Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25167 del 28/11/2011

Cassazione civile sez. I, 28/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 28/11/2011), n.25167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S., P.C., PA.CE., P.

M., M.C. e M.A., elettivamente

domiciliati in Roma, alla via A. Doria n. 48, presso l’avv. ABBATE

ferdinando emilio, dal quale sono rappresentati e difesi in virtù di

procura speciale a margine del ricorso; (c.f. (OMISSIS));

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della Corte di Appello di Roma depositato il 31

marzo 2008, n. 51007/06 V.G.;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

ottobre 2011 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Ranieri per delega del difensore del ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 31 marzo 2008, la Corte di Appello di Roma, dopo a-verne disposto la riunione, ha accolto le domande di equa riparazione separatamente proposte da P.S., P. C., Pa.Ce., P.M., M.C. e M.A. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, promosso dagli istanti nei confronti del Ministero della Giustizia per il riconoscimento del diritto all’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1993, era stato assunto in decisione soltanto il 10 dicembre 2003, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in quattro anni, ritenendo che la controversia fosse semplice, nonostante il numero elevato delle parli e l’avvenuta proporzione di una questione di legittimità costituzionale, la cui soluzione era stata rimessa alla Corte costituzionale; richiamati inoltre i parametri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 6.000,00 per ciascuno degl’istanti, pari ad Euro 1.000.00 per ogni anno di ritardo, in considerazione della natura della pretesa avanzata e del patema d’animo cagionato dalla vicenda processuale, incidente su beni rilevanti della vita e della persona.

2. – Avverso il predetto decreto gl’istanti propongono ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6, 13 e 41 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omissione, l’insufficienza e/o l’illogicità della motivazione, sostenendo che, nella determinazione della ragionevole durata del giudizio presupposto, la Corte d’Appello si è discostata dai parametri elaborati dalla Corte EDU senza fornire un’adeguata motivazione, e sottolineando anzi la semplicità della controversia, la quale, oltre ad avere ad oggetto un rapporto di pubblico impiego, implicava esclusivamente la soluzione di una questione di diritto, per la cui definizione era stata necessaria una sola udienza.

1.1. – Il motivo è fondato.

E’ pur vero, infatti, che, come ripetutamente affermato da questa Corte in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la nozione di ragionevole durata del processo ha carattere relativo ed clastico, essendo condizionata da parametri che, in quanto strettamente legati alla singola fattispecie, non consentono il riferimento a cadenze temporali ed a schemi valutativi predefiniti.

La cit. L. n. 89, art. 2, comma 2, prevede che l’accertamento della violazione va condotto in concreto, avendo riguardo alla complessità del caso e, in relazione alla stessa, al comportamento delle parti e del giudice e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione. E’ stato tuttavia precisato che, pur risolvendosi in un apprezzamento di fatto, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, la valutazione della ragionevolezza della durata non può prescindere dal dovere del giudice italiano, chiamato ad applicare la L. n. 89 del 2001, di darne un’interpretazione conforme alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, per come essa vive nella giurisprudenza della Corte EDU, nei limiti in cui tale interpretazione sia resa possibile dal testo della legge, e sempre che un eventuale contrasto con la Convenzione non ponga una questione di conformità con la Costituzione, ovvero non ne sia possibile un’interpretazione adeguatrice alla Carta fondamentale. Pertanto, ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo, occorre avere riguardo ai parametri cronologici elaborali dalla giurisprudenza della Corte EDU, dai quali il giudice di merito può discostarsi, purchè in misura ragionevole, e sempre che la relativa conclusione sia confortata da argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue (cfr. Cass., Sez. 1, 10 marzo 2006, n. 5292: 26 aprile 2005, n. 8600).

Nella specie, la motivazione addotta a sostegno dell’accertata lesione del diritto alla ragionevole durata del processo appare tutt’altro che immune da vizi, avendo la Corte d’Appello ritenuto che il relativo termine fosse stato superato di soli sei anni, senza espHcitarnc adeguatamente le ragioni, ed incorrendo anzi in una evidente contraddizione. Pur richiamando i parametri cronologici elaborati dai Giudici di Strasburgo, essa non vi si è infatti attenuta, avendo stimato la durata ragionevole dell’unico grado di giudizio in quattro anni, senza addurre coerenti ragioni a sostegno della scelta di discostarsi da quella triennale ordinariamente ritenuta congrua dalla Corte EDU per la fase di primo grado. La valutazione compiuta dalla Corte territoriale non appare sorretta da appropriate considerazioni in ordine alle concrete modalità di svolgimento del giudizio, avendo essa ridimensionato la portata di circostanze, quali il numero elevato delle parti in causa e l’avvenuta proposizione di un incidente di costituzionalità, astrattamente idonee a favorire una dilatazione dei tempi processuali, conferendo rilievo preminente ad altri elementi, e segnatamente alla semplicità del caso esaminato ed al comportamento non dilatorio delle parti, i quali avrebbero dovuto logicamente condurre a ritenere che il giudizio dovesse essere definito in un lasso di tempo, se non più breve, quanto meno non superiore a quello ordinariamente ritenuto ragionevole.

Se è vero, infatti, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, la mera attinenza del giudizio presupposto ad un rapporto di pubblico impiego non giustifica, ai fini della valutazione in ordine all’avvenuto superamento del termine di ragionevole durata, il riferimento a standard inferiori a quelli ritenuti adeguati dalla Corte EDU con riguardo ad altre tipologie di controversie, in quanto, come ripetutamente affermato da questa Corte, la natura lavoristica o previdenziale del giudizio, anche laddove impone l’applicazione di un rito speciale, non comporta l’adozione di forme diverse di organizzazione del lavoro, tali da differenziarne il corso in rapporto all’oggetto della controversia (cfr. Cass., Sez. 1, 6 giugno 2011, n. 12172; 30 ottobre 2009, n. 23047), è anche vero, però, che, ove la risoluzione della questione sottoposta all’esame del giudice non renda necessaria un’articolata istruttoria o la trattazione di problemi giuridici di particolare difficoltà, è lecito aspettarsi che la definizione del giudizio abbia luogo in tempi particolarmente rapidi.

2. – Resta pertanto assorbito il secondo motivo d’impugnazione, con cui i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè l’omissione, l’insufficienza, l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione, osservando che la Corte d’Appello, pur essendo consapevole che il giudizio presupposto si era protratto per sei anni ed otto mesi, ed avendone indicato in quattro anni la durata ragionevole, ha tenuto conto di un periodo di dieci anni ai fini della liquidazione del danno, in tal modo ignorando l’ulteriore durata di otto mesi.

3. – L’accoglimento del primo motivo, comportando la caducazione del decreto impugnato anche nelle parti concernenti la liquidazione dell’indennizzo ed il regolamento delle spese processuali, rende superfluo anche l’esame del terzo e del quarto motivo, con cui i ricorrenti denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 1173 cod. civ., nonchè dell’art. 91 cod. proc. civ. e del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, artt. 4 e 5, lamentando l’avvenuto riconoscimento degl’interessi sulle somme liquidate con decorrenza dalla data della decisione, anzichè da quella della proposizione della domanda, e la considerazione unitaria dei procedimenti riuniti, ai fini della liquidazione dell’onorario e dei diritti di avvocato.

4. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative alla fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile , il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011

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