Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25175 del 11/10/2018

Cassazione civile sez. III, 11/10/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 11/10/2018), n.25175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 773-2016 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BASSANO DEL

GRAPPA 24, presso lo studio dell’avvocato MICHELE COSTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONINO VERDIRAME

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ABBIATEGRASSO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2468/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. M.G. ricorre, affidandosi a tredici motivi e memoria ex art. 380 bis c.p.c., per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano che, respingendo l’impugnazione proposta, aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Pavia di rigetto della sua domanda volta ad ottenere dal Comune di Abbiategrasso il risarcimento dei danni derivanti dalla responsabilità dell’ente locale, ex art. 2051 c.c., per le lesioni da lui subite a seguito della caduta in una buca, resa invisibile dalla ingente quantità di polvere sollevata da un camion che lo precedeva, mentre percorreva la strada in bicicletta.

2. L’intimato non si è difeso in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo, secondo, terzo, quarto e quinto motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione:

a. dell’art. 2051 c.c. per aver valutato in modo erroneo ed illogico la prova della sussistenza del nesso di causalità fra il bene custodito e l’evento dannoso;

b. dell’art. 2043 c.c. in riferimento alla sussistenza della prova del nesso di causalità fra oggetto potenzialmente pericoloso ed il fatto accaduto;

c. dell’art. 2729 c.c. con riferimento agli elementi fattuali sui quali doveva essere articolato il ragionamento presuntivo relativo al collegamento fra la buca e la caduta;

d. dell’art. 116 c.p.c. per non aver tratto argomenti di prova dalla condotta del Comune di Abbiategrasso che aveva anche pagato, in corso di causa, la somma di Euro 30.000,00, accettata a titolo di acconto.

2. Con il sesto, settimo, ottava, nono e decimo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. per aver reso una motivazione illogica, apparente e quindi sostanzialmente inesistente. In particolare critica:

a. la valutazione della prova testimoniale espletata volta ad accertare il nesso di causalità fra il suolo dissestato, reso non visibile dall’improvviso polverone causato dal passaggio dell’autocarro, e l’evento dannoso: assume che i testi avevano confermato sia la sua caduta sia la presenza di una buca non protetta nè segnalata, con la conseguenza che la pretesa che ne venisse provata la conformazione, in termini di pericolosità, doveva ritenersi impropria;

b. la statuizione del Tribunale, illogica ed erronea, che aveva affermato che il polverone lo aveva accecato, riconducendo apoditticamente a tale circostanza la sua caduta;

c. l’affermazione che non fosse stata accertata e provata la responsabilità esclusiva ex art. 2051 c.c. del custode della strada;

b. la valutazione che non potesse ritenersi provata la colpa dell’ente locale, quantomeno ex art. 2043 c.c., per omessa manutenzione del manto stradale, visto che l’amministrazione provvide in tal senso subito dopo l’incidente;

d. l’omesso esame del decisivo valore probatorio della prova testimoniale fornita al processo: richiama al riguardo, reiterando le censure, i primi sei motivi di ricorso.

3. Con l’undicesimo e dodicesimo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., n. 5, lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio denunciati con i motivi d’appello che non erano stati adeguatamente vagliati. In particolare lamenta che la Corte territoriale:

a. aveva ritenuto, travisando le prove, che il polverone sollevato dall’autocarro in transito avesse provocato l’effetto di “accecamento”, laddove i testimoni avevano riferito che il mezzo aveva sollevato un polverone che impediva di vedere bene la strada in prossimità del suolo;

b. aveva violato i principi di oralità, immediatezza e concentrazione rispetto all’andamento della controversia di primo grado.

4. Con il tredicesimo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., n. 3, deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 sul contributo unificato che la Corte aveva indicato come oggetto di versamento raddoppiato.

Lamenta, al riguardo, che detta disposizione, ratione temporis, non era applicabile alla controversia in esame che si era radicata, in primo grado, in data antecedente a quella dell’entrata in vigore della legge sopra richiamata.

5 I motivi devono essere esaminati secondo il raggruppamento sopra articolato, in quanto le censure proposte in relazione ai vizi rispettivamente dedotti sono strettamente collegate sotto il profilo logico.

5.1. I primi cinque sono inammissibili, perchè da una parte non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata che, lungi dal fornire una motivazione diversa da quella del giudice di primo grado, ha soltanto ampliato, legittimamente, il ventaglio di argomentazioni poste a base del rigetto della domanda; dall’altra, l’esame congiunto delle critiche con le quali il ricorrente assume che la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato, rispetto al caso concreto, gli artt. 2051,2043 e 2729 c.c. consente di ritenere che le censure mascherino una richiesta di rivalutazione del merito della controversia – che non può trovare ingresso in sede di legittimità – in presenza di una motivazione congrua e logica e certamente al di sopra del minimo costituzionale (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. SU 8053/2014), con la quale la Corte territoriale, dopo aver specificamente analizzato le censure mosse alla sentenza impugnata e dando conto dei fatti allegati e delle testimonianze esaminate, ha confermato il rigetto pronunciato dal primo giudice, assumendo, da una parte, che nessuna prova sufficiente era stata fornita sulla conformazione e la stessa esistenza dell’insidia dedotta (tenuto conto della naturale irregolarità del fondo sterrato e, quindi, sulla sua pericolosità) e che nulla era stato dimostrato sul rapporto di causalità o di mera occasionalità della caduta rispetto alla condizione del fondo stradale; e, dall’altra, che il polverone che si era sollevato, ostacolando la visuale della strada, induceva a

ritenere che il mancato arresto da parte del ciclista, attenendo alla sua condotta “malaccorta” e contraria a regole ordinarie di comportamento, costituiva una interruzione del nesso causale fra l’evento ed il danno.

5.2. Inoltre, anche l’avvenuto pagamento di una somma da parte del Comune di Abbiategrasso (posto a base del quinto motivo, al fine di denunciare la violazione dell’art. 116 c.p.c.), rappresenta una mera circostanza di fatto, priva di autosufficienza, che non può trovare ingresso in sede di legittimità.

6. Anche i successivi cinque motivi, ugualmente, sono inammissibili.

Con essi è stato denunciato il vizio di nullità della sentenza per l’erronea complessiva valutazione delle prove: tuttavia, le censure proposte in parte rappresentano una reiterazione di quelle già prospettate nei primi cinque motivi (cfr. il decimo motivo che richiama espressamente i primi sei); ed, in parte, mascherano una richiesta di rivalutazione di merito di fatti già adeguatamente valutati dalla Corte territoriale, preclusa in sede di legittimità in presenza di motivazione che superi, come nel caso di specie, il vaglio di “sufficienza costituzionale”.

Ancora, anche l’undicesimo ed il dodicesimo motivo con i quali viene denunciato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 sono, in limine, inammissibili per mancanza di autosufficienza: premesso, infatti, che i giudici d’appello hanno confermato la pronuncia di rigetto e che il ricorrente assume che le ragioni della prima sentenza sono diverse dalla seconda, egli avrebbe dovuto riportare nel corpo del ricorso la motivazione che assume essere fondata su una ratio del tutto differente da quella impugnata e sulla quale fonda la, difformità dedotta, non essendo a tal fine sufficiente lo scarno ed incompleto richiamo riportato (cfr. pag. 30 del ricorso).

Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di chiarire che “nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. 5528/2014; Cass. 19001/2016; Cass. 26774/2016).

In mancanza di tale specificazione, tali motivi devono essere valutati rispetto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 che, in presenza di una sentenza d’appello confermativa di una decisione di primo grado, non è ammissibile ex art. 348 ter c.p.c., u.c..

7. Infine, anche il tredicesimo motivo è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito che “in tema di impugnazioni, l’obbligo di versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, , nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sorgendo “ipso iure”, non può costituire un capo del provvedimento di definizione dell’impugnazione dotato di contenuto condannatorio nè di contenuto declaratorio; sicchè, l’errore del giudice nel collegare il detto obbligo alla sostanziale integrale soccombenza nel merito dell’impugnazione ed alla condanna alle spese, in luogo del pur sussistente fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame, non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, potendo solo consentire un’attestazione “ex lege” della non debenza del detto ulteriore contributo” (cfr. Cass. 8170/2018).

In buona sostanza la pronuncia del giudice in ordine al raddoppio del contributo unificato non ha natura decisoria, in quanto si limita a dichiarare che ricorrono i presupposti dell’imposizione, rimettendo la effettiva liquidazione alla successiva attività amministrativa: pertanto, fermo restando che, ratione temporis, la norma è applicabile al caso in esame (la L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18 rimanda, infatti, alle impugnazioni di cui al comma 17 con chiaro riferimento alla data di radicamento dell’appello e non del giudizio di primo grado), anche questo motivo non può trovare ingresso in sede di legittimità in quanto privo dei presupposti per l’applicazione dell’art. 360 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 7.

8. La mancata difesa dell’intimato esime la Corte dalla pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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