Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25175 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/10/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 08/10/2019), n.25175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26692/2014 proposto da:

P.E., P.M.R., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6, presso lo studio dell’avvocato GUIDO

PARLATO, che le rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

ABC ACQUA BENE COMUNE NAPOLI AZIENDA SPECIALE, ARIN AZIENDA SPECIALE

IN LIQUIDAZIONE, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SARDEGNA 50, presso lo studio

dell’avvocato EMANUELE MERILLI, rappresentate e difese dall’avvocato

SERGIO TURRA’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4939/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/06/2014, R.G.N. 10818/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

1. P.E. e P.M.R., eredi di P.E., ex dipendente nel periodo aprile 1956 – novembre 1993 di AMAN, (azienda municipalizzata dell’acquedotto di Napoli), cui è succeduta dapprima ARIN (Azienda risorse idriche di Napoli) ed ora ABC, Acqua bene comune, Azienda speciale – ricorrevano al giudice del lavoro per ottenere l’inclusione dell’indennità di incentivazione prevista dall’accordo sindacale 2/9/1971 nella base di calcolo della pensione aziendale dovuta al de cuius ed a carico dell’azienda, con condanna della stessa al pagamento delle differenze maturate.

2. La Corte d’appello di Napoli riformava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda.

3. A sostegno della decisione la Corte anzidetta, ricostruito il sistema pensionistico applicabile ai dipendenti dell’ARIN assunti in data anteriore al 30 gennaio 1963, osservava che l’indennità di incentivazione ha il carattere della continuità, in quanto, ancorchè erogata nelle sole giornate di effettiva presenza, è causalmente correlata all’ordinaria prestazione lavorativa e dunque, quale elemento fisso e continuativo della retribuzione, doveva essere computata nel trattamento pensionistico aziendale ai sensi del D.L. n. 55 del 1983, art. 30, convertito nella L. n. 131 del 1983, che aveva equiparato dal 1 gennaio 1987 i criteri di determinazione della base di calcolo di tale trattamento al sistema pensionistico della Cassa di Previdenza Dipendenti Enti Locali (CPDEL). Tuttavia, aggiungeva la Corte, nella specie, era stato prodotto dalle ricorrenti un solo statino paga relativo all’ultimo anno di lavoro del de cuius, sicchè non era stata dimostrata la percezione in via continuativa dell’indennità in questione nell’anno precedente il collocamento a riposo, ai sensi dell’art. 64 del regolamento organico dell’Azienda, nè la presenza continuativa in servizio in tale periodo.

4. P.E. e P.M.R. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, cui ARIN – Azienda risorse idriche di Napoli, e ABC Acqua bene comune Napoli hanno resistito con controricorso. Le parti hanno depositato anche memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. come primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 416 c.p.c., per non avere la decisione ritenuto pacifica, perchè non oggetto di specifica contestazione, la prestazione del servizio nell’ultimo anno prima della cessazione del rapporto di lavoro.

6. Come secondo motivo, denunciano l’omesso esame di un punto decisivo della controversia. Contestano l’affermazione del giudice di merito secondo la quale sarebbe indispensabile la percezione dell’indennità di incentivazione nel corso dell’ultimo anno di servizio per la sua quiescibilità.

7. Come terzo motivo, lamentano la violazione degli artt. 210,244,245 e 421 c.p.c., ed omesso esame su un punto decisivo della controversia, per non avere la Corte territoriale dato ingresso alle istanze istruttorie volte a provare le circostanze di fatto sulla cui pretesa carenza ha radicato il rigetto della domanda.

8. Il primo è inammissibile.

La Corte territoriale ha riferito nella motivazione della sentenza che AMAN aveva proposto in primo grado una specifica contestazione in ordine alla corresponsione in maniera fissa e continuativa dell’indennità in parola, elemento costitutivo della domanda ritenuto decisivo per la sua quiescibilità. Alle pg. 2 e 6 ha infatti riferito che l’Azienda si era doluta del difetto di prova in ordine alla costante presenza in servizio nell’ultimo anno (per vero neppure dedotta dal ricorrente) e della misura dell’indennità percepita, prova che incombeva sul ricorrente, non avendo l’azienda conservato le scritture contabili in quanto era decorso più di un decennio. Il motivo nella sostanza non denuncia quindi un error in procedendo in cui sarebbe incorso il giudice di merito, ma si traduce in una contestazione dell’esito del procedimento interpretativo degli atti di parte da questi compiuto, sindacabile nei soli limiti delineati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (v. Cass. n. 19921 del 14/11/2012).

9. Infondato è anche il secondo motivo.

L’indennità di incentivazione venne introdotta in via sperimentale, allo scopo di scoraggiare la tendenza assenteistica nei posti di lavoro, dall’accordo sindacale del 2 settembre 1971, ratificato con Delib. Aziendale 27 novembre 1971, con il quale venne stabilito di corrispondere al personale AMAN (poi ARIN) una indennità nella misura dello 0,80% dello stipendio lordo di fatto percepito, per ogni giorno di effettiva presenza e fino ad un massimo di 22 giorni al mese. Successivamente, con Delib. 29 aprile 1975, la Commissione Amministratrice dell’ARIN rese definitiva l’indennità in questione, avendo accertato che erano state raggiunte le finalità che avevano ispirato l’introduzione di tale indennità, e cioè una massiccia contrazione delle assenze e dei permessi, con conseguente più elevato indice di produttività. Con la stessa Delibera si stabilì altresì che l’indennità di incentivazione costituisse parte integrante delle disposizioni di cui al regolamento organico aziendale del 22 settembre 1945. Gli artt. 64 e 65 di tale regolamento, richiamati in ricorso, stabiliscono rispettivamente che la pensione globale dopo 40 anni di servizio, si computa nella misura del 95% dello stipendio medio dell’ultimo anno, mentre coloro che cessano dal servizio con meno di 40 anni di anzianità e non meno di 16, hanno diritto ad una pensione pari a tanti quarantesimi del 95% di cui innanzi, per quanti sono gli anni di servizio maturati. Tali disposizioni, come pure risulta dallo stesso ricorso, sono state da ultimo confermate dagli accordi aziendali del 6 giugno 1967 e 5 gennaio 1968, ratificati dall’Azienda con apposite delibere, con i quali si è previsto che “la determinazione della pensione continuerà ad essere effettuata sulla base dello stipendio medio dell’ultimo anno”, in esso compresa, alla stregua dei principi elaborati da questa Corte, sopra enunciati, l’indennità di incentivazione percepita nei giorni di effettiva presenza dei lavoratori.

10. La soluzione da darsi nel caso in esame deve dunque dare continuità a quella già assunta da questa Corte nella sentenza n. 2133 del 31/01/2014, nella quale in analoga fattispecie si è rilevato che correttamente la Corte di merito avesse ritenuto che gli statini paga prodotti dal ricorrente (nella specie, in numero di tre relativi all’ultimo anno di servizio) fossero insufficienti ai fini della determinazione delle differenze pensionistiche derivanti dal computo dell’indennità di incentivazione.

Tale indennità, come risulta dall’accordo aziendale del 2 settembre 1971, sopra citato, istitutivo della stessa, è infatti corrisposta nelle giornate di “effettiva presenza e fino ad un massimo di 22 giorni al mese”, ciò che esclude che possa farsi riferimento solamente ad uno o più mesi, trattandosi di importi suscettibili di variazione in ragione, appunto, dell’effettiva presenza dell’interessato.

11. L’assunto secondo cui, avuto riguardo ai caratteri della continuità e fissità dell’indennità in parola, non sarebbe necessaria la dimostrazione della somma effettivamente percepita a tale titolo ai fini del computo della stessa nel trattamento pensionistico, è poi errato sotto un duplice profilo.

12. Da un lato, esso non tiene conto che l’indennità in esame non va corrisposta in misura fissa, ma in base a ciascun giorno di effettiva presenza e con un massimo di 22 giorni mensili, secondo gli accordi e le delibere di ratifica innanzi citati; dall’altro non considera che la determinazione della pensione va effettuata “sulla base dello stipendio medio dell’ultimo anno”, in esso compresa l’indennità in questione, onde ai fini del computo della stessa nel trattamento pensionistico non può prescindersi dall’importo percepito a tale titolo in detto anno.

13. Il terzo motivo di ricorso è invece fondato nel senso che si va a precisare.

Questa Corte ha chiarito che l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini del decidere, nel caso in cui il ricorrente dimostri l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, ovvero che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa (Cass. n. 23194 del 04/10/2017, Cass. n. 66 del 08/01/2015).

Nel caso, la Corte territoriale ha rigettato la domanda sul rilievo della mancata prova della costante presenza in servizio del P. nel 1993 e dell’ammontare dell’indennità corrisposta nell’ultimo anno. Contraddittoriamente ha però ritenuto inammissibili in quanto non conferenti le istanze istruttorie formulate nel ricorso di primo grado e reiterate in appello, aventi ad oggetto proprio la percezione dell’indennità di incentivazione sin dal 1971 (e quindi anche nel 1993) e l’importo medio mensile percepito a tale titolo nell’ultimo anno.

14. Il ricorso quindi deve essere accolto in relazione al terzo motivo, rigettati gli altri, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà rivalutare le istanze istruttorie alla luce del principio esposto e provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

15. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti vittoriose, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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