Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25177 del 28/11/2011

Cassazione civile sez. I, 28/11/2011, (ud. 28/10/2011, dep. 28/11/2011), n.25177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CALCUTTA 45, presso l’avvocato ALBERTO D’AURIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato D’AVINO ARCANGELO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ops

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

07/09/2009, n. 4914/08 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 18.07.2008, V.A. adiva la Corte di appello di Napoli chiedendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 15.07-7.09.2009, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare all’istante la somma di Euro 8.865,00, con interessi legali dalla domanda, a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, nonchè la metà delle spese processuali, liquidata in complessivi Euro 785,00 (di cui Euro 310,00 per diritti ed Euro 450,00 per onorari), spese distratte in favore dei difensori antistatari e compensate per la residua parte. La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il V. aveva chiesto l’equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo in tema di indennità sostitutiva di mensa per il biennio 1984-1986 e di indennità di vestiario dal 1990 al 1993, processo da lui introdotto, quale dipendente di ASL, dinanzi al TAR Campania, con ricorso depositato il 15.06.1994 ed ancora pendente, nonostante che nella medesima data del 15.06.1994 fosse stata presentata istanza di fissazione dell’udienza e successivamente istanze di prelievo in data 26/11/99, 10/9/01, 23/5/05, 5/9/05 e 15/2/06;

– che la durata fisiologica del primo grado di detto processo amministrativo protrattosi per anni 14 e mesi 1 sino al deposito del ricorso per equa riparazione, poteva essere fissata in anni tre, data la natura delle questioni trattate;

– che il chiesto indennizzo per il periodo d’irragionevole ritardo di definizione, quantificabile in 11 anni, e 1 mese, doveva essere limitato al sofferto danno non patrimoniale e liquidato in Euro 800,00 ad anno di ritardo ingiustificato, falcidiando l’ammontare annuo di Euro 1.500,00, astrattamente riconoscibile in siffatte tipologie processuali, in ragione della ritardata presentazione dell’istanza di prelievo, e con esclusione del bonus forfetario;

– che il parziale accoglimento delle pretese del ricorrente giustificava la compensazione della metà delle spese processuali.

Avverso questo decreto il V. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi e notificato il 18.03.2010 al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha resistito con controricorso notificato il 27.04.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il V. denuncia:

1. “Violazione o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, artt. 2 e 4 dell’art. 6 par. 1 e dell’art. 13 della CEDU (L. 4 agosto 1955, n. 848, art. 6), e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Sostiene conclusivamente ..che i giudici di merito non hanno considerato che l’Amministrazione dell’Economia e delle Finanze nel costituirsi non aveva nè allegato nè provato la presenza nel caso di specie di qualsivoglia eccezione dalla quale potesse discendere l’insussistenza del diritto all’equa riparazione.

Anzi la Corte ha ridotto in radice la possibilità che dall’eventuale ritardo siano conseguite sofferenze psichiche per il ricorrente, atteso il mancato utilizzo di strumenti sollecitatori.

2. “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il ricorrente si duole per vizi motivazionali, del rilievo secondo cui il mancato utilizzo da parte sua di strumenti sollecitatori aveva impedito il verificarsi delle ansie e dei turbamenti connessi a procedimenti eccessivamente lunghi, del fatto che non si sia considerato che aveva presentato varie istanze di prelievo e conclusivamente della omessa considerazione della necessità di adeguato ed analitico apprezzamento di circostanze e specifici elementi atti a denotare la insussistenza di qualsivoglia patema d’animo e/o sofferenza psicologica e quindi ad escludere il lamentato pregiudizio.

I due motivi, che essendo connessi consentono esame unitario, sono inammissibili.

Le censure che il V. solleva si rivelano non pertinenti rispetto al decisum ed alle relative ragioni ed argomentazioni, giacchè il ricorrente risulta averle riferite a pronuncia di diniego d’indennizzo del danno non patrimoniale, quando, invece, la Corte distrettuale ha accolto la sua domanda e liquidato l’indennizzo in misura ridotta rispetto al richiamato parametro indennitario CEDU, espressamente enunciando le ragioni, rimaste incensurate, del discostamento, essenzialmente ricondotte alla tardiva presentazione dell’istanza di prelievo.

Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del V., soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il V. al pagamento in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 900,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011

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