Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25165 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. I, 07/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18437-2015 proposto da:

SO.CO.TEC. S.P.A. A SOCIO UNICO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA D’ARA COELI

1, presso lo STUDIO OSBORNE CLARKE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FEDERICO M. FERRARA, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO SO.CO.TEC. S.P.A. A SOCIO UNICO, in persona dei Curatori

dott. S.P. e dott.ssa F.L.M., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 2, presso l’avvocato

FRANCESCA CRIMI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO ALFONSO

TERENGHI, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

G.I. INDURSTRIAL HOLDING S.P.A., KSB ITALIA S.P.A., R.D.Z. S.P.A.,

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO,

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MONZA,

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2277/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato F.M. FERRARA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato M.A. TERENGHI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Su istanza del PM e di alcuni creditori, il Tribunale di Monza, in data 4 novembre 2014, previo decreto in pari data con il quale ha respinto la domanda di omologazione del concordato preventivo proposta da So.co.tec. SpA a socio unico, per la ricorrenza – L. Fall., ex art. 173 – di una causa ostativa costituita dalla commissione – prima della presentazione del deposito della domanda concordataria – di un atto in frode, scoperto nel 2013 a seguito dell’esposto del Collegio sindacale alla locale Procura della Repubblica, e precisamente nell’appropriazione indebita di fondi sociali per Euro 976.000,00 da parte del legale rappresentante della società (e di suo figlio), verificata l’insolvenza della stessa e la ricorrenza dei presupposti di legge, ne ha dichiarato il fallimento.

2. Investita del reclamo, la Corte d’appello di Milano l’ha respinto e ha regolato le spese.

2.1. La Corte territoriale, riepilogati gli snodi della procedura concordataria (dalla presentazione della domanda di preconcordato, il 27 novembre 2012, alla convocazione della società per chiarimenti, al deposito delle informative periodiche, alla proroga del termine per il deposito della proposta e del piano, fino all’udienza camerale) ha sottolineato che era mancata del tutto la menzione dell’ammanco non apparendo sufficiente la “traccia lasciata nell’inciso”, contenuto in un documento (n. 42), depositato solo il 25 febbraio 2013, nel quale si faceva menzione di un contratto di espromissione concluso dal legale rappresentante con il creditore Edilfriuli Cambielli “allo scopo di restituire alla società un eguale importo precedentemente prelevato senza titolo”.

2.2. Un tale dato, secondo la Corte territoriale, per la sua rilevanza contabile e patrimoniale avrebbe dovuto essere posto in chiara evidenza fin dall’esordio della procedura e non allegato solo dopo che, qualche giorno prima (precisamente il 15 febbraio 2016), il Collegio sindacale aveva denunciato l’ammanco alla locale Procura della Repubblica, trattandosi di un dato che non era neutro ma attinente a rilevanti interessi relativi, da un lato, al giudizio sull’affidabilità del debitore, e da un altro, al potenziale sovvertimento della par condicio creditorum (in relazione al contratto di espromissione concluso con un creditore, così anteposto agli altri chirografari).

2.3. Nè l’approvazione del concordato da parte del ceto creditorio poteva svolgere alcuna efficacia sanante dell’atto in frode (riferimento a Cass. n. 14552 del 2014), essendo irrilevante l’idoneità dell’atto fraudolento a trarre in inganno i debitori (che avevano approvato la proposta), essendo quel dato (indice di inaffidabilità del debitore) rilevabile, con pari poteri giudiziali, nelle tre fasi della procedura di concordato e, quindi, anche in sede di omologazione (riferimento a Cass. sez. unite n. 1521 del 2013 e a Cass. n. 98 del 2010).

3. Contro tale decisione la società Socotec ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, il primo articolato su tre profili di doglianza, illustrati con memoria.

4. La curatela fallimentare resiste con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo profilo del primo mezzo (Erronea qualificazione della condotta dell’A.u. quale atto di frode L. Fall., ex art. 173, non essendovi stata alcuna scoperta da parte dei commissari giudiziali), la ricorrente si duole della non corretta valutazione dei fatti accertati, in ordine ai quali difetterebbe la qualificazione di vero e proprio “atto in frode ai creditori”, ossia del fatto negativo della scoperta del prelievo indebito da parte dei commissari giudiziali, per averlo ammesso le parti nell’allegato, L. Fall., ex art. 162 (al n. 42), ossia un anno prima del deposito della relazione dei commissari (ai sensi della L. Fall., art. 173), e del fatto che l’amministratore unico vi aveva posto rimedio, nei limiti dei propri mezzi economici, con il contratto di espromissione (liberatorio per la società), fatto che non aveva comportato alcuna alterazione della par condicio creditorum.

1.2. Con il secondo profilo (Erronea qualificazione della condotta dell’A.u. quale atto di frode L. Fall., ex art. 173, non essendo finalizzata a trarre in inganno i creditori in vista dell’accesso al concordato e violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 173) la società si duole dell’erronea applicazione della L. Fall., art. 173 in quanto non ogni condotta appropriativa preesistente al ricorso di concordato costituirebbe atto in frode, legittimante la revoca o la non omologazione di esso, occorrendo la diretta attitudine ingannatoria sulle reali prospettive di soddisfacimento, specificamente perseguita dal debitore, finanche prescindendo dalla confessione del fatto.

1.3. Con il terzo profilo (Violazione della L. Fall., art. 173 e lesione dei diritti e degli interessi dei creditori concorsuali, anche in relazione L. Fall., artt. 175, 177, 178 e 179) la società lamenta che, essendo stata archiviata la procedura L. Fall., ex art. 173, in difetto di circostanze o fatti nuovi, ed anzi essendo intervenuto il voto favorevole dei creditori, mancava il potere di riesaminare la questione già decisa negativamente relativamente all’esistenza dei pretesi atti in frode.

1.3.1. Nè la revoca dell’ammissione alla procedura concordataria poteva aver luogo come una sorta di misura meramente sanzionatoria, atteso che la nuova disciplina del concordato preventivo avrebbe privilegiato il superamento della crisi d’impresa, attraverso il ricorso alla tutela del consenso informato, rispetto alla valutazione in termini etici della condotta del debitore, che rileverebbe solo in caso di scoperta da parte dei commissari giudiziali e dell’attitudine del fatto in termini ingannatori sulle prospettive di reale soddisfacimento dei creditori.

2. Con il secondo mezzo (Ingiustizia della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 180 anche in relazione alla L. Fall., art. 15 e art. 173, comma 2, e violazione di queste ultime due disposizioni), la ricorrente si duole, anzitutto, dell’avallo dato dalla Corte territoriale alla possibilità del riesame, compiuto nella fase di omologazione del concordato, delle questioni già decise dal Tribunale nella fase introduttiva del procedimento.

2.1. Lamenta perciò la violazione della L. Fall., art. 180, comma 3, e art. 179, comma 2: la prima disposizione escluderebbe la sovrapponibilità di un giudizio di merito del Tribunale alla volontà manifestata dai creditori sulla base del consenso informato; la seconda renderebbe impossibile, in mancanza di opposizioni, ogni intervento successivo del Tribunale in contrasto con la volontà espressa dai creditori concorsuali.

2.2. Nella specie non solo non sarebbero state proposte opposizioni all’omologazione ma neppure sarebbero sopravvenuti fatti o elementi nuovi capaci di mettere in discussione il concordato.

2.3. Infine, nell’ambito di un procedimento L. Fall., ex art. 173, il diritto di difesa del debitore non sarebbe garantito in misura equipollente a quella assicurata dalla L. Fall., art. 15, con l’apertura di un apposito procedimento, nelle forme di cui alla L. Fall., art. 15, ciò che sarebbe mancato nel caso di specie.

3. Va esaminato il primo profilo del primo mezzo di cassazione.

3.1. Secondo la ricorrente, vi sarebbe stata l’erronea affermazione dell’atto di frode da parte del Tribunale e, successivamente da parte della Corte territoriale, atteso che la distrazione di una ingente somma da parte dell’amministratore unico, era stata già esposta dalla società in un apposito allegato (n. 42) alla domanda di concordato e, quindi, il fatto non era stato affatto scoperto dal commissario giudiziale, ma comunicato dalla stessa società debitrice.

3.2. Invero, la Corte territoriale ha spiegato che, sebbene la procedura avesse avuto inizio in sede di preconcordato, fin dal 27 novembre 2012, e sebbene si fossero susseguiti adempimenti ed udienze per la precisazione della proposta concordataria e la conoscenza dei suoi termini e degli elementi sulla base dei quali essa era stata formulata, solo il 25 febbraio 2013, e cioè dopo che il collegio sindacale aveva segnalato (in data 15 febbraio 2013) l’atto in frode alla Procura della Repubblica, era stata data notizia dagli organi amministrativi anche al Tribunale fallimentare, attraverso una “minima menzione” del fatto e non con la dovuta formulazione “chiarissima ed esauriente”, come sarebbe stato necessario fin dall’esordio della procedura, dando il “giusto rilievo” alla questione.

3.2.1. La controricorrente, inoltre ha aggiunto, in sede di controricorso, ulteriori dettagli relativi al comportamento non lineare della debitrice che non hanno formato oggetto di accertamento in sede di reclamo.

3.3. Osserva la Corte, in conformità alla propria giurisprudenza che, “l’accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti, dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato, a norma della L. Fall., art. 173, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e, quindi, anche nell’ipotesi in cui questi ultimi siano stati resi edotti di quell’accertamento.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14552 del 2014).

3.4. Nella specie, la Corte territoriale ha espressamente motivato in ordine al fatto che l’ammanco di cassa sia stato scoperto proprio dal commissario giudiziale in quanto, da un lato, di esso non era stata data notizia fino a quando il fatto distrattivo non era stato denunciato alla locale Procura della Repubblica e, da un altro, la sua enunciazione non aveva avuto il giusto rilievo, essendo stato relegato solo in un allegato alla proposta di concordato.

3.5. La ricorrente contesta tale ragionamento, proponendo una rivalutazione del fatto che, oltre a porsi in contrasto con l’accertamento compiuto dal giudice di merito (e, perciò, ad esigere una lettura alternativa che è preclusa a questa Corte, specie alla luce del nuovo dettatto dell’art. 360 c.p.c., n. 5), appare anche contrario ai principi già affermati in materia di concordato preventivo e precisamente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9050 del 2014) alla regola secondo cui “Gli atti di frode, presupposto della revoca dell’ammissione al concordato preventivo ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 1, (…comprendono) oltre ai fatti “scoperti” perchè del tutto ignoti nella loro materialità, anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta di concordato e nei suoi allegati”, ciò che è puntualmente accaduto nel caso di specie, laddove la Corte territoriale ha ritenuto corretto il ragionamento giudiziale, svolto dal giudice di prime cure, atteso che i fatti, tardivamente scoperti, e solo a seguito di una segnalazione del collegio sindacale agli organi inquirenti, erano stati esposti in modo non adeguato e chiaro (al punto che la curatela sottolinea, ancor oggi senza contestazione, l’assenza di data certa nell’accordo di espromissione; la parziale copertura da parte dell’espromittente dell’ammanco, nella misura della sola metà di quello; la dazione di una ulteriore consistente somma da parte dell’amministratore allo scopo di ridurre il suo debito verso l’espromittente, ecc.).

3.6. In tal senso può dirsi che il comportamento della società debitrice, proponente il concordato, appare non conforme al principio di buona fede, quantomeno soggettiva, avendo dato luogo ad un comportamento capace di alterare la percezione dei fatti da parte dei creditori, con le conseguenti ricadute sulla validità del voto da costoro espresso.

4. Sulla base di tale ultimo chiarimento si comprendono anche le ragioni dell’infondatezza del secondo profilo del primo mezzo di cassazione, teso ad affermare la necessità della diretta attitudine ingannatoria sulle reali prospettive di soddisfacimento, specificamente perseguite dal debitore, finanche prescindendo dalla confessione del fatto materiale commesso.

4.1. Ma si è visto, appunto, che le modalità “non adeguatamente e compiutamente esposte in sede di proposta di concordato e nei suoi allegati”, in quanto espressione di un comportamento inaffidabile (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14552 del 2014) e lesivo del principio di buona fede soggettiva, sono di per sè “potenzialmente decettive, per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9050 del 2014).

5. Ne consegue, per l’importanza che tali rilevanti principi hanno nella procedura di concordato, che “il controllo della regolarità della procedura impone al tribunale la verifica della persistenza sino a quel momento delle stesse condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale, dell’assenza di atti o fatti di frode ed, infine, in caso di riscontro positivo di tali condizioni, del rispetto delle regole che impongono che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria sia stata improntata alla più consapevole ed adeguata informazione. Ne consegue che, a fronte di atti o di fatti rilevanti ai fini previsti dalla L. Fall., art. 173, il tribunale deve respingere la domanda di omologazione nonostante la mancata apertura del relativo procedimento.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10778 del 2014): anche il terzo ed ultimo profilo del primo mezzo ed il primo profilo del secondo (relativo alla possibilità del riesame, compiuto nella fase di omologazione del concordato, delle questioni già decise dal Tribunale nella fase introduttiva del procedimento) deve essere respinto, senza che occorra diffondersi ulteriormente sulla interpretazione della disposizione di legge richiamata.

6. Nè il secondo profilo del secondo mezzo di ricorso ha miglior sorte, atteso che – come si è già affermato – in sede di sub procedimento L. Fall., ex art. 173″ non è necessario che il decreto di convocazione delle parti, emesso dal tribunale ai fini dell’instaurazione del subprocedimento di revoca del concordato, rechi l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 4, atteso che, da un lato, il rinvio contenuto nella L. Fall., art. 173, comma 2 alla menzionata norma deve intendersi nei limiti della compatibilità e, dall’altro, in siffatta ipotesi, il contraddittorio tra creditore istante e debitore si è già instaurato ed il debitore è già a conoscenza che, in caso di convocazione L. Fall., ex art. 173, l’accertamento del tribunale e, correlativamente, l’ambito della sua difesa attengono ad una fattispecie più complessa di quella della sola revocabilità dell’ammissione al concordato, rappresentando la revoca uno dei presupposti per la dichiarazione di fallimento.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2130 del 2014).

7. In conclusione, il ricorso, del tutto infondato, deve essere respinto con la conseguente condanna della ricorrente – tenta anche al raddoppio del contributo unificato – al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali forfettaria ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione civile della Corte di cassazione, il 5 ottobre 2016, dai magistrati sopra indicati.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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