Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25170 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 08/10/2019), n.25170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8322/2018 proposto da:

SE.RIST. – SERVIZI RISTORAZIONE S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 388, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MARCO ZOPPI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO ANDREA

SCARAMELLA;

– ricorrente – principale –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 29,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO GIZZI, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

SE.RIST. – SERVIZI RISTORAZIONE S.R.L.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 19/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/01/2018 R.G.N. 3456/2017.

Fatto

RILEVATO

che:

1. In data 30.9.2015 fu contestato a C.F. dalla SE.RIST Servizi Ristorazione srl di cui era dipendente, di avere prelevato (nei giorni 1, 2, 4 e 6 giugno 2015) nel magazzino dell’Ospedale (OMISSIS) ove prestava attività, in concorso con l’ex dipendente B., numerosi generi elementari caricandoli poi insieme al predetto su di un’autovettura, con la precisazione che poi tali merci erano state vendite in nero dal suo complice.

2. A ciò seguì il licenziamento per giusta causa intimato il 16.10.2015.

3. Con ordinanza del 19.7.2016, resa a seguito di ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, il giudice del lavoro del Tribunale di Roma riconobbe fondati gli addebiti mossi al lavoratore e dichiarò legittimo il licenziamento.

4. Proposta opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, il Tribunale di Roma riformò la suddetta ordinanza e dichiarò illegittimo il licenziamento per insussistenza dei fatti addebitati al lavoratore, ordinando la reintegra del medesimo nel posto di lavoro precedentemente occupato e condannando la società a risarcire al C. il danno nella misura di tutte le mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto dalla data del recesso a quella della effettiva reintegra, oltre accessori e regolarizzazione previdenziale.

5. La Corte di appello di Roma, su reclamo presentato dalla società, in parziale riforma dell’impugnata sentenza che confermava nel resto, condannò la reclamante al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

6. I giudici di seconde cure ribadirono che la contestazione concerneva una condotta di fattiva collaborazione con il B. nella attività di somministrazione e che dall’istruttoria svolta era emersa l’insussistenza dei fatti che avevano determinato il licenziamento, confermando la reintegrazione del lavoratore.

7. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la SE.RIST. Servizi Ristorazione srl affidato a quattro motivi.

8. Ha resistito con controricorso C.F. formulando a sua volta ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi cui ha a sua volta resistito con controricorso la società.

9. Le parti hanno depositato memorie ed il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la mancata sospensione del procedimento civile dipendente dal procedimento penale; la nullità del procedimento di reclamo. Sulla premessa che, per i fatti del 6 giugno 2015, era intervenuta pronuncia di condanna del C. (furto aggravato in concorso) del Tribunale di Roma ad anni 1 e mesi 10 di reclusione ed Euro 500,00 di multa, si deduce che erroneamente non era stata disposta, in sede civile, la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., determinando, quindi, un contrasto di giudicati.

2. Con il secondo motivo la società lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, per mancata valutazione, da parte sia del giudice dell’opposizione che del Collegio del reclamo, della sentenza del coimputato B., prodotta nei vari gradi di giudizio, intervenuta prima di quella del C. (avendo il primo aderito al rito abbreviato) dalla quale emergeva un impianto unitario e sinergico per quanto atteneva l’ideazione e realizzazione del reato in questione.

3. Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito fatto indebito uso del proprio potere di valutazione del materiale probatorio.

4. Con il quarto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici del merito male interpretato il concetto di “concorso” contenuto nella lettera di contestazione, che non doveva intendersi esclusivamente come il compimento di azioni materiali (prelievo e carico della merce sottratta) ma come ogni forma di collaborazione nel compimento dell’azione criminale, anche se consistita nella semplice condotta rivolta a consentire a chi materialmente trasporta i beni all’esterno di entrare negli spazi aziendali per commettere il furto.

5. Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato il C. si duole della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 18 St. Lav. e all’art. 11 disp. att. c.c., per essere state ritenute applicabili le disposizioni della L. n. 92 del 2012, anche ai rapporti di lavoro sorti precedentemente alla sua entrata in vigore.

6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale il lavoratore sostiene la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 111 c.p.c. e art. 2112 c.c., per errata applicazione di norme di diritto, in quanto la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che, pur essendovi stata in data 30.11.2016 la cessione del ramo di azienda afferente il servizio della mensa dell’Ospedale (OMISSIS) alla Serist srl e, quindi, un fenomeno successorio a titolo particolare ex art. 111 c.p.c., tuttavia ha rilevato che, non avendo il C. chiesto la chiamata in casa della cessionaria, la sua istanza di estensione degli effetti della sentenza nei confronti di quest’ultima non poteva avere alcun rilievo.

7. Il primo motivo non è fondato.

8. La Corte territoriale, infatti, con la gravata sentenza non è incorsa nella violazione della norma di cui all’art. 295 c.p.c., attesa la autonomia sulla valutazione dei procedimenti civile e penale, che non impone alcuna sospensione necessaria tra i due giudizi.

9. Invero, in sede di legittimità (Cass. 10.3.2015 n. 4758; Cass. 12.1.2016 n. 287) è stato affermato, con orientamento consolidato cui si intende dare seguito, che in applicazione del nuovo c.p.p. il rapporto tra processo civile e penale si configura in termini di pressochè completa autonomia e separazione, nel senso che, ad eccezione di alcune e limitate ipotesi di sospensione del giudizio civile previste dall’art. 75 c.p.p., comma 3, detto processo deve proseguire il suo corso senza essere influenzato da quello penale e il giudice civile accerta autonomamente i fatti e le responsabilità con pienezza di cognizione, senza essere vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale, sicchè non è tenuto a sospendere il giudizio in attesa della definizione del processo penale in cui si sia proceduto ad una valutazione di risultanze probatorie in senso parzialmente difforme.

10. Il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.

11. In primo luogo, osserva il Collegio che l’omesso fatto, secondo la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, riguarda unicamente i fatti storici, principale o secondario, e non anche i documenti o elementi istruttori (cfr. Cass. 7.4.2014 n. 8053; Cass. 22.9.2014 n. 19881).

12. In secondo luogo, deve sottolinearsi che i fatti, oggetto delle sentenze penali richiamate, sono stati valutati dalla Corte di merito, anche sotto il profilo della valenza della chiamata in correità di B. nei confronti del C., ritenuta non utile ai fini della declaratoria di responsabilità di quest’ultimo, e sono stati, in virtù del principio sopra richiamato dell’autonomia dei procedimenti, considerati insussistenti in ordine all’addebito disciplinare contestato.

13. Il terzo motivo è inammissibile.

14. Da un lato, infatti, occorre precisare che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960): ipotesi, queste, non denunziate nel caso in esame.

15. Dall’altro, osserva il Collegio che l’articolazione della censura, come formulata, si risolve, in sostanza, nella richiesta di riesame dell’accertamento operato dalla Corte territoriale in fatto, che non è deferibile al giudice di legittimità cui spetta solo la facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 19.3.2009 n. 6694).

16. Il quarto motivo è infondato.

17. Giova premettere che il datore di lavoro nella formulazione della contestazione disciplinare, non è tenuto ad usare i termini giuridici in senso tecnico, ma deve fornire le motivazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali è stata ravvisata la infrazione disciplinare o la violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c. (cfr. in termini Cass. 18.4.2018 n. 9590; Cass. 6.12.2017 n. 29240); inoltre, deve rilevarsi che, effettivamente, la definizione limitativa data al termine “concorso” da parte dei giudici del merito, nel senso che essa faccia riferimento unicamente all’ipotesi di “fattiva collaborazione” e non anche in altre forme di cooperazione, non è corretta perchè lessicalmente il “concorso” è ravvisabile in ogni fattispecie di compartecipazione, sia essa limitata anche alle sole fasi di ideazione e progettazione ovvero sia estrinsecata in una condotta agevolativa.

18. Tuttavia questo Collegio deve dare atto che, a prescindere dalla affermazione sopra riportata, la Corte di merito, nell’esaminare le risultanze istruttorie acquisite in sede civile, ha comunque escluso (cfr. pag. 5 della gravata sentenza) ogni coinvolgimento del C. in ordine ai fatti contestati, sia sotto il profilo di una fattiva collaborazione, sia sotto quello di un comportamento esclusivamente agevolativo, con la conseguente inidoneità delle stesse a sostenere la fondatezza degli addebiti disciplinari.

19. Irrilevante, pertanto, si palesa l’errore della Corte territoriale sul concetto di “concorso” come denunziato nella censura.

20. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente assorbimento della trattazione di quello incidentale formulato solo in via condizionata.

21. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre come da dispositivo, limitatamente al ricorso principale. Il controricorrente, il cui ricorso incidentale sia dichiarato assorbito, non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. 25.7.2017 n. 18348; Cass. 19.7.2018 n. 19188).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore di C.F.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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