Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25167 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 19377-2019 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILOTEO

ALBERTINI 77, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO CECCHI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO CALDARONI;

– ricorrente –

contro

M.A., V.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA NICANDRO 55, presso lo studio dell’avvocato BARBARA D’ANGELO,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati GAETANO

PALOMBO, FRANCESCO SPIRITO;

– controricorrenti –

contro

C.P., C.E., MO.RO.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7860/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che M.L. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 7860/18, del 5 dicembre 2018, della Corte di Appello di Roma, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 104/11, del 19 gennaio 2011, del Tribunale di Cassino – lo ha condannato a restituire la somma di Euro 12.911,00 in favore di V.G., di Euro 7.750.00 in favore di C.B. e di Euro 10.000,00 in favore di M.A., ponendo a suo carico anche le spese del grado;

– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce che i predetti V., M. e C. (all’ultimo dei quali sono subentrati, in corso di causa, gli eredi Mo.Ro., nonchè C.P. ed C.E.) ebbero a convenirlo in giudizio per ottenere la restituzione delle somme di cui sopra, assumendo di avergliele corrisposte poichè richieste dal medesimo quale ricompensa per ottenere, da una persona di sua conoscenza, un posto di lavoro per i rispettivi figli, posto, in realtà, mai conseguito;

– che nel costituirsi in giudizio il convenuto deduceva, innanzitutto, di essere stato contattato dagli attori di loro iniziativa e non di averli contattati, nonchè di essersi limitato a metterli in relazione con tale Ca.Co. (del quale chiedeva autorizzarsi la chiamata in causa), presentatogli da un proprio amico;

– che i predetti, pertanto, avrebbero interagito esclusivamente con il Ca., concordando con il medesimo l’importo da versargli e poi provvedendo al pagamento direttamente nei confronti dello stesso, senza che alcunchè risulti essere stato erogato ad esso M.L.;

– che la domanda di restituzione veniva accolta dall’adito Tribunale, la cui decisione era confermata in appello, essendo stato respinto il gravame all’uopo esperito dal convenuto soccombente;

– che avverso la decisione della Corte capitolina ricorre per cassazione il M., sulla base di tre motivi;

– che il primo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e omessa applicazione dell’art. 2035 c.c., sul rilievo che i due giudici di merito, sebbene abbiano entrambi ravvisato una nullità assoluta del contratto in forza del quale venne eseguito il pagamento, e ciò in ragione della illiceità della causa per contrarietà all’ordine pubblico, non ne avrebbero tratto, però, la corretta conseguenza, ovvero l’applicazione dell’art. 2035 c.c.;

– che il secondo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione di una norma processuale, oltre che vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale su un punto decisivo della controversia, lamentando, in particolare, la mancata escussione dei testi D.T.C. e L.L., sebbene l’odierno ricorrente avesse prospettato non solo di essere venuto in contatto con gli stessi soltanto nelle more della decisione di primo grado, ma anche l’indispensabilità della nuova prova, ex art. 345 c.p.c.;

– che il terzo motivo denunzia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – violazione e falsa applicazione di una prova processuale su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per aver palesemente errato nella valutazione delle prove, essendosi la Corte territoriale limitata a rilevare esclusivamente l’attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi indicati da parte attrice, “non conferendo invece il giusto significato a quelle rese dall’unico testimone veramente neutrale rispetto ai fatti ed alle persone di causa”, ovvero tale Z.A.;

– che hanno resistito all’impugnazione, con controricorso, M.A. e V.G., chiedendone la declaratoria d’inammissibilità – anche per difetto di specificità – e, comunque, il rigetto;

– che sono rimasti, invece, solo intimati gli eredi C.;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alla ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 16 luglio 2020;

– che sia il ricorrente che i controricorrenti hanno depositato memoria, insistendo nelle rispettive argomentazioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il collegio ritiene che la questione oggetto del primo motivo di ricorso, relativa alla possibilità di considerare la “promessa” di un posto di lavoro, in cambio di denaro, come contratto non solo a causa illecita, ma anche contrario al buon costume, meriti un approfondimento in pubblica udienza.

P.Q.M.

La Corte rinvia la causa in pubblica udienza.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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