Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25162 del 11/10/2018

Cassazione civile sez. III, 11/10/2018, (ud. 22/06/2018, dep. 11/10/2018), n.25162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3311-2017 proposto da:

F.LLI C. SRL in persona del legale rappresentante C.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BIANCA BARBIERI giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE VERUCCHIO, in persona del Sindaco in carica, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ULPIANO 29 SC. B/6, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO BROCHIERO MAGRONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANNA VALENTINI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 02/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1996 il Comune di Verucchio convenne dinanzi al Tribunale di Pesaro la società F.lli C. s.p.a. (che nel corso del giudizio si trasformerà in F.lli C. s.r.l., in tale veste partecipò al giudizio di appello, e nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza qui impugnata), esponendo che:

– la società convenuta gestiva uno stabilimento, sito nel territorio del Comune di (OMISSIS), ma in prossimità del confine col territorio del Comune di Verucchio;

-) in tale stabilimento venivano effettuate lavorazioni di disidratazione di erba medica e macerazione di foraggi;

-) lo stabilimento emetteva polveri nocive, odori sgradevoli e rumori intollerabili, in particolare avvertiti dalle famiglie residenti nelle sue vicinanze;

-) tali emissioni avevano arrecato un danno all’amministrazione comunale, indicato nella cifra di 1.000.000.000 di lire.

L’amministrazione comunale chiese la condanna della convenuta al risarcimento del danno suddetto.

2. La convenuta si costituì negando sia la propria responsabilità, sia in ogni caso l’esistenza del danno.

3. Con sentenza 30 gennaio 2008 n. 67 il Tribunale di Pesaro accolse la domanda.

Il Tribunale ritenne che le “emissioni chimiche, aeree e rumorose” provenienti dallo stabilimento della società convenuta avevano inquinato l’ambiente e il territorio, e stimò tale danno nella misura di 150.000 Euro.

La sentenza venne appellata dalla F.lli C. S.r.l..

3. Con sentenza 2 gennaio 2016 n. 1, la Corte d’appello di Ancona accolse parzialmente il gravame.

Ritenne la Corte d’appello che:

-) la valutazione complessiva, e non atomistica, delle prove e degli indizi raccolti nel corso del giudizio, dimostrava che lo stabilimento della società convenuta sin dal 1987 emetteva rumori eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge;

-) allo stesso modo l’istruttoria consentiva di ritenere dimostrata l’esistenza dell’emissione di polveri nocive;

-) le deposizioni testimoniali, reputate attendibili, dimostravano che lo stabilimento immetteva anche odori sgradevoli;

-) aveva nondimeno errato il Tribunale nel ritenere che l’amministrazione comunale avesse patito questi danni, permanenti, a decorrere dal 1988, e che da quel momento avesse diritto al risarcimento del danno. Osservò in contrario la Corte d’appello che al suddetto credito risarcitorio dovesse applicare il termine prescrizionale quinquennale, e che di conseguenza, essendo stata proposta la domanda nel 1996 e non constando atti interruttivi della prescrizione, tutti i danni patiti dal Comune prima del quinquennio antecedente la domanda (e quindi prima del 1991) non potessero essere risarciti, per prescrizione del relativo diritto di credito.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla F.lli C. S.r.l., con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso il Comune di Verucchio, il quale ha anch’esso depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo la società ricorrente lamenta (formalmente) il vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta, in particolare, che la sentenza impugnata abbia violato la L. 8 luglio 1986, n. 349, art. 18.

Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene sei differenti censure, che possono essere così riassunte:

(a) la Corte d’appello ha accordato al Comune di Verucchio il risarcimento del danno ambientale, senza considerare che tale danno è concepibile a fronte di un nocumento arrecato a vaste porzioni del territorio comunale e a un numero cospicuo ed apprezzabile di persone, mentre nel caso di specie tutto quel che era emerso dall’istruttoria era che le lamentele provenivano dagli occupanti di due sole abitazioni, più prossime allo stabilimento della società convenuta;

(b) la Corte d’appello aveva accolto la domanda senza alcuna seria ed analitica indagine tecnica sulla natura e sull’entità delle emissioni nocive; per di più il consulente tecnico d’ufficio nominato nel corso del giudizio aveva eseguito la misurazione delle emissioni di polveri non “all’arrivo”, cioè nel territorio comunale, ma “al camino” dello stabilimento;

(c) la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto dimostrata l’esistenza dell’inquinamento, limitandosi a valutare come fonti di prova delle mere petizioni popolari e due ordinanze sindacali risalenti a 20 anni prima, “che nulla di specifico contenevano”;

(d) la Corte d’appello ha liquidato il danno patito dal Comune supponendo esistente un inquinamento o comunque immissioni intollerabili continuative dal 1991 al 2008. Tuttavia le prove documentali e testimoniali sulle quali la Corte d’appello ha fondato la propria valutazione non erano più recenti del 2002, e dunque, seppure consentivano di ritenere esistente un inquinamento prima di tale data, non consentivano di ritenere dimostrato che anche successivamente l’inquinamento fosse continuato, tanto più che le misurazioni dell’inquinamento acustico effettuato in corso di causa dal c.t.u. non avevano evidenziato violazioni dei limiti di legge applicabile ratione temporis;

(e) la Corte d’appello aveva ritenuto sussistente anche l’inquinamento da esalazioni graveolenti, senza accertare se ad esse fossero anche associati rischi di tipo tossicologico;

(f) la Corte d’appello, infine, non aveva accertato la sussistenza dell’elemento della colpa.

1.2. Tutte le censure che precedono sono inammissibili.

1.3. Le censure riassunte al p. 1.1, lettere (a), (b), (c), (e) ed (f), sono inammissibili perchè censurano altrettanti accertamenti di fatto riservati al giudice di merito.

Lo stabilire, infatti, quale fosse la diffusività di un fenomeno molesto; se le prove di esso fossero attendibili od inattendibili, sufficienti od insufficienti; con quali criteri andasse correttamente eseguito un rilievo tecnico, non sono valutazioni di diritto, ma accertamenti di fatto, ed il modo in cui sono stati apprezzati dal giudice di merito non è sindacabile in questa sede, come questa Corte viene ripetendo da molto tempo (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

1.4. La censura contenuta nel primo motivo di ricorso, e riassunta al p. 1.1 della presente sentenza, lettera (d), è inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., nn. 3 e 6.

Dalla sentenza impugnata, infatti, non risulta che la questione della durata dei fenomeni inquinanti sia stata prospettata e discussa in appello.

Sarebbe stato, pertanto, onere della ricorrente, previsto dalla norma appena indicata a pena di inammissibilità dell’impugnazione, indicare nel ricorso in quali termini e con quale atto dedusse in appello la questione della durata del periodo per il quale si protrassero i fenomeni dannosi.

In ogni caso non sarà superfluo rilevare che, nei sei motivi dell’appello proposto dalla F.lli C. s.r.l. nel 2008, e nelle 51 pagine in cui l’atto si diffonde, vanamente si cercherebbe la chiara prospettazione della suddetta questione.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, formalmente richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 112,115 e 196 c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta, formulata dall’odierna ricorrente in grado di appello, di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio. Deduce che a sostegno di quella richiesta aveva denunciato l’esistenza di gravi errori ed omissioni nella relazione di consulenza, ed in particolare l’impossibilità di adottare gli accorgimenti tecnici imposti dal Tribunale, se non mettendo a rischio l’incolumità dei lavoratori; che dopo il deposito della consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado (nell’anno 2001) erano state apportate modifiche agli impianti ed al ciclo produttivo, e che comunque lo stabilimento era stato interamente ricostruito nel 2012, in seguito ad un crollo causato dagli eventi atmosferici.

Soggiunge di avere sostenuto l’esistenza di tali fatti sopravvenuti depositando ampia documentazione, che non venne in alcun modo presa in esame dalla Corte d’appello.

Conclude pertanto la ricorrente sostenendo che “la situazione verificata dalla c.t.u. nel corso del giudizio di primo grado non (era) più la stessa che aveva determinato l’opportunità dell’adozione degli accorgimenti tecnici indicati nella sentenza” del Tribunale, e che la Corte d’appello non avrebbe pertanto potuto decidere la controversia senza tenere conto di questi fatti sopravvenuti.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Ed infatti:

(a) se si qualificasse il motivo in esame come denuncia del vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., esso sarebbe inammissibile, perchè “il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie (come quella di ammissione di una c.t.u., cui è assimilabile la richiesta di esame autoptico) per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione. (Sez. L, Sentenza n. 6715 del 18/03/2013, Rv. 625610 – 01; nello stesso senso, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13716 del 05/07/2016, Rv. 640358 – 01);

(b) se si qualificasse il motivo come prospettazione della violazione dell’art. 196 c.p.c., esso sarebbe inammissibile perchè la scelta di rinnovare o no una consulenza tecnica di ufficio è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità;

(c) se, infine, si volesse qualificare il motivo come denuncia dell’omesso esame d’un fatto decisivo, esso sarebbe infondato.

La ricorrente lamenta infatti che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto:

1) d’una perizia di parte depositata nel 2011;

2) della pericolosità degli adeguamenti imposti dal Tribunale;

3) del crollo e della ricostruzione dello stabilimento, avvenuti nel 2012.

Ma:

-) l’omesso esame d’una perizia di parte non è omesso esame d’un fatto decisivo, noto essendo che il giudice non è tenuto a prendere in esame una per una ed a dar conto di tutte le deduzioni difensive delle parti (ex multis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 12123 del 17/05/2013; Sez. 1, Sentenza n. 8767 del 15/04/2011, Rv. 617976 – 01; Sez. L, Sentenza n. 5748 del 25/05/1995; Sez. 2, Sentenza n. 683 del 06/02/1982; e così via risalendo fino a Sez. 3, Sentenza n. 734 del 17/04/1962, Rv. 251161 – 01, nella quale già si stabilì con limpida prosa che il giudice non e tenuto a svolgere i motivi del suo convincimento con una confutazione analitica delle singole prove, ma è sufficiente che esprima “in forma sobria e sintetica i risultati del suo apprezzamento sul complesso degli elementi di prova acquisiti al processo”, la cui valutazione in concreto rientra nel suo potere di prudente apprezzamento delle prove, e non può essere sindacata in Cassazione, nemmeno sotto il profilo di travisamento del fatto, “quando la motivazione sia immune da vizi logici e giuridici e non sia travagliata da omesso esame di fatti decisivi”);

-) stabilire se la condanna ad un facere sia o non sia fonte di pericolo per l’obbligato è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito;

-) il giudice di merito ha condannato la F.lli C. per i danni causati dal 1991 al 2008, e non per i fatti successivi: di conseguenza la circostanza che nel 2012 lo stabilimento sia crollato e sia stato ricostruito con più efficienti misure di contenimento delle emissioni è irrilevante ai fini del decidere.

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna F.lli C. s.r.l. alla rifusione in favore di Comune di Verucchio delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di F.lli C. s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 22 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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