Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25179 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. I, 10/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 10/11/2020), n.25179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8063/2019 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in Roma, presso Corte

Cassazione e rappresentato e difeso dall’Avvocato PRATICO’

ALESSANDRO;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1377/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 24/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 da Dott. GORJAN SERGIO;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.S. – cittadino del (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Torino avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essere dovuto fuggire dal suo Paese poichè, alla morte del padre – essendosi sua madre risposata – andò a vivere con zio paterno, il quale tuttavia lo maltrattava e voleva costringerlo, anche con la forza, a seguire una scuola coranica, sicchè, venduto un terreno dell’eredità paterna, fuggì dal Paese. Il Giudice piemontese ebbe a rigettare il ricorso ritenendo non credibile il racconto fatto dal richiedente asilo e non sussistente ragione, prescritta dalla normativa in materia, per godere della protezione internazionale.

Il Tribunale inoltre aveva reputato anche non concorrenti le condizioni in forza delle quali è possibile riconoscere la protezione umanitaria.

Il C. ebbe ad impugnare la prima sentenza con gravame avanti alla Corte d’Appello di Torino, attingendo esclusivamente la statuizione afferente il rigetto della sua domanda di godere della protezione umanitaria in presenza di una sua situazione di integrazione in Italia e condizione di vulnerabilità rappresentata dalla sua giovine età.

La Corte cisalpina ha rigettato il gravame osservando, anzitutto, la carenza di prospettazioni fattuali lumeggianti condizione diversa di vulnerabilità rispetto alla sua giovane età; quindi come l’attività svolte nell’ambito del programma di accoglienza non potevano assumere ex se, siccome la mera giovine età, a requisito valutabile ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte subalpina articolato su unico motivo.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, s’è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto da C.S. appare inammissibile ex art. 360 bis c.p.c. – siccome ricostruita la norma ex Cass. SU n. 7155/17.

Con l’unico mezzo d’impugnazione proposto il ricorrente deduce violazione delle norme di diritto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6, nonchè difetto di motivazione in relazione alla mancata considerazione della condizione di vulnerabilità palesata dagli atti di violenza domestica subiti in casa dello zio.

In particolare il ricorrente osserva come, se effettivamente s’allontanò dal suo Paese quando già maggiorenne, tuttavia la Corte cisalpina non ha valutato che così egli dovette determinarsi per le violenze domestiche subite dallo zio e come determinate situazioni sociali – minore affidato a parente – abbiano rilevanza nel costume del suo Paese.

La svolta censura s’appalesa fondata su questione fattuale non sottoposta al Giudice d’appello e generica.

Difatti nella sentenza impugnata viene espressamente dato atto che il Tribunale ebbe a ritenere non credibile il racconto reso dal C. a giustificazione del suo espatrio e tale statuizione non risulta attinta da motivo di gravame, anzi la Corte cisalpina dà espressamente atto che l’appellante abbandonava la domanda di protezione sussidiaria per coltivare solo quella fondata sulla protezione umanitaria correlata a due specifiche questioni – la condizione di vulnerabilità rappresentata dalla giovine età e l’attività d’inserimento nella società italiana -. Quindi la Corte torinese non ha valutato la questione della credibilità del racconto, in quanto, non essendo stata fatto oggetto di specifico motivo di gravame, sulla stessa s’era formato il giudicato interno.

Dunque la non attendibilità del racconto reso – appunto fondato sulle violenze domestiche in questa sede enfatizzate – anche importava la non concorrenza di detta condizione di vulnerabilità, che significativamente era dal ricorrente specificatamente individuata nella sola sua giovane età.

Nell’argomentazione critica sviluppata, il C. non si confronta in effetti con la motivazione resa dalla Corte subalpina a sostegno della sua decisione con conseguente inammissibilità della sua unica ragione d’impugnazione.

Alla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione costituita, stante che il controricorso depositato non ha contenuto proprio di detto atto processuale. Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

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