioni individuali esecutive e cautelari iniziate o proseguite dopo il fallimento (L. fall. art. 51) e della soggezione dei creditori al procedimento di accertamento del passivo (L. fall. art. 52, comma 2), discende la concentrazione in sede fallimentare, entro l’ambito del procedimento di verificazione del passivo, di tutti gli accertamenti, ivi compresi quelli in corso alla data di apertura della procedura, suscettibili di ricadute sul patrimonio del fallito compreso nel fallimento, con conseguente onere per i creditori che intendano far valere pretese patrimoniali nei confronti della procedura di presentare domanda di ammissione al passivo nei modi e nelle forme di cui alla L. fall. artt. 93 e seguenti. Dunque, le domande a contenuto patrimoniale proposte in sede ordinaria nei confronti della Curatela dopo la dichiarazione di fallimento sono inammissibili.

Non appare, altresì, dirimente, per l’applicazione del principio secondo cui il giudizio può proseguire quando il creditore intenda far valere la decisione nei confronti del fallito una volta tornato in bonis, il fatto che la curatela abbia riassunto il processo nei confronti dei condomini appellati. Infatti, quest’ultima, come emerge chiaramente dalla domanda avanzata, chiedeva, in linea con le richieste precedentemente promosse dall’impresa fallita, la riforma della sentenza di primo grado, quindi l’accertamento della non sussistenza della responsabilità aquiliana in capo alla (OMISSIS) S.r.l., ai sensi dell’art. 1669 c.c. Di talchè, la riassunzione non si può qualificare quale ritorno in bonis del soggetto fallito.

Quanto precisato non può essere ragionevolmente messo in discussione dalla giurisprudenza citata da parte ricorrente, nella memoria presentata in prossimità dell’adunanza camerale, poichè la fattispecie cui le pronunce si riferiscono non hanno alcunchè di identitario con il caso in esame. Infatti, le stesse prendono in considerazione i crediti oggetto di accertamento negativo e come tali non partecipi all’ammissione dello stato passivo dinanzi al giudice delegato, per mancanza di titolo idoneo.

Il motivo va dunque respinto;

– con il secondo motivo parte ricorrente denuncia la violazione, nonchè l’errata applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 3, ovvero con riferimento alla pronuncia sulle spese di giudizio e di CTU. Secondo quanto dedotto dalla medesima parte, la sentenza della Corte di appello, sarebbe, altresì, viziata nella parte in cui dispone la compensazione delle spese di lite afferenti al doppio grado di giudizio, ovvero prescrivendo una responsabilità solidale per la corresponsione delle spese di CTU, nonostante la prevalente soccombenza dell’impresa fallita.

I condomini, infatti, sostengono che quanto statuito si ponga in contrasto con la nuova normativa ex art. 92 c.p.c., comma 2, così come delineata dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con L. 10 novembre 2014, n. 162, statuente che la compensazione delle spese possa avvenire nelle ipotesi di soccombenza reciproca, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

Tuttavia, seppur quanto dedotto dalla parte ricorrente è astrattamente corretto, non si ritiene applicabile alla questione oggetto di giudizio. Infatti, l’intervenuta modifica, che ha positivizzato i criteri ai quali il giudice deve soggiacere nel disporre la compensazione, riducendo la precedente ampia discrezionalità dello stesso, non può trovare accoglimento. A norma del D.L. n. 132 del 2012, art. 13, comma 2, il legislatore ha disposto che tale nuova disciplina, debba trovare applicazione solo “ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, in deroga, dunque, al principio tempus regit actum.

Poichè l’introduzione del giudizio di secondo grado risale al 13/03/2009, la normativa ratione temporis da applicare, sarà quella prescritta ante riforma, ossia la L. 18 giugno 2009, n. 69, statuente la possibilità per il giudice di compensare le spese, non solo qualora vi fosse soccombenza reciproca, ma anche ogni volta in cui ricorressero altri gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione.

Tuttavia, così come specificato da codesta Suprema Corte (Cass. 11 luglio 2014 n. 16037), “le gravi ed eccezionali ragioni, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendosi ritenere sufficiente il mero riferimento alla natura processuale della pronuncia”. E, poichè, il giudice di secondo grado, nello statuire la compensazione delle spese ha posto alla base il fatto che si fosse addivenuti ad una decisione in mero rito, quanto disposto si appalesa contra ius, poichè non ha correttamente applicato la disciplina ratione temporis prescritta.

Del resto si palesa privo di pregio quanto dedotto dalla parte resistente nella memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale, per cui trova conferma quanto sin qui indicato.

Ne consegue l’accoglimento della censura.

In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, e cassato il provvedimento impugnato in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, a cui viene rimessa anche la liquidazione delle spese di legittimità.

Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione Civile, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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