Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25178 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/10/2017, (ud. 13/09/2017, dep.24/10/2017),  n. 25178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26150-2016 proposto da:

L.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

CORRIDORI, 48, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GALLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GUGLIELMO LI CALZI;

– ricorrente –

contro

L.S.A., + ALTRI OMESSI

– controticorrente –

avverso la sentenza n. 1645/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/09/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 14/9/2016, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da L.P. per la condanna di L.S.A., + ALTRI OMESSI

che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato l’assenza di alcun riscontro probatorio circa l’esistenza di un nesso di causalità tra le condotte dannose contestate ai convenuti e i danni denunciati dall’attrice;

che, avverso la sentenza d’appello, L.P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che tutte le controparti resistono con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis L.P. ha presentato memoria;

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto insussistente il nesso di causalità tra le condotte dannose contestati ai condomini e l’ostruzione della colonna condominiale indicata quale causa dell’allagamento sofferto dall’attrice, in contrasto con il contenuto di tutte le fonti probatorie acquisite nel corso del giudizio, dalle quali era emersa con certezza la circostanza della riconducibilità del denunciato allagamento all’ostruzione della condotta di scarico condominiale dovuta al comportamento dei convenuti, nonchè in contrasto con lo stesso dettato dell’art. 2051 c.c. là dove ricollega l’obbligo risarcitorio del custode al solo rilievo del nesso di causalità tra il danno e la cosa custodita;

che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale omesso di considerare la decisiva circostanza della comprovata occlusione della colonna di scarico condominiale dovuta al fatto dei convenuti quale causa dei danni denunciati dall’originaria attrice;

che entrambi i motivi sono inammissibili;

che, al riguardo, osserva preliminarmente il Collegio come il riferimento operato dai giudici di merito al comportamento delle parti (e segnatamente della L. quale danneggiata), nel quadro di una valutazione condotta alla stregua del parametro normativo di cui all’art. 2051 c.c., deve ritenersi espressivo dell’esigenza di individuare le concrete forme di produzione dei danni provocati da una cosa la cui natura è tale da non determinare, di per sè, alcuna intrinseca pericolosità, con la conseguenza che, in relazione ai danni connessi al relativo uso, un rilievo decisivo dev’essere attribuito al controllo delle relative modalità di impiego, al fine di verificare se il comportamento di un terzo o dello stesso danneggiato non si ponga nei termini di quel “caso fortuito” idoneo, ai sensi dell’art. 2051 c.c., a recidere alcuna nesso di causalità materiale tra la cosa custodita e il danno;

che, ciò posto, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure avanzate dalla ricorrente (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la stessa si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la L. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, quanto alla doglianza illustrata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, risulta dal testo della motivazione che la corte territoriale abbia considerato tutte le circostanze di fatto riferite alle dinamiche che hanno interessato la colonna di scarico condominiale indicata quale pretesa causa dei danni sofferti dall’attrice;

che, da questo punto di vista, la censura della ricorrente si risolve – non già nella denuncia dell’annesso esame, ad opera del giudice d’appello, di fatti decisivi già controversi tra le parti, bensì nell’invocazione di una rilettura nel merito degli elementi istruttori e dei fatti emersi nel corso del processo, riproposti in una diversa prospettiva interpretativa, come tale non ammissibile in questa sede di legittimità;

che, sulla base delle considerazioni sin qui indicate, dev’essere rilevata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione sesta Civile – 3, il 13 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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