Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25171 del 11/10/2018

Cassazione civile sez. III, 11/10/2018, (ud. 17/07/2018, dep. 11/10/2018), n.25171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GIANNITTI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1933-2017 proposto da:

N.A., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMO MAMBELLI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

E.S., GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS), in persona dei procuratori speciali

C.P. e P.V., E.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso

lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LEOPOLDO MISEROCCHI giuste procure in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

N.A., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMO MAMBELLI giusta procura a margine del ricorso

principale;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 2020/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 09/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 21/12/2002 N.A. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Forlì E.S. ed Assitalia Le Assicurazioni d’Italia SpA (poi Ina Assitalia, poi Generali Italia SpA) per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro verificatosi in (OMISSIS).

L’adito Tribunale, accertata la responsabilità esclusiva dell’incidente in capo a E.S., condannò i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attore, della complessiva somma di Euro 90.640,76 (detratto il già versato acconto di Euro 15.000,00), oltre interessi e rivalutazione.

Con sentenza non definitiva 20/6/2014 la Corte d’Appello di Bologna ha confermato l’affermazione di esclusiva responsabilità di E.S. e, con separata ordinanza, ha disposto, alla luce di nuova documentazione depositata da N.A. all’udienza del 23/12/2013, “supplemento” di CTU, affidata al prof. Z..

Con sentenza definitiva 9/12/2015 la Corte, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato E.S. e Ina Assitalia, in solido, al pagamento, in favore di N.A., della somma di Euro 148.479,00, oltre rivalutazione ed interessi.

In particolare la Corte ha dapprima rigettato le sollevate eccezioni di nullità della CTU espletata in appello; in adesione, poi, a quanto sostenuto dal CTU in sede di supplemento, ha preso atto della necessità dell’intervento chirurgico di artroprotesi (previsto solo come eventuale nella prima CTU) e delle modalità di esecuzione dello stesso, ed ha aumentato dal 22% al 27% la misura del danno biologico permanente.

La Corte, infine, nel procedere alla liquidazione del complessivo danno, ha valutato il danno non patrimoniale (biologico, morale e dinamico-relazionale) secondo i principi delle sentenze delle S.U. della Cassazione del 2008 e secondo le tabelle milanesi in vigore, con una personalizzazione del danno da invalidità permanente del 30% per le particolari sofferenze fisiche causate al N. dalle lesioni e dalle ripercussioni delle stesse sul suo stato d’animo, già provato da pregresse vicende (precedente trauma vertebro-midollare cervicale); ha ritenuto compreso nel danno non patrimoniale la dedotta maggiore usura nello svolgimento dell’attività lavorativa; ha ritenuto non provato il danno patrimoniale.

Avverso detta sentenza N.A. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

E.S. e Generali Italia SpA resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale, affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso N.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente principale, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2059 e 1226 c.c., art. 158 c.p. e D.Lgs n. 209 del 2005, art. 138, lamenta il mancato riconoscimento del danno morale (da tenere distinto dal danno biologico) e del danno esistenziale da lui subito nel caso concreto, caratterizzato dalla circostanza di essere stato vittima nel (OMISSIS) di altro incidente stradale con gravi lesioni e da particolari sofferenze interiori nonchè dallo smisurato e tragico cambiamento della sua vita e dalla compromissione della sua dignità personale.

Il motivo è inammissibile.

La doglianza non è in linea con il contenuto dell’impugnata decisione, che invero, nell’unitaria valutazione del danno patrimoniale secondo i principi di cui a Cass. sez. unite 26972/2008 (alla quale fanno espresso riferimento le tabelle milanesi applicate nel caso di specie), ha tenuto conto della specifica sofferenza patita dal N., evidenziando che lo stesso era “già provato dalle pregresse vicende”, ed ha poi personalizzato il danno con un indice di maggiorazione del 30%, prossimo a quello massimo; così operando, la Corte territoriale ha fatto corretto uso dell’ormai consolidato principio secondo cui “il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) integrano componenti autonome dell’unitario danno non patrimoniale, le quali, pur valutate nello loro differenza ontologica, devono sempre dar luogo ad una valutazione globale. Ne consegue che, ove s’impugni la sentenza per la mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, non ci si può limitare ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma è necessario articolare chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale liquidato, nella specie, in applicazione delle cosiddette “tabelle di Milano”, delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come “danno biologico”, risultando, in difetto, inammissibile la censura, atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle” (Cass. 25817/2017; Cass. 2011/2014).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2043,2056 e 2697 c.c., D.Lgs n. 209 del 2005, art. 137 e art. 116 c.p.c., lamenta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale da invalidità lavorativa specifica e da inabilità temporanea; in particolare per avere considerato di natura non patrimoniale la maggiore usura e fatica che dovrà in futuro sopportare (come accertato dalla CTU) nell’esercizio della specifica attività lavorativa da lui svolta; maggiore usurabilità e maggiore sforzo destinati ad avere ripercussioni sulle future prospettive di reddito; lamenta, inoltre, anche il mancato riconoscimento del danno patrimoniale da inabilità temporanea, sostenendo di avere dimostrato la contrazione del proprio reddito.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Va, invero, ribadita la natura non patrimoniale del c.d. danno da “cenestesi lavorativa”, atteso che, come già evidenziato da questa S.C. “il danno patrimoniale futuro conseguente alla lesione della salute è risarcibile solo ove appaia probabile, alla stregua di una valutazione prognostica, che la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio, mentre il danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa, si risolve in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo e va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute” (Cass. 12572/2018; 20312/2015).

Inammissibile è la censura con riferimento alla mancata prova del danno patrimoniale da inabilità temporanea, in quanto si risolve in una critica (non consentita in sede di legittimità) alla valutazione delle risultanze probatorie compiuta dal giudice di merito.

Con il primo motivo di ricorso incidentale E.S. e Generali Italia denunciano – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità delle sentenze per essersi la Corte d’Appello “espressa su punti non censurati della sentenza di primo grado-violazione del principio della domanda (art. 112 c.p.c.) e dell’effetto devolutivo limitato alle specifiche censure contenute nell’atto di appello (art. 342 c.p.c.) – nonchè errata applicazione dell’art. 116 c.p.c. in tema di valutazione delle prove documentali, il tutto con violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 in tema di divieto di produzione di nuovi documenti sulla base dei quali il Giudice ad quem ha poi disposto una nuova indagine medico legale”.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112,116,61 e 342 c.p.c. (ammissione di nuova ed ulteriore indagine medico-legale pur non avendo l’appellante censurato la valutazione espressa dal CTU di primo grado), nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – falsa applicazione degli artt. 2043,2056, 20159 e 1226 c.c..

Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della perizia medico legale d’appello, e della sentenza che vi ha aderito, per violazione del principio del contradditorio, nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – falsa applicazione degli artt. 2043,2056, 20159 e 1226 c.c. in relazione all’accresciuta liquidazione del danno permanente.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità del procedimento, e della sentenza che vi ha aderito, per violazione degli artt. 112,116,342 e 346 c.p.c., nonchè – ex art. 360 c.p.c, n. 3 – falsa applicazione degli artt. 2043,2056, 20159 e 1226 c.c. in relazione all’accresciuta liquidazione del danno biologico da temporanea e da permanente.

I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.

I ricorrenti incidentali si dolgono, in sintesi che, in violazione degli artt. 345,112 e 342 c.p.c. (principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dell’effetto devolutivo dell’appello), siano stati arbitrariamente ammessi, nonostante la loro opposizione, nuovi documenti (in particolare: certificato dell’ortopedico dott. G.G. prospettante l’esecuzione di intervento di artroprotesi del ginocchio sulla persona di N.A. e connesso preventivo di spesa); documenti prodotti non con l’atto di appello, ma in cancelleria alla vigilia dell’udienza di precisazione delle conclusioni, e, peraltro, senza alcuna attinenza con le domande del N.; quest’ultimo non aveva infatti richiesto in appello il risarcimento di danni ulteriori sofferti dopo la sentenza impugnata, e non aveva mosso alcuna critica alla CTU, non proponendo nessuna domanda per aggravamento (dopo la sentenza di primo grado) della patologia; a prescindere dal nomen (“integrazione”) utilizzato dalla Corte d’Appello, l’incarico affidato al prof. Z. costituiva una indagine rinnovata, tesa ad accertare ulteriori e successivi danni, non lamentati e non dedotti nell’atto di appello dal N.; nell’espletamento di detta indagine il CTU prof. Z., in violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, aveva acquisito dal consulente di parte del N. certificato (OMISSIS) del dott. L. (attestante la necessità dell’intervento al ginocchio); certificato non presente agli atti ed acquisito dal CTU, nonostante la rituale opposizione della controparte, in quanto ritenuto apportante “ulteriori elementi di conoscenza circa natura ed entità dei futuri trattamenti”.

I motivi sono infondati.

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, l’appellante ha espressamente censurato, anche con riferimento al futuro presumibile intervento al ginocchio, la quantificazione dei danni operata dal Tribunale; legittimamente, pertanto, la Corte territoriale, senza incorrere in alcun vizio di ultra petizione, ha dapprima disposto, esercitando il suo potere discrezionale al riguardo, l’integrazione della CTU al fine di accertare l’evoluzione del quadro clinico alla luce della prospettata inevitabilità dell’intervento al ginocchio; quindi, preso atto delle conclusioni di detta integrazione nel senso della necessità dell’intervento (prima considerato solo come eventuale), ha ritenuto di rideterminare in aumento l’entità del danno biologico; al riguardo va precisato che non si tratta di danni ulteriori maturati dopo la sentenza di primo grado, ma dello stesso danno originariamente richiesto, valutato in misura maggiore in considerazione di un fatto (intervento chirurgico di artroprotesi del ginocchio) dapprima, come detto, ritenuto solo ipotetico, e poi invece divenuto inevitabile; nè la Corte, nell’ammettere la nuova documentazione (in particolare il certificato dell’ortopedico dott. G.G. prospettante l’esecuzione del detto intervento) è incorsa nella dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c., ratione temporis applicabile, posto che si tratta di documentazione attinente alla domanda dell’attore (per come sopra precisato), formatasi nel corso del giudizio di appello e comunque indispensabile per accertare l’inevitabilità dell’intervento stesso, in quanto idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata (conf. Cass. 24164/2017); non sussiste, infine, la dedotta violazione del diritto di difesa per avere il CTU professor Z. preso in considerazione il certificato 25/7/2014 del dott. L., posto che detta documentazione è stata sottoposta al contraddittorio delle parti e che comunque rientra nei poteri del CTU acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sempre che, come accaduto nel caso di specie, si tratti di fatti rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati.

Alla stregua di quanto sopra, pertanto, entrambi i ricorsi vanno rigettati.

Atteso il rigetto sia del ricorso principale sia di quello incidentale, si ritiene sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè entrambi i ricorsi sono stati presentati successivamente al 30/1/2013 e sono stati rigettati, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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