Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25168 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/10/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 08/10/2019), n.25168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8163/2018 proposto da:

SAIPEM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo

studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

V.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE XXI APRILE

11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ROSANNA SANTANIELLO, SHARMINE CARLUCCIO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1181/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/09/2017 r.g.n. 752/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

udito l’Avvocato GIAMPIERO PROIA;

uditi gli avvocati SHARMINE CARLUCCIO e ROSANNA SANTANIELLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento del ricorso proposto da V.P., dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato al predetto dalla SAIPEM s.p.a. con lettera dell’8.1.2013, per violazione dell’art. 7 Stat. Lav. – per essere stati contestazione e lettera di licenziamento inviate al domicilio di (OMISSIS), pur avendo il V., con e-mail del 3.12.2012, invitato la società ad effettuare qualsiasi comunicazione presso lo studio dell’avv. Santa Maria, nominato difensore nel processo penale – e condannava quest’ultima al pagamento della somma di Euro 423.615,36 a titolo di indennità di mancato preavviso, dell’importo Euro 31.278,92, in relazione all’incidenza di tale voce sul t.f.r., nonchè di ulteriori Euro 741.326,88 a titolo di indennità supplementare.

2. La comunicazione del V., effettuata con e-mail del 22.11.2012, veniva ritenuta integrare una vera e propria elezione di domicilio speciale e la sua valenza, secondo il giudice di primo grado, era stata bene intesa dalla società, che aveva inviato presso l’avvocato Santa Maria la comunicazione del 5.12.2012 di sospensione cautelare del V. dal servizio.

3. Il Tribunale rigettava le domande riconvenzionali della società volte ad ottenere la condanna del lavoratore al risarcimento dei danni relativamente alle vicende (OMISSIS) e (OMISSIS), rilevando l’omessa allegazione e deduzione che il buon fine dell’affare si sarebbe ottenuto anche senza la ulteriore maggiorazione del prezzo e comunque l’omessa prova che l’autorizzazione al V. aveva riguardato una somma inferiore. Quanto all’operazione (OMISSIS) era escluso che la violazione del codice etico avesse comportato automaticamente una responsabilità del V. per le inadempienze contrattuali della società e si affermava che non era stata allegata nè provata la sottoscrizione di accordi in perdita per la società.

3. La Corte di appello meneghina respingeva l’appello principale della società e quello incidentale del V. rilevando, quanto alla ritenuta illegittimità del licenziamento, che dovevano considerarsi dati pacifici: 1) l’e-mail 22.11.2012, ore 12,26, con la quale il dirigente chiedeva a S.G., referente della società, che la corrispondenza gli venisse inviata al nuovo domicilio in (OMISSIS), 2) l’e-mail 22.11.2012, ore 14,51, dello S., che chiedeva se la indicazione riguardasse il domicilio o cambio di residenza ed e-mail in pari data, ore 14,57, in cui veniva precisato dal V. che si trattava di domicilio; 3) l’e-mail 3-12-2012 con la quale quest’ultimo comunicava alla società di avere avuto un avviso di garanzia ed allegava per informazione la scansione dell’atto di nomina del difensore, avvocato Santa Maria, fatta presso la Procura, con richiesta di inviare allo studio dello stesso, dove il V. aveva eletto domicilio in sede penale, ogni comunicazione; 4) la comunicazione di sospensione cautelativa dal servizio del dirigente del 5.12.2012 inviata dalla società all’indirizzo dell’avvocato suddetto; 6) la lettera 12.12.2012 inviata alla società dagli avvocati lavoristi Carluccio e Santaniello, nominati nel frattempo dal V., i quali impugnavano la sospensione cautelare e chiedevano di essere contattati al proprio studio per le relative formalità di revoca e reintegra dell’assistito; 7) l’e-mail del 13.12.2012 dell’avv. della Saipem all’avv. Santa Maria, con richiesta degli atti del processo penale per porre la società in condizione di difendersi da eventuali responsabilità penali; 8) l’e-mail 17.12.2012 dell’avv. Santa Maria a quello della Saipem, contenente la precisazione che ogni questione che avesse riflessi sul rapporto di lavoro doveva essere trattata con l’avv. Carluccio; 9) la contestazione disciplinare del 19.12.2012 inviata presso l’indirizzo di (OMISSIS); 10) l’atto di rinuncia al mandato dell’8.1.2013 dell’avv. Santa Maria depositato presso la Procura; 11) la lettera di licenziamento in data 8.1.2013, inviata sempre presso (OMISSIS).

4. La Corte, in base alla descritta sequenza di comunicazioni ed atti riferibili alle parti, rilevava che la comunicazione del nuovo domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Santamaria, inviata, successivamente alla iniziale comunicazione dell’indirizzo di via (OMISSIS), con le stesse modalità, per le precise indicazioni in essa contenute, ossia quelle contenenti l’invito ad effettuare “qualunque notifica, di qualunque genere e/o informazione/corrispondenza” nel domicilio eletto presso lo studio Santa Maria, era chiaramente stata recepita dalla società, che proprio a tale nuovo domicilio aveva inviato il provvedimento di sospensione cautelativa dal servizio, e che la impugnativa, da parte dei nuovi avvocati nel frattempo nominati, di tale provvedimento non integrava nuova elezione di domicilio per non essere a firma del V., come dimostrato dal fatto che la lettera di contestazione disciplinare non veniva inviata presso lo studio dei predetti. La Corte riteneva che la comunicazione degli avvocati lavoristi non poteva integrare una nuova elezione di domicilio presso gli stessi in quanto alcuna volontà in tal senso era stata manifestata per iscritto dal V. e che neanche la rinuncia al mandato da parte dell’avv. Santa Maria poteva far venir meno l’elezione di domicilio presso lo stesso. Osservava che, per il suo tenore, l’elezione di domicilio non poteva ritenersi limitata alle sole comunicazioni relative al processo penale.

5. Veniva respinto il motivo di gravame relativo alla domanda risarcitoria con riguardo alla operazione (OMISSIS), osservandosi che, seppure il V. avesse operato autonomamente in maniera diversa da quanto autorizzato, ciò non avrebbe consentito di ravvisare alcun danno per la società e soprattutto nella misura rivendicata, essendo la prova che l’operazione con la committenza si sarebbe ugualmente conclusa anche senza l’esborso contestato asseritamente a carico della Saipem. Analogamente, per la domanda risarcitoria relativa all’operazione (OMISSIS) non ne erano state dedotte ragioni fondanti l’eventuale responsabilità del dirigente.

6. Quanto all’appello incidentale, avanzato dal dirigente per la rifusione delle spese legali del processo penale ex art. 15 c.c.n.l. Dirigenti Industrie, veniva escluso che ne sussistessero i presupposti, per essere stata la condotta del V. contraria agli interessi della società e, quanto alla determinazione dell’ultima retribuzione globale di fatto e dei trattamenti economici corrisposti, era osservato che quanto emergente dai CUD non era indicativo ai fini della prova della continuità della retribuzione percepita, richiesta per la liquidazione del trattamento di fine rapporto. Infine, la quantificazione dell’indennità supplementare nella misura minima veniva giustificata in ragione della circostanza che l’illegittimità del licenziamento era stata ricondotta ad un mero vizio procedurale.

7. Di tale decisione domanda la cassazione la Saipem, affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resiste con controricorso il V., che propone ricorso incidentale affidato ad otto motivi, cui a sua volta ha resistito la società con controricorso.

8. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RICORSO PRINCIPALE.

1. Con il primo motivo, è denunziata la violazione degli artt. 1362,1363 e 1369 c.c., quanto alla interpretazione della volontà manifestata dal V. con la mail 3.12.2012, sostenendosi che era stato estrapolato un frammento della comunicazione senza valutazione complessiva delle clausole, che denotavano uno stretto collegamento dell’invito ad effettuare le comunicazioni direttamente presso lo studio del difensore per quegli atti che, a ragione del loro collegamento con le indagini penali e con la nomina del difensore, sarebbero stati di interesse e/o competenza dello stesso (“vi prego pertanto” collegato alla nomina del difensore per tutto ciò che seguiva all’informazione di garanzia). Si assume, poi, che non poteva neanche aversi riguardo, quale criterio interpretativo di atto unilaterale, al comportamento del destinatario dell’atto.

2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli artt. 43 e 47 c.c., per avere la Corte meneghina attribuito al domicilio speciale eletto dal V. il carattere dell’esclusività e la connotazione di infungibilità, osservandosi che la espressione di volontà in tal senso debba essere intesa quale clausola di stretta interpretazione e che pertanto il domicilio eletto rappresenti normalmente solo un luogo di possibile notificazione. Si assume che non vi erano stati una chiara ed espressa volontà ed uno specifico accordo delle parti in tali termini.

3. Con il terzo motivo, si ascrive alla decisione impugnata violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’affermazione della volontà di eleggere un domicilio “esclusivo”, priva di ogni base motivazionale, sul rilievo che l’utilizzo del termine “direttamente” non equivaleva ad “esclusivamente”, che non veniva richiesto di non indirizzare più alcuna corrispondenza presso l’indirizzo di (OMISSIS) 30 e che l’interpretazione sistematica delle due comunicazioni del 22.11.2012 e del 3.12.2012 consentiva di escludere che con la seconda il V. avesse voluto privare di effetto il domicilio stabilito in (OMISSIS), qualificando come esclusivo il domicilio speciale presso l’avv. Santa Maria.

4. Con il quarto motivo, si assume la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione alla qualificazione dell’elezione di domicilio presso l’abitazione di (OMISSIS) in termini di revoca della precedente elezione, laddove la sentenza impugnata aveva ritenuto che l’elezione di domicilio speciale era relativa alle comunicazioni inerenti al rapporto di lavoro ed aveva sostituito limitatamente a tali comunicazioni tutti gli altri parametri di individuazione spaziale delle persona.

5. Il quinto motivo addebita alla sentenza violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione alla mancata pronuncia sul motivo di appello in cui era stato evidenziato che l’elezione di domicilio speciale presso l’avv. Santa Maria non avrebbe potuto comportare la tacita revoca della comunicazione del 22.12.2012, posto che tale comunicazione non conteneva un’elezione di domicilio, ma la indicazione di quello che, a tale data, costituiva il domicilio generale del V..

6. Con il sesto motivo, è dedotta ugualmente violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 ed, in via subordinata, dell’art. 1223 c.c., anche in relazione agli artt. 414 e 416 c.p.c., ed all’art. 2697 c.c., nella parte in cui è stata rigettata la domanda risarcitoria di Saipem relativa alla vicenda (OMISSIS), assumendosi che la sentenza non abbia considerato che il rapporto contrattuale di appalto intercorrente tra Sonatrach, ente di Stato algerino appaltante, e Saipem, appaltatrice, era rapporto distinto e diverso dal rapporto contrattuale di agenzia intercorrente tra (OMISSIS) e Saipem e che ciò avrebbe avuto una rilevanza determinante ai fini della ripartizione degli oneri di allegazione e prova, in quanto il danno patrimoniale derivato a Saipem era conseguenza immediata e diretta del pagamento di maggiori commissioni, pari ad Euro 10 milioni, a (OMISSIS), quale corrispettivo non autorizzato per l’incarico conferito a tale società, elargito dal V. in misura di molto superiore a quanto deliberato dalla Saipem. Ciò avrebbe comportato, secondo la ricorrente, l’onere per il V. di allegare e provare che l’incremento delle commissioni da lui arbitrariamente stabilito fosse stato necessario per il buon fine dell’affare anche avendo riguardo, quale utile richiamo, alla disposizione di cui all’art. 1711 c.c., comma 2. Peraltro, in forza del principio della prossimità della prova, la sentenza impugnata non avrebbe potuto addossare alla società l’onere di allegare e dimostrare l’ulteriore circostanza che il buon fine dell’affare si sarebbe ottenuto anche senza la ulteriore maggiorazione del prezzo.

7. Il settimo motivo ascrive alla sentenza impugnata violazione dell’art. 1225 c.c., anche in relazione agli artt. 414 e 416 c.p.c. ed all’art. 2697 c.c., nella parte in cui è stato ritenuto che, per affermare la responsabilità solidale del V. per inadempienze del subappaltatore (OMISSIS), la Saipem avrebbe dovuto allegare e dimostrare che i danni subiti erano stati previsti dal V. ed erano da lui prevedibili, laddove il risarcimento deve essere limitato ai danni prevedibili soltanto quando l’inadempimento non dipenda da dolo del debitore, la cui sussistenza era stata, invece, dedotta e dimostrata attraverso la prova della circostanza che il V. aveva scientemente taciuto informazioni, celando inadempimenti della società con la quale aveva interattenuto rapporti personali.

8. Il ricorso principale è fondato nei limiti di quanto di seguito precisato.

9. In tema di interpretazione degli atti unilaterali – cui, per effetto del rinvio operato dall’art. 1324 c.c., sono applicabili, in quanto compatibili, le norme che regolano i contratti (cfr. Cass. 9.4.2014 n. 8361, Cass. 14.11.2013 n. 25608, Cass. 11.1.2011 n. 460) – il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, impone di accertare esclusivamente l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, ferma l’applicabilità del criterio dell’interpretazione complessiva dell’atto. Il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima consistente nella ricerca e nella individuazione della volontà del soggetto – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., mentre la seconda – concernente l’inquadramento nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche – può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (cfr. Cass. 5,12.2017 n. 29111 riferita ai contratti, Cass. 12946/2007).

E’, poi, principio pacifico quello secondo cui l’apprezzamento dell’atto alla stregua dei canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali è riservata al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata.

9.1. Alla luce dei principi richiamati deve ritenersi destituito di fondamento il primo motivo, in quanto correttamente è stato valorizzato, conformemente alla natura e struttura della comunicazione, l’intento espresso attraverso il senso letterale della stessa, attribuendo alle singole parti dell’atto il significato risultante dal complesso delle stesse ai sensi dell’art. 1363 c.c., non rilevando che la comunicazione contenesse la scansione dell’atto di nomina del difensore, avvocato Santa Maria, fatta presso la Procura, in ragione della considerazione della volontà chiaramente individuabile nella parte successiva, contenente l’invito alla società ad inviare “qualunque notifica, di qualunque genere, e/o informazione corrispondenza”. Nè può ritenersi che, in contrasto con le regole di interpretazione degli atti unilaterali, si sia conferito rilievo al comportamento del destinatario dell’atto, previsto per i contratti, posto che alla circostanza che la società avesse inviato il 5.12.2012 al nuovo domicilio il provvedimento di sospensione cautelativa dal servizio è stato attribuito valore meramente confermativo di una volontà già chiaramente evinta dal testo della comunicazione sulla base di una interpretazione correttamente condotta alla stregua dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, artt. 1363 e 1369 c.c., senza l’utilizzo di criteri interpretativi preclusi in sede di interpretazione degli atti unilaterali.

9.2. Erronea è, poi, l’affermazione della ricorrente quanto alla necessità di un accordo tra le parti nel senso dell’attribuzione all’elezione di domicilio del carattere dell’esclusività ed infungibilità. Ed invero, non vi poteva e doveva essere accordo alcuno, trattandosi di atto unilaterale che non richiede il consenso o l’accettazione del domiciliatario e la sentenza ha interpretato l’atto in maniera conforme alle regole disciplinanti l’elezione di domicilio speciale, avendone rilevato la redazione per iscritto e la connotazione secondo caratteri di incontroversa univocità quale espressione della chiara volontà della parte di riferirsi al luogo prescelto come destinazione non fungibile di tutti gli atti che la riguardavano. Diversamente, non riveste tale carattere quella dichiarazione che si limiti, nel corso delle trattative extraprocessuali per il componimento di una vertenza insorta tra le parti, al semplice invito, rivolto alla controparte, a rivolgersi al proprio legale (con contestuale indicazione dell’indirizzo del medesimo), onde trasferire il livello delle trattative dal piano dei rapporti personali a quello, formale, che presupponga l’assistenza di un avvocato. (Cass. 10.11.97, n. 11037).

9.3. L’elezione di domicilio speciale deve, invero, effettuarsi per iscritto e risultare in modo espresso, esplicito ed inequivoco, di modo che se ne possa desumere in modo univoco la chiara volontà della parte di riferirsi al luogo prescelto come destinazione non fungibile di tutti gli atti del processo che la riguardino, trattandosi di una deroga alle regole generali sul domicilio e di una rinunzia ad essere citati nel proprio domicilio (cfr. Cass. 19.11.2003 n. 17519, Cass. 15.2.2006 n. 3286 e, successivamente, Cass., 12.12.2011 n. 26597). Ciò in forza della considerazione che il domicilio speciale o eletto è un domicilio non esclusivo, ma si aggiunge a quello generale (Cass. 26597/2011) e la nuova elezione di domicilio non può logicamente avere altro significato se non quello di escludere la persistenza della precedente; e ciò, sia sotto il profilo giuridico, in quanto determina il venir meno degli effetti della precedente e ne produce di nuovi con essi incompatibili e tali da non consentire alcuna legittima indagine officiosa circa la possibile ultrattività di una manifestazione di volontà dalla parte espressamente modificata e sostituita, sia sotto l’aspetto fattuale, poichè esclude qualsiasi onere per la parte di rendersi informata presso il proprio precedente domiciliatario e per questi di informare un cliente con il quale non ha più alcun rapporto una volta esaurito lo scopo, temporalmente e funzionalmente delimitato, del mandato ricevuto e della connessa domiciliazione (cfr. Cass. 17.4.2007 n. 9147). L’elezione di domicilio speciale, che ha, come funzione, la sostituzione, per l’affare in questione, di tutti gli altri parametri di individuazione spaziale della persona fisica o giuridica (rispettivamente residenza, dimora, domicilio generale o sede legale o effettiva) con il luogo specificamente indicato, e, come conseguenza, il dipanarsi degli effetti di cui all’art. 141 c.p.c., oltre che effettuarsi per iscritto, deve connotarsi secondo caratteri di incontroversa univocità, onde desumerne la chiara volontà della parte di riferirsi al luogo prescelto come destinazione non fungibile di tutti gli atti del processo che la riguardino (Cass. 19.11.2003 n. 17519, con richiamo a Cass. 10 novembre 1997, n. 11037). A tal fine, infatti, il legislatore richiede che l’elezione sia fatta “espressamente per iscritto” (art. 47 c.p.c., comma 2). Non è possibile quindi un’elezione di domicilio che debba desumersi implicitamente da altre espressioni, per quanto scritte, occorrendo che l’elezione risulti in modo espresso, esplicito ed univoco, trattandosi di una deroga alle regole generali sul domicilio ed una rinunzia ad essere citati nel proprio domicilio.

10. Il terzo motivo si limita a sostenere che non sia stata fornita sufficiente motivazione in ordine al ritenuto carattere di esclusività della elezione di domicilio speciale, ma la interpretazione fornita implicitamente sottintende un’affermazione nel senso della esclusività, essendo la stessa in linea con gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità richiamati, tutti convergenti sulla necessità di un’elezione fatta per iscritto in modo espresso, esplicito ed univoco, come è stato ritenuto nella specie.

11. Anche il quarto ed il quinto motivo si incentrano sulla dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per essere presenti elementi di contraddittorietà nella decisione tali da determinarne nullità. Tuttavia la motivazione sussiste e non può parlarsi di apparenza: il vizio di mancanza di motivazione è riscontrabile solo quando lo stesso sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione; mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum: nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame, atteso che, al di là di ogni valutazione sulla conformità ai principi applicabili in materia, la valutazione effettuata è idonea a dare contezza dell’iter logico argomentativo seguito dalla Corte del merito nel pervenire alla soluzione adottata.

11.1. Non si verte nell’ipotesi di una violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nei casi, che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza, di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, alla cui esclusiva verifica è attualmente circoscritto (oltre alla possibilità di deduzione del vizio di motivazione per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia) il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940): nè può rilevare in termini di decisività la circostanza che la elezione di domicilio sia seguita ad una precedente analoga elezione di domicilio speciale o sia stata effettuata per escludere tutti gli altri parametri di individuazione spaziale della persona fisica o giuridica (rispettivamente residenza, dimora, domicilio generale o sede legale o effettiva) con il luogo specificamente indicato.

11.2. Anche ove non inteso come revoca di una precedente elezione di domicilio, la parte ben poteva procedere all’elezione di domicilio speciale, che escludeva l’operatività delle regole in tema di individuazione dei criteri spaziali di collegamento normali del luogo di residenza domicilio e dimora con conseguenze in termini di impossibilità incolpevole di ricevere comunicazioni presso il luogo di domicilio generale, ovvero presso la abitazione in Milano, (OMISSIS).

12. Con riguardo al sesto motivo, deve ritenersi che i principi sul riparto dell’onere della prova e dell’allegazione ricadente sulla parte inadempiente con riferimento ad operazione con l’intermediario non autorizzata siano stati disattesi laddove si è preteso che la prova idonea ad evidenziare la responsabilità del dirigente incombesse alla società attraverso la dimostrazione che il buon fine dell’affare si sarebbe realizzato anche senza la maggiorazione della commissione versata all’intermediario. Vi è da valutare in che termini si atteggiavano le rispettive obbligazioni. Non è stato indagato in modo esaustivo quali fossero i termini del rapporto intercorrente tra le parti, al di là di quelli del rapporto di subordinazione in relazione ai poteri del lavoratore di compiere in nome della società operazioni di agevolazione dei contratti di appalto procurati al datore di lavoro.

12.1. Vero è che, ove venga dedotto in giudizio un danno da inadempimento contrattuale che si limiti al solo lucro cessante, dovendosi quest’ultimo concretizzare nel mancato guadagno, ovvero nell’accrescimento patrimoniale ridottosi o azzeratosi proprio a causa dell’inadempimento, la parte che lo deduce avrà il compito di fornire la prova, anche indiziaria, dell’utilità patrimoniale che avrebbe conseguito, se al contratto fosse stata data corretta e puntuale esecuzione. A tal fine, tuttavia, saranno da escludersi i guadagni ipotetici, perchè dipendenti da condizioni incerte (cfr. Cass., Terza Sezione Civile, 11.10.2018 n. 25160, Cass. 24632/2015).

12.2. La Suprema Corte ha anche specificato che, ove venga dedotto in giudizio un danno da inadempimento contrattuale che si limiti al solo lucro cessante, dovendosi quest’ultimo concretizzare nel mancato guadagno, ovvero nell’accrescimento patrimoniale ridottosi o azzeratosi, proprio a causa dell’inadempimento, la parte che lo deduce avrà il compito di fornire la prova, anche indiziaria, dell’utilità patrimoniale che avrebbe conseguito, se al contratto fosse stata data corretta e puntuale esecuzione.

12.3. Non è questa, tuttavia, l’ipotesi considerata, per la quale si rivelano inconferenti i richiami ai principi espressi da Cass. 21140/2007, Cass. 5960/2005 e, ancor più, da Cass. 21140/2007, posto che il danno da risarcire prodotto asseritamente alla SAIPEM era dedotto come conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del V., discostatosi, nella stipulazione di un contratto (Agency Agreement) con la (OMISSIS), dalle condizioni economiche previste ed autorizzate dal Consiglio di Amministrazione della società (“estratto del verbale del CDA e copia dell’Agency approvata nonchè diverso Agency firmato da V.”, richiamati a pag. 9 della sentenza della Corte di appello di Milano) allegandosi che pertanto il danno patrimoniale a carico della SAIPEM era pari alle maggiori commissioni a (OMISSIS) per Euro 10 milioni. Al riguardo, a fronte delle allegazioni della società Saipem, sarebbe stato onere del V. allegare e provare che l’incremento delle commissioni da lui arbitrariamente stabilito fosse stato necessario per ottenere il consenso di (OMISSIS) alla stipulazione dell’Agency Agreement.

12.4. Peraltro, le svolte considerazioni sono in linea con le previsioni normative valide in tema di mandato, richiamate dalla ricorrente principale, in particolare con quanto previsto dell’art. 1711 c.c., comma 2, che, in ipotesi di discostamento da parte del mandatario dalle istruzioni ricevute dal mandante, ha l’onere di dimostrare che quest’ultimo, impossibilitato a dare la sua approvazione in tempo utile, in relazione alla natura di circostanze impreviste ed allo stesso ignote, avrebbe acconsentito al mutamento delle originarie istruzioni e dei relativi termini. Anche il richiamo a testimonianze rese in relazione all’impossibilità per il V. di operare autonomamente è privo di ogni riferimento, necessario a fini di specificità, alle deposizioni asseritamente rese dai testi.

12.5. Il principio generale affermato in una pluralità di decisioni è quello secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione (cfr. Cass. s.u. 30.10.2001 n. 13533, tra le altre, Cass. 826/2015; nell’affermare il principio di diritto che precede, le SS.UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento).

12.6. A ciò consegue che il danno emergente, essendo legato all’esborso di una commissione eccedente l’ammontare pattuito, si basa su parametro certo rilevante ai fini della prova del danno e del suo ammontare, stante la indicazione dell’importo convenuto e di quello maggiore autonomamente pagato dal dirigente alla società intermediaria.

12.7. Il V. si difende rilevando che vi era una pluralità di negozi strutturalmente autonomi ma collegati, nel senso che le sorti dell’uno influenzavano quelle dell’altro in termini di validità ed efficacia, ma l’assunto non è idoneo a mutare i termini della questione. Peraltro, anche invocando il principio della compensatio lucri cum damno, resta onere di chi invoca la compensatio dimostrarne il fondamento, ed, in caso di insufficienza di prova (sull’an del vantaggio ottenuto dalla vittima, od anche solo sul quantum di esso), le conseguenze di essa ricadranno sul convenuto, che resterà tenuto al risarcimento integrale (cfr. Cass., 24 settembre 2014, n. 20111 e Cass. 10 maggio 2016, n. 9434).

13. La responsabilità solidale da inadempimento del V. dedotta nel settimo motivo attiene alla vicenda (OMISSIS), società subappaltatrice risultata inadempiente rispetto alle obbligazioni assunte, e si fonda sull’assunto della condotta, connotata da colpa grave, del dirigente, che aveva taciuto scientemente circostanze rilevanti ai fini della scelta della società cui era stata conferita in subappalto l’esecuzione delle opere commissionate (cointeressenze economiche personali o di familiari con soci della (OMISSIS) e situazioni di conflitto di interesse, ovvero violazioni dell’obbligo di trasparenza, con l’intento di prevenire possibili controlli da parte dei Sapeim in ordine alla detta società).

13.1. Va richiamato il contenuto dell’art. 2104 c.c., il quale prevede, al comma 1, che il grado di diligenza dovuta dal lavoratore, trattandosi di elemento variabile secondo la peculiarità del singolo rapporto di lavoro, debba essere commisurato mediante l’applicazione di due distinti parametri, entrambi espressamente delineati nella norma in oggetto e costituiti, quali specificazioni del principio generale stabilito dall’art. 1176 c.c., dalla natura della prestazione dovuta e dall’interesse dell’impresa: ove il primo parametro richiama la complessità delle mansioni svolte dal lavoratore, intesa non solo sul piano della difficoltà e dell’impegno di carattere tecnico ma anche su quello dell’assunzione di responsabilità che ad esse è collegata; mentre il secondo parametro, non esaurendosi nell’interesse del creditore ad un esatto adempimento (come è reso palese dal riferimento all’impresa), pone la necessità di una prestazione che si raccordi alla specifica organizzazione in funzione della quale è resa. Tanto premesso, la società ricorrente principale ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non allegata la responsabilità del dirigente, ma solo quella della (OMISSIS), osservando come i danni provocati dall’inadempienza di quest’ultima fossero imputabili, quale danni imprevedibili, al contegno gravemente colposo del V., che aveva taciuto alla società Saipem elementi ed informazioni a sua conoscenza circa la consistenza e solvibilità della subappaltatrice con cui aveva intrattenuto rapporti anche personali.

13.2. Secondo Cass. 5910/2004, nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui, in tema di inadempimento contrattuale, le conseguenze giuridiche della colpa grave sono trattate allo stesso modo di quelle proprie della condotta dolosa, con estensione dell’imputabilità anche dei danni imprevedibili: dal cosciente e consapevole inadempimento dell’obbligo di informare la società sulle caratteristiche della società alla quale era stata affidata in subappalto l’esecuzione dei lavori cui si riferiva la commessa acquisita deriverebbe, secondo l’assunto di SAIPEM, l’obbligo per il V. di risarcire anche i danni – imprevedibili – conseguenti all’inadempimento della subappaltatrice.

13.3. La solidarietà risarcitoria è poi reputata applicabile in via astratta anche per il caso di inadempimento da parte di più debitori, a diversi contratti che ciascuno ha autonomamente stipulato con il medesimo creditore, pure in vista della realizzazione in un interesse unitario di quest’ultimo (cfr. Cass. 6.8.2004 n. 15179, Cass. 6.9.2011 n. 23918).

13.4. La sentenza ha omesso ogni valutazione con riguardo ai principi richiamati laddove ha semplicisticamente rilevato che la responsabilità del V. era stata basata dalla società sulla richiesta di dimostrazione della responsabilità della società (OMISSIS), il che era insufficiente ai fini considerati. Si è affermato che occorresse la dimostrazione che la società (OMISSIS) era una società inaffidabile per cui era prevedibile che non avrebbe adempiuto gli obblighi contrattuali, ma tale affermazione si fonda su una ricostruzione in diritto che valorizza le conseguenze prevedibili dell’inadempimento non in linea con i principi richiamati in tema di responsabilità del dirigente per colpa grave. Ciò determina la necessità di procedere ad una rivalutazione dei fatti alla luce di questi ultimi principi e l’accoglimento anche del motivo che ascrive alla decisione una non corretta applicazione delle norme in tema di responsabilità per le conseguenze non prevedibili del comportamento omissivo del V., a prescindere da ogni questione di quantificazione dei danni, non oggetto della presente controversia.

13.5. Non può invero ritenersi dirimente, a fronte di una diversa qualificazione della responsabilità dedotta, il richiamo al principio, pure affermato da questa Corte, in forza del quale l’accertamento del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno così come l’accertamento della prevedibilità del danno costituiscono apprezzamenti di fatto, insindacabili in sede di legittimità, qualora siano sorretti da motivazione adeguata e immune da errori (cfr. Cass. 8.9.2017 n. 20961), nè risultano pertinenti i principi enunciati in tema di limiti alla risarcibilità del danno e relativi all’oggetto della prevedibilità, integrato dai fatti che in concreto abbiano comportato un determinato sviluppo nella serie causale originata dall’inadempimento e non già dall’inadempimento medesimo nè, tanto meno, dalla serie causale anteriore che ad esso ha condotto.

RICORSO INCIDENTALE DEL V..

14. Con il primo motivo, il V. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2121 c.c. e dell’art. 24 del c.c.n.l. Dirigenti Industria, assumendo che non sia stata correttamente quantificata la retribuzione costituente la base di calcolo dei compensi dovuti al dirigente, stante l’esclusione dei compensi variabili e di ogni ulteriore emolumento previsti invece dalla norma come computabili, ad eccezione dei rimborsi spese.

15. Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale lamenta la violazione degli stessi articoli indicati nel primo motivo e dell’art. 421 c.p.c., sul rilievo che l’ammontare della retribuzione globale di fatto posta a fondamento della richiesta costituiva elemento in fatto su cui non si era dibattuto.

16. Il terzo motivo addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 24 Cost., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 414 e 416 c.p.c., art. 2735 c.c., incentrandosi sul valore di prova legale asseritamente attribuibile ai prospetti paga ed alla natura di confessioni stragiudiziali delle stesse.

17. Il quarto motivo deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 19 c.c.n.l. Dirigenti Industria, sul rilievo che la quantificazione della indennità supplementare nella misura minima era stata giustificata dal fatto che il vizio di legittimità del licenziamento fosse attinente a ragioni procedurali, diversamente da quanto previsto dall’art. 19 c.c.n.l., che valorizza, quali criteri di determinazione dell’indennità supplementare, l’anzianità anagrafica di servizio, dovendo, altresì, considerarsi la professionalità del dirigente, le condizioni economiche della società, come statuito dalla S. C. in numerose decisioni.

18. Con il quinto motivo, il V. si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1366,1375,1344 e 1324 c.c. e dell’art. 19 c.c.n.l. Dirigenti Industria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sull’assunto dell’avvenuta valorizzazione di un fatto assolutamente inesistente, rappresentato dalla mancanza di giustificazioni da parte del V. rispetto al provvedimento assunto dalla società.

19. Il sesto motivo attiene alla dedotta violazione dell’art. 15 CCNL Dirigenti Industria in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo il V. che l’impresa non abbia riconosciuto il proprio diritto a vedersi integralmente ristorate le spese del procedimento penale tuttora pendente ex art. 15 c.c.n.l. Dirigenti Industria, incorrendo la sentenza in errore su un fatto decisivo nel sostenere che il dirigente avrebbe compiuto attività in danno alla controparte, fatto smentito asseritamente dagli atti che avevano visto il coinvolgimento anche della società in persona dei suoi vertici. Si assume che alcuna conseguenza pregiudizievole sia stata causata alla Saipem e che, ove le condotte ascritte al V. fossero provate come realmente poste in essere nel giudizio penale, in ogni caso le stesse sarebbero state a vantaggio del proprio datore di lavoro.

20. Violazione delle norma di cui all’art. 15 CCNL e degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c., è dedotta nel settimo motivo, ritenendosi che l’esclusione del rimborso sia previsto solo quando sussista dolo o colpa grave, sicchè occorrerebbe attendere l’esito del giudizio penale per l’accertamento della sussistenza di essi, non potendo effettuarsi la valutazione di non debenza ex ante.

21. L’ottavo motivo ascrive alla decisione impugnata violazione dell’art. 27 Cost. e dell’art. 15 c.c.n.l., in relazione all’operatività del principio di presunzione di innocenza o di non colpevolezza sino alla condanna definitiva.

22. A dire del ricorrente incidentale, ai fini del computo del trattamento di fine rapporto, dell’indennità supplementare e sostitutiva di preavviso debbono considerarsi, oltre allo stipendio, tutti gli emolumenti costitutivi della retribuzione aventi carattere continuativo ivi comprese le provvigioni, i premi di produzione ed ogni altro compenso ed indennità anche se non di ammontare fisso, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese e di emolumenti di carattere occasionale. La Corte di appello ha posto a base della decisione la considerazione che CUD e busta paga non potevano costituire prova della diversa quantificazione della retribuzione rivendicata, non potendo i primi (CUD) considerarsi indicativi della continuità della retribuzione percepita e non essendo le buste paga rilevanti senza adeguata spiegazione delle modalità di calcolo elaborate dall’istante.

22.1. L’art. 24, comma 2, del CCNL prevede che, “con riferimento dell’art. 2120 c.c., comma 2, per il computo del trattamento di fine rapporto, si considerano, oltre allo stipendio, tutti gli elementi costitutivi della retribuzione aventi carattere continuativo, ivi compresi le provvigioni, i premi di produzione ed ogni altro compenso ed indennità anche se non di ammontare fisso, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese e di emolumenti di carattere occasionale…”. Anche le gratifiche non consuetudinarie e gli aumenti di gratifica pur non consuetudinari corrisposti in funzione del favorevole andamento aziendale vanno computati. Tuttavia, per quanto detto, con accertamento di merito non sindacabile nella presente sede, la Corte meneghina ha escluso la possibilità di configurare come non occasionali e connotati nei sensi specificati dalla norma contrattuale gli elementi evincibili dal CUD e tanto è sufficiente per ritenere che la quantificazione effettuata non si sia posta in violazione della corretta interpretazione della normativa.

23. Sul secondo motivo, va rilevato non solo che le doglianze attengono ai medesimi profili giuridici già vagliati con riguardo al precedente motivo, non evidenziandosi se gli elementi retributivi posti a base del calcolo delle indennità rispondessero ai requisiti di cui all’art. 24 c.c.n.l., ma che comunque nulla si dice per giustificare la censura di violazione dell’art. 421 c.p.c.. In proposito, va ribadito che nel processo del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa e che non ricorrono, pertanto, i suddetti presupposti, allorchè non sussista alcun elemento, già acquisito al processo, tale da poter offrire lo spunto per integrare il quadro probatorio già tempestivamente delineato (cfr. Cass. 11.3.2011 n. 5878; Cass. 5.11.2012 n. 18924).

24. Con riguardo al terzo motivo, è sufficiente osservare che la sentenza non ha escluso il valore probatorio dei documenti de quibus, ma si è limitata ad affermare che la produzione di essi non poteva valere a sanare il difetto di allegazione conseguente alla mancata specificazione dei titoli di erogazione delle retribuzioni variabili corrisposte senza carattere di continuatività (secondo l’art. 2120 c.c., non occasionalità, salvo diversa previsione del ccnl) e pertanto il motivo sotto tale profilo deve ritenersi assorbito dalle considerazioni che precedono.

24.1. Nè si pone, per il resto, un’autonoma questione di malgoverno

degli artt. 115 e 116 c.p.c., atteso che la stessa può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione. E poichè, in realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste: nella specie, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.

25. Il quarto motivo, diversamente da quanto indicato in rubrica, prospetta una critica di merito laddove contesta la quantificazione dell’indennità supplementare in relazione al disposto di cui all’art. 19, comma 5, c.c.n.l., senza peraltro indicare di avere dedotto nei gradi di merito l’appartenenza del dirigente ad una specifica fascia di età che consentisse di procedere, secondo quanto disposto dalla norma contrattuale, ad un aumento della indennità in questione, determinabile, con riferimento a valutazioni riferite agli elementi caratterizzanti la fattispecie concreta, tra un minimo ed un massimo ivi previsti. La determinazione è censurabile – al pari della valutazione per la determinazione dell’indennità di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 – solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria. Ne consegue che non risulta viziata la sentenza di merito che, in carenza di deduzioni difensive specifiche che ne giustificassero una liquidazione superiore, abbia determinato l’indennità in una misura che sia ricompresa nei limiti indicati.

26. Ciò determina l’inconferenza anche della censura di cui al quinto motivo, che attiene a profili estranei alla valutazione da compiersi per la quantificazione dell’indennità de qua, prospettando la sussistenza anche del vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, senza che sia dato comprendere il carattere di decisività della circostanza dedotta.

27. Con riferimento alla doglianza espressa nel sesto motivo, in primo luogo va escluso che il fatto decisivo di cui si assume l’omesso l’esame possa essere rappresentato da elementi diversi da quelli su cui vi è stata discussione tra le parti ed, in ogni caso, si evidenzia che la Corte ha fatto riferimento ad un’attività in danno della società risultante dalle imputazioni a carico del V., mentre non si riporta nel motivo il capo di imputazione che si assume diverso da quello indicato dalla Corte d’appello di Milano, che proverebbe, secondo l’assunto del ricorrente incidentale, il coinvolgimento anche dei vertici aziendali.

28. Il settimo motivo attiene alla violazione dell’art. 15 ccnl, Dirigenti Industria. Ma, come è dato rilevare dal testo della norma contrattuale, in particolare del comma 4, è necessario che il procedimento penale a carico del dipendente riguardi “fatti che siano direttamente connessi all’esercizio delle funzioni attribuitegli”, circostanza che, come ritenuto dalla Corte di appello, con giudizio di fatto non fatto oggetto di specifica censura e comunque non sindacabile, doveva essere esclusa per quanto emergente dalle stesse imputazioni che denotavano che “la condotta del V. non era nel senso di favorire la società” (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). E la ritenuta inapplicabilità del comma 4 delibata dalla Corte meneghina esclude a monte la necessità di attendere l’esito del giudizio penale a carico dello stesso per escludere la sussistenza di dolo o colpa grave (comma 7), ostativi rispetto all’applicabilità delle garanzie e tutele di cui ai commi precedenti. Anche dal punto di vista teleologico, la tutela apprestata dalla norma collettiva non può che riguardare le condotte inerenti l’esercizio delle funzioni, esercizio che risulti essere stato svolto in conformità con gli interessi dell’azienda – ancorchè con comportamenti ed atti che abbiano determinato l’instaurazione di un procedimento penale – e non anche le condotte poste in essere in violazione delle funzioni stesse, in danno alla stessa azienda e/o in contrasto con le istruzioni impartite. In definitiva, l’art. 15, comma 4, si ferma a monte rispetto alla esclusione delle garanzie nei casi di colpa grave e dolo di cui al comma 7 e la Corte ha incentrato la propria decisione sulla ritenuta attività posta in danno della società, come tale non rientrante nel novero dei “fatti che siano direttamente connessi all’esercizio delle funzioni attribuite” al dirigente in conformità a quanto affermato da questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 9.11.2016 n. 22774, Cass. 4.10.2013 n. 22721, Cass. 7.10.2008 n. 24733).

29. Infine, la censura prospettata nell’ottavo motivo, è inammissibile perchè si fonda su una mera diversa interpretazione della norma contrattuale, che, come sopra precisato, è stata applicata conformemente alla previsione del suo comma 4, indipendentemente dalla norma di chiusura che vieta le garanzie e le tutele quando sia accertata con sentenza passata in giudicato la sussistenza del dolo o della colpa grave del dirigente. In conclusione, è inconferente il motivo rispetto al richiamo contenuto in sentenza art. 15, comma 4 c.c.n.l., del quale è stata ritenuta l’inapplicabilità alla fattispecie per mancanza dei presupposti in fatto riconducibili alla previsione normativa.

30. Per quanto argomentato, il ricorso principale merita accoglimento con riguardo al sesto ed al settimo motivo, con conseguente cassazione della decisione impugnata per la parte relativa ai motivi suddetti – essendo gli altri da respingere – e rinvio alla Corte designata in dispositivo – che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio – per un nuovo esame conforme ai principi richiamati.

31. Il ricorso incidentale va, invece, complessivamente respinto.

32. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto ed il settimo motivo del ricorso principale, respinti gli altri, rigetta l’incidentale, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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