Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25164 del 24/10/2017

Cassazione civile, sez. VI, 24/10/2017, (ud. 26/09/2017, dep.24/10/2017),  n. 25164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – rel. Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21175-2015 proposto da:

A.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI

LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO BOEM;

– ricorrente-

contro

AS.FR.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 813/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 13/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/09/2017 dal Presidente Consigliere Dott. ANDREA

SCALDAFERRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio:

ritenuto che con sentenza n. 813 pubblicata il 13 giugno 2014 la Corte di appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da A.D. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Brescia aveva dichiarato cessati gli effetti civili del matrimonio da lei contratto con AS.FR., affidando a entrambi i genitori il figlio minore e ponendo a carico del padre il solo contributo al mantenimento del figlio;

che avverso tale pronuncia la signora A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, mentre l’ As. non ha svolto difese.

considerato che il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge censurando la sentenza impugnata per la falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 in tema di determinazione della sua capacità reddituale;

che il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge censurando la sentenza impugnata laddove avrebbe riconosciuto illegittimamente pieno valore confessorio alle dichiarazioni rese dalla ricorrente al c.t.u.;

che il terzo motivo lamenta violazione di legge censurando la sentenza impugnata per non avere riconosciuto alla ricorrente il diritto alla corresponsione di una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’ex marito.

ritenuto che il primo motivo è inammissibile atteso che, pur formalmente rubricato come violazione di legge, in realtà risulta criticare la motivazione della sentenza impugnata laddove ha valutato la capacità reddituale della ricorrente sulla base delle prove acquisite; che in tale contesto il tenore della censura viola i limiti di deducibilità del vizio di motivazione stabiliti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè non lamenta l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio e discusso tra le parti, ma si limita a contestare il giudizio sulle prove raccolte fatto dalla Corte territoriale, proponendone a questa Corte di legittimità un’inammissibile rivalutazione;

che il secondo motivo è inammissibile in quanto diretto a censurare una attribuzione di “pieno valore confessorio” alle dichiarazioni rese al consulente tecnico d’ufficio dalla odierna ricorrente, attribuzione che non risulta essere contenuta nella sentenza impugnata, nella quale la corte di merito si è piuttosto limitata a includere le suddette “dichiarazioni spontanee” nella complessiva valutazione delle rispettive situazioni reddituali delle parti esponendo peraltro a sostegno di tale statuizione una ratio (“la natura della causa consente di valorizzare ogni tipo di dichiarazione proveniente dalla parte, indipendentemente dal fatto che essa sia stata resa senza la presenza del difensore”) che non risulta minimamente esaminata nella illustrazione del motivo;

che il terzo motivo è assorbito, atteso che alla reiezione della domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile consegue di diritto (L. n. 898 del 1970, art. 12 bis) la non spettanza alla ricorrente della quota del TFR;

che pertanto la declaratoria di inammissibilità si impone, senza provvedere sulle spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva;

che non è dovuto il doppio contributo, essendo la ricorrente ammessa al gratuito patrocinio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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