Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25166 del 11/10/2018

Cassazione civile sez. III, 11/10/2018, (ud. 06/07/2018, dep. 11/10/2018), n.25166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12479-2016 proposto da:

S.G., e SI.IM., S.A.M.,

SO.AN., SO.GE. e S.F. quest’ultimi germani di

S.G., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE TUPINI 133,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO BRAGAGLIA, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIUSEPPE FAIELLA giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Dott. D.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA

84, presso lo studio dell’avvocato SIMONA FILIPPONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ERASMO AUGERI giusta procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

e contro

D’.MA., D.R.B., ST.OR., GENERALI ITALIA

ASS.NI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 693/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 03/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’infondatezza del 1 motivo;

inammissibilità del 2 motivo, accoglimento del 3-5, infondato 4

motivo;

udito l’Avvocato GIUSEPPE FAIELLA;

udito l’Avvocato SANDRO RICCOBELLI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ai sensi della L. n. 102 del 2006, art. 3 proposto davanti al Tribunale di Nocera Inferiore, G., I. e S.A.M. deducevano che in data (OMISSIS) si era verificato un incidente stradale nel quale S.G., terzo trasportato a bordo dell’auto Ford Fiesta di proprietà di d’.Ma., condotta da D.R.B., aveva subito gravi lesioni e che anche i familiari avevano subito danni non patrimoniali, determinati dalla necessità di assicurare costante assistenza al danneggiato e dallo stravolgimento delle regole del vivere quotidiano. Pertanto, chiedevano di dichiarare d’.Ma. e d.R.B. responsabili del sinistro e condannarli, in solido con la compagnia HDI Ass.ni S.p.A. al risarcimento dei danni anche in favore di I. e S.A.M., rispettivamente madre e sorella convivente di G., oltre al risarcimento del danno patrimoniale. Si costituiva d’.Ma. eccependo che la responsabilità avrebbe dovuto essere attribuita solo al conducente della Fiat Brava antagonista, di proprietà di St.An. che aveva violentemente tamponato la Ford Fiesta.

Si costituiva l’assicuratore sollevando eccezioni preliminari di nullità del ricorso, improponibilità della domanda e infondatezza nel merito, deducendo di avere già liquidato in favore di S. la somma di Euro 600.000 e in favore della madre e della sorella, rispettivamente, l’importo di Euro 20.000 e 10.000. Chiedeva e otteneva di chiamare in causa St.Or., proprietaria dell’autovettura Fiat Brava e Generali Ass.ni S.p.A., quale impresa designata per il fondo di garanzia vittime della strada poichè il veicolo era risultato privo di copertura assicurativa.

Nelle more intervenivano anche An., F. e So.Ge., germani di G. che chiedevano il risarcimento dei danni relativi al rapporto parentale.

Con sentenza resa all’udienza del 2 dicembre 2011 e depositata il 2 aprile 2014 il Tribunale dichiarava la esclusiva responsabilità di d’.Ma. che condannava unitamente a HDI Ass.ni S.p.A. al risarcimento dei danni riferiti al danno morale e biologico, alle spese mediche, al danno patrimoniale da ridotta capacità lavorativa e, in favore di I. e S.A.M. ed ai terzi intervenuti riconosceva, altresì il danno non patrimoniale riflesso.

Avverso tale decisione proponeva ricorso in data 2 aprile 2014 HDI Ass.ni richiedendo, altresì, la condanna di St. e di Generali Ass.ni S.p.A., nella qualità in atti, a rivalere l’assicuratore di ogni importo versato per effetto della sentenza di primo grado. Si costituivano le altre parti ad eccezione di St.Or. e d’.Ma..

Con sentenza del 5 novembre 2015 la Corte d’Appello di Salerno in accoglimento dei motivi relativi alla quantificazione dei danni rideterminava in applicazione delle tabelle di Milano del 2011 l’importo complessivo da liquidare a titolo di danno non patrimoniale, sottraendo le somme già versate dall’assicuratore e con devalutazione e rivalutazione degli importi. Escludeva la voce relativa al rimborso delle spese mediche e quella riguardante il danno patrimoniale da ridotta capacità reddituale, conteggiando l’incidenza sulla capacità lavorativa generica nell’incremento operato sulla voce del danno non patrimoniale, calcolato secondo le tabelle del Tribunale di Milano. Sulla base degli stessi parametri rideterminava il danno non patrimoniale in favore della madre e della sorella di S.G. ritenendo, in difetto di parametri di personalizzazione del danno, che fossero satisfattive le somme già corrisposte dall’assicuratore. Infine, rilevava che i tre germani, An., Ge. e S.F. non erano intervenuti ritualmente in primo grado, per assenza di un atto di costituzione. Infine, rideterminava l’importo delle spese di lite. Conseguentemente condannava gli appellanti al pagamento delle spese del giudizio di appello, compensate per 3/4.

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione G., I., A.M., An., Ge. e S.F. affidandosi a quattro motivi. Resiste in giudizio con controricorso la società HDI Ass.ni S.p.A.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo deducono la violazione degli artt. 1223,1226,2056 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere il giudice di appello negato a S.G. il risarcimento del danno patrimoniale futuro ovvero da ridotta capacità lavorativa o comunque da perdita di chance e insufficiente motivazione. Rilevano che in ipotesi di gravi lesioni ricorre sempre il danno patrimoniale. Inoltre la personalizzazione sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano non può applicarsi alla incapacità lavorativa generica poichè questa attiene alla “incapacità di lavoro”. Sotto altro profilo censura la decisione della Corte di far confluire la perdita di capacità lavorativa generica nell’ambito del danno non patrimoniale al fine di determinare una personalizzazione con aumento nella misura del 25%, poichè tale fattispecie riguarda solo le lesioni di lieve entità che non incidono sulla capacità lavorativa.

Il primo rilievo è inammissibile perchè non decisivo. I ricorrenti si dolgono di un’attività favorevole alla posizione di S.G., rappresentata dall’aumento del 25% della liquidazione del danno non patrimoniale. Sotto tale profilo non sussiste interesse a porre la questione. Tale interesse riguarderebbe, invece, la valutazione autonoma della menomazione dal punto di vista della riduzione della capacità lavorativa specifica. Questione affrontata separatamente dai ricorrenti.

In ogni caso la doglianza è infondata poichè la capacità lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito, ma all’attitudine o al modo di essere del soggetto e pertanto è risarcibile quale danno biologico e quindi danno non patrimoniale, riguardando il soggetto che non svolge attività produttiva di reddito o che è in procinto di svolgere tale attività (Cass. n. 2758-2015). Con ciò va confermata la correttezza della operazione liquidatoria eseguita dalla Corte territoriale di Salerno (pag. 18 della sentenza).

Sotto un secondo profilo evidenziano che l’esistenza di una riduzione della capacità lavorativa specifica trova conferma nella valutazione della Commissione medica per l’accertamento dell’invalidità civile, reperita successivamente alla decisione del giudice di appello, che avrebbe attribuito al S. una riduzione della capacità lavorativa nella misura del 75%.

La doglianza è inammissibile per difetto di autosufficienza, poichè si riferisce ad accertamenti che per ammissione degli stessi ricorrenti non fanno parte del materiale istruttorio. In ogni caso, si tratterebbe di questioni assolutamente irrilevanti poichè si riferiscono ad una valutazione in astratto riferita a parametri completamente diversi da quelli della responsabilità civile.

Aggiungono i ricorrenti che in considerazione delle gravi lesioni sarebbe certamente configurabile il danno sotto il profilo della perdita di chance che, al contrario non è stato preso in esame dalla Corte territoriale.

Il motivo è inammissibile per novità dello stesso, poichè i ricorrenti non hanno allegato di avere sottoposto la questione al giudice di appello. Poichè nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento a tale autonoma voce di danno i ricorrenti avrebbero dovuto individuare il momento processuale nel quale tale richiesta è stata formulata, la tempestività della stessa, documentando la ritualità della domanda.

Per il resto le censure sono inammissibili nella parte in cui si riferiscono alla insufficienza della motivazione, poichè tale profilo esula dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Va aggiunto che rispetto all’argomentazione centrale della Corte territoriale sull’assenza di prova dello svolgimento di attività lavorativa retribuita, i ricorrenti nulla deducono. Pertanto, appare corretta la decisione della Corte territoriale che richiama l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte che in difetto di concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico esclude tale voce di risarcimento (Cass. n. 14517-2015 e Cass. n. 5880-2016).

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di artt. 115 e 116 c.p.c. e artt. 1226,2056 e 2729 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice di appello ritenuto non rimborsabili le spese per le cure di assistenza dell’infortunato, comunque necessarie e consistenti. La doglianza riguarda il mancato rimborso delle spese riconosciute in primo grado, pari ad Euro 50.000. Si tratterebbe di spese ritenute congrue e risarcibili dal consulente di ufficio e che si riferiscono anche alla frattura dei denti, quale risulta dalla consulenza di parte. Pertanto, avrebbero dovuto essere rimborsate, come pure quelle relative ai ricoveri ed agli spostamenti presso i nosocomi da parte dei familiari.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienzsa ex art. 366 c.p.c., n. 6 poichè il riferimento alla congruità e alla esistenza di spese documentate che si assume contenuto nella consulenza d’ufficio è dedotto in maniera assolutamente generica, senza trascrizione della parte rilevante dell’elaborato e individuazione analitica dei singoli documenti di spesa. Per il resto, le spese di trasporto, ricovero, e di “peregrinare dei familiari in cliniche e ospedali” sono dedotte in maniera assolutamente generica e, in quanto tale, inidonea a contrastare la specifica motivazione della Corte salernitana che, nel rigettare la richiesta di rimborso delle spese sanitarie e mediche per mancanza di “specifica documentazione degli esborsi”, ha operato una verifica in fatto, non sindacabile in questa sede.

Con il terzo motivo la madre e la sorella convivente di S.G. lamentano la violazione di artt. 2056 e 2059 c.c. e la motivazione insufficiente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, circa l’abbattimento del danno non patrimoniale in favore dei prossimi congiunti liquidato dal primo giudice in base valori delle tabelle di Milano. A riguardo deducono che dalla documentazione in atti è emersa la prostrazione dei familiari nel constatare quanto devastante sia stato l’incidente e i relativi postumi. Circostanza aggravata dai continui spostamenti tra i vari ospedali e gli specialisti di varia natura consultati. La sofferenza interiore e lo sconvolgimento dell’esistenza possono presumersi, anche in considerazione della gravità delle lesioni.

Il motivo è inammissibile perchè dedotto in termini di insufficienza di motivazione ponendosi al di fuori del perimetro del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5. In ogni caso, anche con riferimento all’ipotesi prospettata di violazione di legge, i ricorrenti fanno riferimento a un coacervo di elementi esclusivamente dedotti, senza precisare che si tratta (anche) di elementi probatori allegati. La genericità della censura non consente di superare le puntuali valutazioni della Corte territoriale secondo cui non ricorrerebbe “alcuno specifico elemento di valutazione al fine di consentire una migliore personalizzazione dell’entità del danno da esse subito in quanto conviventi con S.G.”. Sulla base di tali elementi la Corte territoriale ha ritenuto congrue le somme già corrisposte ai familiari dall’assicuratore.

Per il resto la doglianza costituisce una inammissibile richiesta di rivalutazione del materiale probatorio che spetta esclusivamente al giudice di merito quale organo competente ad accertare la effettiva sussistenza e consistenza del pregiudizio allegato dagli attori. Sotto tale profilo va aggiunto che il ricorso è carente riguardo alla stessa allegazione dello sconvolgimento della propria esistenza quale situazione giuridica soggettiva posta a fondamento del motivo.

Con il quarto motivo F., Ge. e So.An. lamentano la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 156, 157, 161 e 268 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere il giudice di appello considerato tutte le emergenze processuali a proposito dell’intervento in primo grado degli odierni ricorrenti e l’omessa valutazione dell’assenza di istanze o eccezioni sul punto, in primo grado ed in secondo grado. Ricorrerebbe, come precisato in sede di discussione orale, una sorta di giudicato in ordine alla regolarità della costituzione delle parti.

Il motivo è manifestamente infondato poichè tende a dimostrare che la regolarità delle formalità di costituzione, introduzione del giudizio ed intervento sono rimesse alla disponibilità delle parti. Al contrario, nell’ipotesi di inesistenza dell’atto di intervento e di mancanza del mandato alle liti conferito dagli interventori le deduzioni che precedono appaiono inconferenti, difettando sia la procura alle liti, sia la comparsa di intervento. Conseguentemente, come correttamente osservato dal Procuratore generale in udienza, difettando il rapporto processuale, non trova applicazione la decisione di questa Corte richiamata da parte ricorrente (Cass. n. 7786/2002).

Con il quinto motivo S.G. deduce l’esistenza di un errore materiale nel calcolo del risarcimento “per la sperequazione che in tal modo avverrebbe col mancato calcolo degli interessi per i primi due anni circa sul suo intero ammontare (devalutato)” e ciò con specifico riferimento all’intervenuto pagamento da parte dell’assicuratore di parte delle somme riconosciute.

Il motivo è destituito di fondamento non ricorrendo l’ipotesi di errore materiale (come sostanzialmente viene dedotto). Piuttosto, si contestano i principi in tema di rivalutazione ed interessi riferiti al debito di valore da responsabilità extracontrattuale. Nel dispositivo della decisione impugnata si legge che “sulle somme sopra riconosciute (Euro 761.086,25, oltre a quanto già liquidato dal primo giudice per invalidità temporanea totale e parziale) siano detratti gli importi già liquidati da HDI Ass.ni (Euro 600.000 nell’anno 2008) e che sulla differenza, previa devalutazione sino alla data del sinistro (ottobre 2006), siano calcolati la rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi, secondo i criteri dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 1712 del 1995”.

In sostanza i ricorrenti lamentano che gli importi corrisposti nel 2008, pari ad Euro 600.000, per come è scritto il dispositivo, debbano essere sottratti già a ottobre 2006 e sulla somma residua vanno applicate la devalutazione e poi la rivalutazione e gli interessi. La Corte d’Appello non avrebbe considerato la fase intermedia in cui, da ottobre 2006 al 2008 (non viene indicata la data precisa) interessi e rivalutazioni dovrebbero essere applicati sull’importo complessivo.

Al caso in esame si applica il principio giurisprudenziale (ed in questi termini va eventualmente corretta e chiarita la motivazione della Corte territoriale) secondo cui in caso di versamento di acconti anteriormente alla liquidazione, il giudice deve tenerne conto, devalutando alla data dell’evento dannoso sia il credito risarcitorio rivalutato che l’acconto versato, e detraendo quest’ultimo dal primo, sulla differenza residua computando quindi gli interessi calcolati secondo i richiamati criteri (Sez. 3, Sentenza n. 3747 del 23/02/2005, Rv. 581700 – 01).

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza. infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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