Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25174 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/10/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 08/10/2019), n.25174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7572/2018 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.R., domiciliata ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato DANIELE

OLIVIERO, COSIMO LOVELLI;

– controricorrente –

e contro

G.D., D.L., T.G.,

L.A.M., GI.AN., domiciliati ope legis presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’Avvocato

DANIELE OLIVIERO, COSIMO LOVELLI;

– controricorrenti –

e contro

D.L.A.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 366/2016 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 09/03/2017 R.G.N. 264/2015.

Fatto

CONSIDERATO

che:

La Corte d’appello di Potenza, con sentenza in data 9/3/2017, in riforma della pronuncia del giudice di primo grado, accoglieva le domande proposte da I.R., D.L.A.L., G.D., D.S.L., T.G., L.A.M., Gi.An. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti, accertava la intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo, rispettivamente, dal 2/11/1999; dal 25/7/1998; 1/9/1999; 1/4/1999; 15/10,11998; 1/4/1999; 15/10/1998. Da ultimo condannava la società al pagamento in favore di ciascuno dei lavoratori, di un’indennità pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.

Per la cassazione di tale decisione la società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui hanno opposto difese le parti intimate.

La ricorrente ha quindi depositato memoria illustrativa nonchè copia dei verbali di conciliazione in sede sindacale intervenuti con L.A.M., Gi.An., G.D. e D.L.A.L., chiedendo darsi atto della rinuncia al ricorso nei confronti dei predetti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere fra la società Poste Italiane e L.A.M., Gi.An., G.D. e D.L.A.L..

Dai verbali di conciliazione prodotti in copia, risulta infatti che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, che si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel presente giudizio di cassazione, cui consegue la compensazione delle spese, in considerazione dell’accordo complessivo intervenuto fra le parti.

2. Con riferimento alle posizioni degli altri controricorrenti, si osserva quanto segue.

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 1372 c.c., comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo l’erroneità della decisione in ordine all’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Al di là di ogni pur assorbente considerazione in ordine alla promiscuità della tecnica redazionale adottata che ridonda in termini di inammissibilità del motivo, per la contemporanea denuncia di vizi connotati da irredimibile contraddittorietà, in violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione (vedi sul punto, Cass. 6-5-2016 n. 9228, Cass. 23-102018 n. 26874) il motivo è privo di fondamento.

Deve infatti rilevarsi come questa Corte abbia più volte affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 12-12-2017 n. 29781, Cass. 13-8-14 n. 17940, Cass. 10-11-2008 n. 26935).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Nella specie la Corte d’Appello ha osservato, con motivazione immune da vizi logico-giuridici, che la società si era limitata a dedurre la mera circostanza del decorso del tempo e dell’accettazione senza riserve del t.f.r. omettendo di allegare ulteriori fatti significativi dell’esistenza di una comune volontà di sciogliere consensualmente il rapporto, e non aveva dato prova della assunzione da parte dei lavoratori, di alcun comportamento che potesse far presumere una acquiescenza alla risoluzione del rapporto.

Si tratta di apprezzamento di merito adeguatamente motivato, che, per quanto sinora detto, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5,applicabile ratione temporis.

3. Con il secondo motivo la società censura per violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b, art. 8 ccnl 1994, della L. n. 56 del 1987, art. 23, artt. 1362 c.c. e segg., la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto ai contratti in oggetto, in quanto stipulati oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi collettivi attuativi dell’accordo aziendale 25-9-1997 ed all’uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e la natura meramente ricognitiva dei detti accordi.

4. Il motivo è infondato in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 144-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-82008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In applicazione di tale principio va quindi respinto il detto secondo motivo.

5. Il terzo motivo, formulato con riferimento al primo contratto stipulato con D.L.A.L. per necessità di espletamento del servizio in concomitanza con l’assenza per ferie nel periodo giugno-settembre, è assorbito dalla intervenuta conciliazione in sede sindacale e dalla dichiarata cessazione della materia del contendere.

6. Il quarto motivo prospetta violazione della L. n. 604 del 1966, art. 8 e L. n. 183 del 2010, art. 32, nonchè omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Ci si duole che la Corte di merito non abbia proceduto ad una espressa analisi dei criteri enunciati dalle richiamate disposizioni di legge.

Ma la doglianza, inammissibile per la tecnica redazionale adottata, è comunque priva di fondamento ove si consideri che, come affermato da questa Corte, in tema di contratto a termine, la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità prevista dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5 – che richiama i criteri indicati dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 – spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria (vedi ex aliis Cass. 17-3-2014 n. 6122), ipotesi questa, non verificatasi nella specie, avendo i giudici del gravame richiamato i criteri indicati dalla l. n. 604 del 1966, art. 8, avuto particolare riguardo, in particolare, alle ragguardevoli dimensioni aziendali.

In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso proposto nei confronti di I.R., T.G. e D.S.L., va rigettato.

Il governo delle spese relativo a tali lavoratori segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara cessata la materia del contendere fra Poste Italiane s.p.a. e D.L.A.L., G.D., L.A.M., Gi.An. e compensa le spese. Rigetta il ricorso proposto nei confronti di I.R., D.S.L. e T.G. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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