Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25179 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 08/10/2019), n.25179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28939-2018 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CERTO ENNIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO, SEZIONE DISTACCATA DI

CAMPOBASSO;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 426/2018de1 TRIBUNALE di CAMPOBASSO,

depositato il 24/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

Che:

Il Tribunale di Campobasso, con il decreto depositato il 24/8/2018 in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da P.G., proveniente dalla Nigeria. Questi ha proposto ricorso per cassazione il 21/9/2018 con due mezzi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, lamentando che l’esame delle domande del richiedente non era avvenuto previa acquisizione e considerazione di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente, anche nella zona dell’Edo State di sua provenienza, nell’assolvimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria posto in capo alle autorità decidenti.

Si lamenta, quindi, che il giudice abbia valutato in maniera apodittica la situazione dell’Edo State, limitandosi ad escludere la presenza dell’organizzazione di Boko Haram sulla base del solo rapporto Amnesty International; si sostiene inoltre che l’inverosimiglianza del racconto del richiedente circa le ragioni del suo allontanamento dal Paese di origine non possono essere motivo di esclusione della protezione sussidiaria quando la situazione del Paese è fuori dal controllo delle autorità statuali, senza la necessità di una individualizzazione della minaccia o del pericolo.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e della Circolare n. 3716 del 30/7/2015 della Commissione Nazionale per il Diritto di asilo, e si sostiene che il Tribunale, una volta esclusa la riconoscibilità dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, avrebbe dovuto verificare se le circostanze dedotte dal richiedente, ai fini della concessione delle due misure maggiori, giustificassero il riconoscimento della protezione umanitaria. Si sostiene, all’uopo che il livello generale di insicurezza del Paese di provenienza ben può determinare una temporanea impossibilità di rimpatrio, non dovendosi ritenere il beneficio limitato ai soli casi considerati dal Tribunale di Campobasso, che ne ha escluso la riconoscibilità sulla considerazione che il richiedente era in età adulta, non aveva malattie ed era privo di legami specifici e personali con l’Italia.

2. I motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Va osservato che il ricorso non risponde ai requisiti richiesti dall’art. 366 c.p.c. giacchè le doglianze, prospettate in maniera del tutto assertiva ed astratta non si confrontano affatto con la motivazione e l’iter logico/giudiridico seguito nella pur sintetica statuizione impugnata.

Invero, il Tribunale ha ricordato il racconto del ricorrente che aveva riferito alla Commissione di essere fuggito dalla Nigeria perchè era stato vittima di un’aggressione sessuale ed era stato consegnato ai vecchi del villaggio, che lo avevano legato ad un albero dal quale era riuscito a liberarsi-condividendo la valutazione di incoerenza ed implausibilità del racconto compiuta dalla Commissione, senza che sul punto il ricorrente abbia formulato alcuna contestazione od offerto spiegazioni.

Ha inoltre rimarcato che la zona di provenienza del ricorrente non rientra tra quelle connotate da una situazione di generalizzata ed indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato o a causa degli attacchi di Boko Haram, richiamando il rapporto di Amnesty International 2017/2018.

I motivi, quantunque prospettino una violazione di legge, ma si limitano ad invocare in modo generico l’applicazione delle norme e ad elencare precedenti giurisprudenziali senza illustrare -con riferimento alla concreta fattispecie – in cosa sia consistita la violazione attribuita al giudicante di merito (Cass. n. 5001 del 02/03/2018; Cass. n. 24298 del 29/11/2016).

In realtà gli stessi appaiono intesi a promuovere una rivisitazione dell’apprezzamento di fatto operato dal decidente di merito, nell’auspicio che una nuova interpretazione dei dati salienti della vicenda possa condurre ad un esito conclusivo del giudizio più favorevole di quello fatto segnare dal Tribunale, senza nemmeno puntualmente contestare quanto accertato in fatto dal giudice del merito.

A ciò va aggiunto che il ricorrente vanamente invoca l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente la protezione, desumibile dal D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3, comma 5, in particolare, avendo l’interessato pur sempre l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (art. 3, comma 5, lett. a), solo nel quale caso (e in presenza delle ulteriori condizioni poste dalla norma) è possibile considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, che integra una delle ratio decidendi della sentenza impugnata, costituisce un apprezzamento di fatto che è riservato al giudice di merito, al quale compete di valutare se le dichiarazioni del richiedente la protezione siano coerenti e plausibili (lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. n. 27503 del 30/10/2018) e che è censurabile in cassazione esclusivamente sul piano motivazionale (Cass. n. 3340 del 5/2/2019).

Inoltre, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925 del 27/06/2018)

La sentenza impugnata ha comunque accertato, – dando conto delle fonti consultate, contrariamente a quanto assume il ricorrente che, peraltro, manca di indicare altre fonti e di precisare quando ed in che termini siano state sottoposte al giudice del merito, – l’insussistenza di condizioni di insicurezza nella zona della Nigeria di sua provenienza, idonee ad integrare le fattispecie legali per il riconoscimento della protezione internazionale, con riguardo sia al pericolo di atti persecutori nei suoi confronti, sia alla violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, sia implicitamente al rischio di subire la violazione dei diritti fondamentali. Si tratta, anche in tal caso, di un apprezzamento di fatto, con il quale è stata esclusa la sussistenza delle condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione richiesta, che impropriamente il ricorrente vorrebbe sovvertire.

Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, in disparte dagli effetti del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 10 dicembre 2018, n. 132, art. 1, comma 1, risulta dirimente il difetto di qualsivoglia allegazione individualizzante in punto di vulnerabilità, senza che la insussistenza dei presupposti accertata dal Tribunale trovi una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo di ricorso.

Resta da aggiungere che la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari e di ragioni di vulnerabilità diverse da quelle poste a base della richiesta di altre forme di protezione non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla spese per assenza di attività difensive della controparte.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2019

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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