Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25168 del 24/10/2017

Cassazione civile, sez. VI, 24/10/2017, (ud. 08/06/2017, dep.24/10/2017),  n. 25168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19534/2016 proposto da:

C.H. S.R.L., – C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato SAVERIO CARUCCIO;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE GEMELLI S.R.L., – P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO DALLA VALLE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 929/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 09/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’8/06/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

in relazione ad un contratto di affitto di azienda concernente un immobile destinato ad uso di albergo e ristorante, la Immobiliare Gemelli s.r.l. agì nei confronti dell’affittuaria C.H. s.r.l. per sentir dichiarare la risoluzione del contratto a seguito del mancato pagamento dei canoni e per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla mancanza di alcuni beni aziendali e al degrado subito dall’immobile nelle more della riconsegna;

il Tribunale accolse la domanda, con sentenza che è stata integralmente confermata dalla Corte di Appello;

ricorre per cassazione la C.H. s.r.l., affidandosi a due motivi; resiste l’intimata a mezzo di controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

il primo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo (costituito dal divieto di svolgimento dell’attività alberghiera) e la violazione degli artt. 1418,1325,1346e 1617 c.c. e censura la Corte per non aver preso in esame l’ordine di chiusura “emesso dall’Autorità competente in data antecedente alla stipulazione del contratto di affitto d’azienda, mai revocato ed anzi confermato”; il secondo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, censurando la Corte per non aver “preso in esame l’evento della chiusura della porta di accesso all’albergo, avvenuta immediatamente prima della consegna delle chiavi in deposito fiduciario all’avv. Reggiani”;

il ricorso è inammissibile, per difetto di specificità, in relazione alle censure prospettate ex art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto l’illustrazione di entrambi i motivi non individua errores iuris commessi dalla Corte, ma si incentra sulla deduzione dell’omesso esame di fatti decisivi;

in relazione al primo motivo, la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5), è anch’essa inammissibile, in quanto la stessa ricorrente deduce di aver fatto valere il fatto decisivo con l’appello, ma non indica in quali termini, limitandosi ad un generico rinvio al primo motivo di gravame; se avesse dedotto tale omessa considerazione, il preteso omesso esame da parte del giudice d’appello avrebbe dovuto essere dedotto come vizio ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (per omessa decisione su un motivo di appello); senonchè, pur interpretando il motivo in questi termini (alla stregua di Cass., S.U. n. 17931/2013), la già rilevata mancanza di individuazione del motivo di appello rende la censura inidonea ad evidenziare un vizio ex art. 112 c.p.c.;

le violazioni di diritto consequenziali, in quanto dipendenti da quello che erroneamente è stato dedotto come omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) e che non è riconvertibile in violazione ex art. 112 c.p.c., risultano pertanto automaticamente prive di base e prospettate in termini meramente assertivi;

deve inoltre considerarsi – sempre nel senso dell’inammissibilità- che le censure non attingono la ratio della decisione, che è fondata sulla considerazione che – a prescindere dalle contestazioni sulla sussistenza delle necessarie autorizzazioni per lo svolgimento dell’attività – l’immobile era stato comunque utilizzato dall’affittuaria, che era incorsa nella morosità in costanza del rapporto di affitto, maturando pertanto un inadempimento che giustificava la pronuncia di risoluzione;

il secondo motivo è parimenti inammissibile in quanto fa riferimento ad un “fatto” (o meglio, a una “sequenza cronologica”) senza nulla dire sul se e sul come lo stesso avrebbe dovuto essere esaminato: non si dice, infatti, come su di esso avesse deciso il primo giudice e come ne fosse stato investito il giudice di appello;

la censura è, peraltro, priva di concreto interesse, in quanto non impugna specificamente – e a monte – il capo della sentenza che ha ritenuto sussistente la mora dell’affittuaria nella riconsegna, da cui è conseguita l’affermazione della responsabilità della C.H. s.r.l. per i danni e le sottrazioni riscontrate nell’immobile (a prescindere dalla circostanza che la porta di accesso fosse stata o meno chiusa a chiave);

per di più, l’evocazione dell’art. 115 c.p.c., non risponde al paradigma individuato da Cass., S.U. n. 16598/2016;

il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alle spese di lite;

trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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