Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25178 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/10/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 08/10/2019), n.25178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26946/2017 proposto da:

GENERAL MOTORS FINANCIAL ITALIA S.P.A., già GMAC ITALIA S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIULIA 66, presso lo studio dell’avvocato

MAURIZIO ROSSI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANTONIO VALLEBONA;

– ricorrente – principale –

contro

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

OPEL FINANCE S.P.A., già GENERAL MOTORS FINANCIAL ITALIA S.P.A. e

ancora prima GMAC ITALIA S.P.A.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 17166/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 12/07/2017 R.G.N. 3877/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DANIELA D’ANDREA per delega verbale Avvocati ANTONIO

VALLEBONA, MAURIZIO ROSSI;

udito l’Avvocato BENEDETTO SPINOSA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza n. 17166/2017 questa Corte, in diversa composizione collegiale, accoglieva il quarto e il primo motivo del ricorso per cassazione proposto da S.C. e cassava la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviando alla Corte di appello di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità.

2. La sentenza cassata aveva rigettato l’appello del S. avverso il rigetto della impugnativa del licenziamento intimato dalla datrice di lavoro General Motors Financial Italia s.p.a. per soppressione del posto di lavoro dell’appellante nel contesto di un ridimensionamento aziendale.

3. In sede di legittimità veniva innanzitutto accolto il motivo di ricorso vertente sulla qualificazione del licenziamento (quarto motivo). Il datore aveva individuato ventisei lavoratori in esubero e di questi ventidue avevano aderito all’esodo incentivato; il licenziamento era da qualificare come collettivo, restando irrilevante la riduzione a meno di cinque unità avvenuta per effetto dall’adesione all’esodo.

4. Veniva accolto anche il motivo con cui il S., appartenente alla categoria degli invalidi, aveva dedotto la violazione della L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 4 (primo motivo del ricorso per cassazione). Veniva richiamato l’orientamento interpretativo secondo cui è annullabile il licenziamento intimato al lavoratore assunto in forza della disciplina dettata in materia di assunzione obbligatoria, ove la quota di riserva aziendale risulti scoperta per effetto del medesimo licenziamento.

5. Per la revocazione di tale ordinanza la società General Motors Financial Italia s.p.a. ha proposto ricorso affidato a due motivi. Il S. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, riproponendo, ove dovesse essere accolto il ricorso per revocazione, il secondo, il terzo e il quinto motivo del ricorso per cassazione, il cui esame era rimasto assorbito nella soluzione accolta dall’ordinanza impugnata.

La società GMF General Motors Financial Italia s.p.a. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso per revocazione si denuncia errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, nella parte in cui è stato accolto il quarto motivo del ricorso per cassazione del S.. Si assume che la Corte di legittimità, nel richiamare l’orientamento interpretativo secondo cui, una volta effettuata la comunicazione preventiva di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2, resta irrilevante la circostanza che il numero dei dipendenti effettivamente licenziati sia inferiore a quello risultante dalla comunicazione preventiva, aveva mosso da un presupposto di fatto errato, ossia l’asserito avvio da parte della società GMF della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, per il licenziamento collettivo, mentre tale avvio non vi era stato e non era mai stata aperta la procedura di consultazione sindacale ai sensi della medesima legge. Trattasi di errore di fatto decisivo in quanto, se la Corte avesse constatato che il licenziamento era da qualificare come individuale (e non collettivo), avrebbe rigettato il quarto motivo del ricorso proposto dal S..

2. Il secondo motivo del ricorso per revocazione denuncia errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, per avere l’ordinanza impugnata menzionato il consolidato orientamento interpretativo secondo il quale solo il licenziamento del dipendente assunto obbligatoriamente è annullabile se la quota di riserva, per effetto del licenziamento, rimane scoperta; in tale caso, ovvero di quota di riserva scoperta, non può essere conteggiato il personale invalido non assunto obbligatoriamente. Tuttavia, l’applicazione del principio alla fattispecie si fondava su un presupposto di fatto errato, consistente nell’avere supposto che al momento del licenziamento del S., assunto obbligatoriamente, vi fosse la scopertura della quota di riserva; ciò non era vero in quanto la quota di riserva era coperta per effetto del computo di alcuni lavoratori divenuti invalidi nel corso del rapporto, come aveva dato atto la Corte di appello.

3. Con il ricorso incidentale condizionato il S. reitera i motivi del ricorso per cassazione il cui esame era rimasto assorbito nella soluzione accolta dalla Corte di legittimità e precisamente i seguenti:

– violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1,3,5, omessa e carente motivazione e nullità della sentenza di appello, per non avere dato conto delle ragioni per le quali il giudice di merito avrebbe riscontato la effettività e la non pretestuosità dei motivi addotti dall’imprenditore per giustificare la soppressione del posto occupato dal S., in via mediata attraverso l’indicazione delle motivazioni economiche che tale scelta avevano determinato, la genuinità del motivo oggettivo indicato a sostegno del licenziamento e il nesso di causalità tra tale motivo e il recesso (secondo motivo);

– violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1,3,5, omessa e carente motivazione e nullità della sentenza, per mancato assolvimento dell’obbligo datoriale di repechage. Il giudice di appello aveva esaminato solo alcune delle allegazioni del ricorrente e non aveva proceduto all’esame della fungibilità della sua posizione (QD2) con quella dei quadri direttivi di qualunque livello presenti in azienda, anche in reparti diversi da quelli interessati dalla ristrutturazione; il datore di lavoro non aveva assolto il suo onere probatorio in ordine all’impossibilità di reimpiego in mansioni equivalenti oppure, ove ciò non fosse possibile, mediante l’offerta rivolta dal lavoratore – ma dallo stesso non accolta – di un utile reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel bagaglio professionale del dipendente, secondo l’orientamento espresso da Cass. n. 21579 del 2008, cod. Cass. n. 11775 del 2012 (terzo motivo);

– violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 15 e 28, nullità della sentenza per non avere motivato in ordine all’istanza istruttoria (reiterata in appello) diretta all’accrtamento, mediante prova testimoniale, del motivo discriminatorio, essendo il S. rappresentante sindacale e portatore di disabilità.

4. Il ricorso per revocazione è infondato, restando assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato.

5. Va premesso che un errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, per essere idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217 del 2009 nonchè Cass. nn. 22171 del 2010; 23856 del 2008; 10637 e 7469 del 2007; 3652 del 2006; 13915 e 8295 del 2005).

6. La questione esaminata con riferimento al quarto motivo del ricorso per cassazione, trattato prioritariamente in quanto vertente sulla qualificazione del licenziamento e sulla relativa disciplina applicabile, consisteva nello stabilire se il licenziamento intimato al ricorrente avesse natura individuale o collettiva: nel primo senso si era espressa la sentenza della Corte di appello, mentre il S. ne aveva prospettato la natura collettiva e la violazione degli adempimenti di cui alla L. n. 223 del 1991.

6.1. Nel ritenere errata la qualificazione offerta dalla Corte di appello l’ordinanza ora impugnata ha affermato che, ai fini della corretta qualificazione della fattispecie, occorreva considerare che “…è stata accertata l’intenzione datoriale di licenziare ventisei dipendenti in esubero (di cui ventidue aderenti all’esodo incentivato: punto 3 pag. 3 della sentenza)…”; muovendo da tale premessa, ha ritenuto che la fattispecie ricadeva nell’alveo applicativo del noto orientamento secondo cui, ai sensi della L. n. 223 del 1991, qualora il datore di lavoro che occupi più di quindici dipendenti intenda effettuare, in conseguenza di una riduzione o trasformazione dell’attività di lavoro, almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni, è tenuto all’osservanza delle procedure previste dalla legge stessa, mentre resta irrilevante che il numero dei licenziamenti attuati a conclusione delle procedure medesime sia eventualmente inferiore, così com’è inammissibile la “conversione” del licenziamento collettivo in licenziamento individuale (Cass. n. 20167 del 2010, n. 24566 del 2011; conf. n. Cass. 17061 del 2016).

6.2. A tale ordine ricostruttivo, l’odierna ricorrente per revocazione oppone che non vi è mai stato un avvio della procedura di licenziamento collettivo, avvio che si attua con la “comunicazione preventiva” di cui della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2, come richiamato dall’art. 24, comma 1, stessa legge, attraverso la quale il datore manifesta la sua “intenzione” di procedere ad un licenziamento di almeno cinque lavoratori. Prospetta parte ricorrente che dagli atti del giudizio di cassazione conclusosi con l’ordinanza ora impugnata non risultava che vi fosse stata la “comunicazione preventiva” finalizzata a promuovere un “esame congiunto” tra impresa e organizzazioni sindacali; ciò in quanto la volontaria adesione da parte di ventidue dei ventisei potenziali lavoratori in esubero era avvenuta alla stregua di un precedente accordo sindacale del 18 giugno 2009.

6.3. La censura non corrisponde al modello sopra delineato che consente di configurare un errore di fatto revocatorio, non potendo questo consistere nel diverso apprezzamento che la parte abbia fatto rispetto a quanto ritenuto dalla Corte di cassazione circa l’originaria “manifestata intenzione” datoriale di “licenziare” ventisei unità. L’errore revocatorio non può consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Nè rileva, ai fini del giudizio revocatorio, la circostanza che la Corte di appello di Roma abbia ritenuto l’estraneità dell’accordo sull’esodo incentivato rispetto alla determinazione degli effettivi residuali esuberi sui quali poi procedere al licenziamento (individuale, essendo le posizioni in esubero così ridotte a meno di cinque unità), poichè tale questione attiene alla valutazione giuridica della complessiva fattispecie, ossia ad un apprezzamento che – all’evidenza – resta estraneo ad un’ipotesi di errore di fatto revocatorio.

6.4. L’errore revocatorio non può consistere in un errore sul criterio della valutazione ed interpretazione del fatto, configurandosi l’errore, in tali casi, in un vizio di ragionamento sui fatti assunti o in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali qualificabile come errore di giudizio. Ne consegue che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di cassazione nella quale il Collegio abbia svolto attività di tipo valutativo e non meramente ricognitivo di un fatto.

7. Analoghe – e ancor più radicali – considerazioni vanno svolte con riguardo al secondo motivo di revocazione, che riguarda l’accoglimento del primo motivo del ricorso per cassazione. La censura attiene alla ricostruzione del licenziamento quale individuale, avendo l’ordinanza n. 17166/2017 affermato che sul punto la Corte di merito aveva errato nell’apprezzamento dei presupposti (di fatto e giuridici) relativi al calcolo della quota di riserva e, di riflesso, in ordine alla esclusione dell’annullabilità del licenziamento del S..

Il punto controverso, oggetto del giudizio di cassazione, verteva sul non avere la Corte di merito ritenuto la scopertura della quota di riserva per effetto del licenziamento del S.. La questione involgeva la questione giuridica di come dovesse computarsi la quota di riserva e quali dovessero essere i lavoratori da includervi, ossia una questione che implicava una valutazione giuridica solo mediata dagli elementi di fatto acquisiti al processo.

8. Il ricorso per revocazione va dunque rigettato, assorbito l’incidentale condizionato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di revocazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

9.1. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; condanna la ricorrente in via principale al pagamento delle spese, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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