Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25178 del 11/10/2018

Cassazione civile sez. III, 11/10/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 11/10/2018), n.25178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10617-2016 proposto da:

DOBANK SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo

studio dell’Avvocato GENNARO UVA, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO SPA nella qualità di procuratore di CASTELLO FINANCE

S.R.L. di INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del procuratore Dott.

R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LILIO,

95, presso lo studio dell’avvocato MICHELE FERRARI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

L.M., L.R., L.A., L.M.A.,

P.U.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1105/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto di citazione del 13 gennaio 2014 Intesa Gestione Crediti S.p.A. conveniva davanti al Tribunale di Roma Unicredito Italiano, L.M., L.R., L.A., L.M.A. e P.U. perchè fosse dichiarato nei propri confronti inefficace ex art. 2901 c.c. un atto di concessione di ipoteca volontaria del (OMISSIS) con cui i L.- P. avevano garantito finanziamenti concessi da Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno a Romana Profilati S.r.l.. Si costituivano resistendo prima Unicredito Italiano e poi anche Unicredit Banca d’Impresa S.p.A., gli altri convenuti rimanendo contumaci. Il Tribunale, con sentenza del 28 febbraio 2008, rigettava la domanda.

Avendo proposto appello Italfondiario S.p.A., quale mandataria di Castello Finance S.r.l. e mandataria di Intesa SanPaolo (subentrati all’originaria attrice a seguito di intervenute incorporazioni), ed essendosi costituita resistendo la banca appellata, a sua volta divenuta Unicredit Credit Management Bank S.p.A., la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 19 febbraio 2016, accogliendo l’appello, dichiarava l’atto di concessione di ipoteca inefficace.

Ha presentato ricorso doBank S.p.A. (già Unicredit Credit Management Bank S.p.A.) sulla base di tre motivi, da cui si difende con controricorso Italfondiario S.p.A.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1 Il primo motivo del ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.. La sentenza di primo grado avrebbe rigettato la domanda per difetto di prova del consilium fraudis e dell’eventus damni. Il giudice di secondo grado avrebbe condiviso con il primo giudice la natura onerosa dell’atto in questione (che il secondo motivo d’appello prospettava gratuito), e pertanto la necessità di scientia damni del terzo; e la corte territoriale, a proposito del terzo motivo d’appello, riguardante proprio la prova del consilium fraudis e dell’eventus damni, avrebbe ritenuto che la Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno “non poteva non sapere” delle pregresse fideiussioni rilasciate dai concedenti dell’ipoteca e rinvenibili in ogni banca dati. La corte territoriale avrebbe errato, in quanto mancherebbe invece la prova della scientia fraudis della Cassa di Risparmio, con conseguente nullità della sentenza e del procedimento. Erroneamente, appunto, il giudice d’appello avrebbe ritenuto di ricavare tale prova presuntivamente, “autonomamente e senza alcun impulso probatorio dell’appellante”; e peraltro il giudice d’appello “misconosce” gli elementi che sarebbero semmai rivelatori. Il motivo prosegue con argomenti sui dati reperibili, per poi di affermare di aver ciò “dedotto solo ad colorandum”, perchè, anche qualora si fosse “fatta una retta considerazione delle evidenze contenute nelle banche dati”, la corte territoriale avrebbe comunque errato nel ritenere che l’esistenza di pregresse fideiussioni fosse un “sintomo rivelatore presuntivo che conduceva allo stato psicologico soggettivo di scientia”, costituendo idonei sintomi in tal senso soltanto i dati di sofferenza e non il mero rilascio di fideiussioni. Il convincimento della Cassa di Risparmio come stato psicologico soggettivo sarebbe stato anzi l’opposto: Romana Profilati S.r.l. sarebbe stata una società che godeva affidamento, e ciò sarebbe confermato dal fatto che la stessa Banca Intesa avrebbe proposto ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti della società solo più di tre anni dopo l’atto di concessione di ipoteca volontaria di cui si tratta. Pertanto il difetto di prova constatato in primo grado “è stato confermato” in grado d’appello, “nessuna prova sussistendo del consilium (scientia) fraudis nel terzo”, non essendo stato dedotto alcun sintomo rivelatore considerabile ai sensi dell’art. 2729 c.c..

1.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c..

La corte territoriale avrebbe affermato che la Cassa di Risparmio “non poteva non sapere”; in realtà vi sarebbe “carenza dell’iter argomentativo che ha viziato il dovere del giudice di esaminare tutti i fatti allegati dalle parti ed emersi nel giudizio”. Per questo la sentenza sarebbe nulla ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto totalmente priva di motivazione; e che la Cassa di Risparmio non potesse non rendersi conto dello stato di decozione di Romana Profilati S.r.l. sarebbe “argomentazione apparente”. Viene quindi censurato il percorso motivazionale, per concludere infine che la Cassa di Risparmio avrebbe effettuato le sue valutazioni e concluso per l’affidabilità di Romana Profilati S.r.l..

1.3 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e artt. 112 e 115 c.p.c..

I tre motivi proposti nell’appello sarebbero stati concernenti il primo la legittimazione a impugnare, il secondo la gratuità dell’atto de quo e il terzo la prova dell’eventus damni e del consilium fraudis. Violando “il perimetro dell’appello” disegnato dai motivi suddetti la corte territoriale avrebbe statuito che la banca non poteva non sapere, e ciò “in assenza di qualsiasi impulso probatorio dell’appellante” e “senza completare l’iter logico argomentativo” per spiegare in base a “quali i sintomi rivelatori indiziari” la Cassa di Risparmio “versava in uno stato psicologico concreto”. L’attuale ricorrente avrebbe contrastato la domanda dell’appellante negandone “il fatto costitutivo (scientia fraudis)”; ma la corte territoriale avrebbe pronunciato “d’ufficio extrapetita”.

2. Pur presentati, come appena si è illustrato, sotto diversi schermi che tentano di trasfonderli – anche tramite richiami giurisprudenziali – in denunce di vizi di diritto, di tutti e tre i motivi è ictu oculi percepibile la reale e comune natura fattuale: l’obiettivo è, per così dire, smontare l’accertamento di merito – e lo appalesa il leitmotiv del “non potere non sapere” posto come obiettivo, appunto, di una diretta critica fattuale – operato dal giudice d’appello, ottenendo così una revisione al riguardo, quasi che questa Suprema Corte svolgesse la funzione di giudice d’appello rispetto al giudice d’appello, e in particolare le fosse affidata la revisione della revisione operata da quest’ultimo rispetto all’accertamento fattuale del giudice di prime cure. E’ più che evidente, pertanto, l’inammissibilità del ricorso, in quanto utilizzato in modo pienamente incongruo rispetto allo scopo che a tale mezzo di tutela conferisce il legislatore, giungendosi in tal modo all’abuso del diritto processuale. Meramente ad abundantiam quindi si nota, infine, che la corte territoriale ha esternato la sua ricostruzione fattuale con una motivazione tutt’altro che inesistente/apparente.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

La manifesta conformazione fattuale di tutti i motivi, diretta ad ottenere un terzo grado di merito dal giudice di legittimità riproponendo, in sostanza, quanto era stato prospettato ai giudici cui era in effetti affidata la cognizione di merito, dimostra che il ricorso è stato proposto per una iniziativa quantomeno affetta da colpa grave – tenuto conto anche della natura professionale della ricorrente -, tramite un fraintendimento radicale del tratto più ovvio del ruolo di questa Suprema Corte. Si ritiene pertanto di dover condannare la ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, ritenendo equa una somma, da pagare pertanto a controparte, di Euro 10.000, alla luce dei canoni tanto del valore della controversia quanto del grado di evidenza dell’abuso dello strumento processuale rappresentato dal ricorso al giudice di legittimità.

Sussistono ex D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.200, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge, nonchè a pagarle la somma di Euro 10.000 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

In forza del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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