Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25162 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3594/2019 proposto da:

B.C., F.V., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA ADRIANA 11, presso lo studio dell’avvocato UGO GIURATO,

che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI DARDANELLI 46, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO SPINELLA, rappresentati e difesi

dall’avvocato EDOARDO FERLITO;

– controricorrente –

A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour,

presso la CORTE DI CASSAZIONE e rappresentata e difesa dall’avv.

IGNAZIO DE MAURO;

– controricorrente –

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONAFALE 5637,

presso lo studio dell’avv. GIANCARLO ASCANIO, e rappresentato e

difeso dall’avv. EDOARDO FELICE LAMICELA;

– controricorrente –

AXA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, alla VIA

CLAUDIO MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avv. Prof. CLAUDIO

CONSOLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA (già MILANO ASSICURAZIONI SPA),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO N. 1/A, presso lo

studio dell’avv. MARCO ANNECCHINO, e rappresentato e difeso

dall’avv. SANTO SPAGNOLO;

– controricorrente

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA (già FONDIARIA-SAI ASSICURAZIONI SPA),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO N. 1/A presso lo

studio dell’avv. MARCO ANNECCHINO e rappresentato e difeso dall’avv.

CONCETTA VALERIA PATERMO;

– controricorrente –

e contro

L.S., P.D., FONDIARIA-SAI SPA,

PO.TE.RO., MILANO ASSICURAZIONI SPA, C.A., A.C.,

AXA ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2431/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

B.C. e F.V. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Catania l’Azienda Ospedaliera Universitaria (OMISSIS), A.C., L.S., Po.Te.Ro., P.D. e C.A. chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 2.200.000,00 in favore del B. e di Euro 275.000,00 in favore della F., madre del B., per l’alterazione in peius allo stato di salute del primo a seguito di intervento chirurgico, il quale, anzichè esplorativo, senza il consenso del paziente era divenuto demolitorio, con l’asportazione di milza, pancreas, e colecisti per la presenza di un carcinoma solido pseudo papillare alla testa del pancreas. I convenuti chiamarono in garanzia le società assicuratrici. Previa CTU, il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori. Con sentenza di data 19 novembre 2018 la Corte d’appello di Catania, dopo avere disposto nuova CTU, rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale in base alla CTU, cui intendeva aderire per linearità di argomentazioni, che in sede di corretto intervento di laparotomia esplorativa per rimuovere la patologia, che sulla base della diagnosi pre-operatoria appariva con probabilità da ricondurre ad una cisti di echinococco, era stata individuata una lesione con macroscopiche caratteristiche di malignità in corrispondenza della testa del pancreas e che, disposta correttamente biopsia in estemporanea su tessuto prelevato, alla conferma di presenza di neoplasia correttamente si era intrapresa la rimozione radicale della patologia (gravata da alto tasso di mortalità e recidività). Aggiunse che data la dimensione della massa, era estremamente indaginoso, se non impossibile, procedere ad un intervento di pancresectomia parziale, sicchè corretta era stata l’asportazione in blocco di pancreas e milza (mentre non condivisibile era l’ipotesi prospettata dagli attori di rinvio dell’eventuale scelta chirurgica, avendo i sanitari gli elementi per accertare la malignità ed aggressività della patologia in questione) e che le corrette decisioni assunte in sala operatoria dai sanitari avevano consentito al paziente di tenere sotto controllo una malattia con indici di mortalità elevatissima. Osservò ancora, quanto al consenso informato, premesso che l’intervento era di estrema urgenza e non poteva essere sospeso in attesa delle risultanze della biopsia definitiva, che, benchè dagli appellati era stato prodotto esclusivamente un modulo in bianco recante la firma del B., questi non aveva minimamente allegato e provato che, in presenza di completa ed esaustiva informazione sui rischi potenziali dell’intervento chirurgico di asportazione, avrebbe rifiutato l’intervento.

Hanno proposto ricorso per cassazione B.C. e F.V. sulla base di due motivi e resistono con distinti controricorsi l’Azienda Ospedaliera Universitaria (OMISSIS), A.C., P.D., AXA Assicurazioni s.p.a., UnipolSai Assicurazioni s.p.a. già Milano Assicurazioni s.p.a. e UnipolSai Assicurazioni s.p.a. già Fondiaria – SAI Assicurazioni. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 62,115,116 e 156 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti, premesso che il giudice di appello aveva acriticamente recepito la CTU, che all’udienza immediatamente successiva al deposito della CTU era stato richiesto termine per adeguatamente contestare le risultanze della consulenza, “contestando, comunque, fin da ora come i consulenti non si siano attenuti al mandato loro assegnato” e che, in violazione del mandato, i consulenti avevano svolto accertamenti in relazione alla fase pre-operatoria, da cui la nullità della consulenza. Aggiungono che la CTU ed il giudice di appello non hanno esaminato i rilievi del consulente di parte, trascritti nel primo motivo di appello, con riferimento all’errata diagnosi formulata di cisti epatica da echinococco prima dell’intervento ed alla necessità di un approfondimento diagnostico preoperatorio mancato (vi era stata incompletezza delle indagini cliniche e strumentali e mancata acquisizione degli esami preoperatori), sicchè ricorre un vizio di motivazione. Osservano ancora che la CTU è nulla per avere utilizzato un documento (esame istologico estemporaneo) inesistente e comunque mai prodotto.

Il motivo è infondato. I ricorrenti lamentano in primo luogo la nullità della CTU per eccesso di mandato. In disparte la circostanza della genericità dell’eccezione che sarebbe stata sollevata all’esito del deposito della CTU (la parte ha eccepito la violazione del mandato, senza indicarne le ragioni), nel caso di specie l’eccesso di mandato sarebbe configurabile, per la parte ricorrente, per l’estensione delle indagini tecniche alla fase preoperatoria. Sul punto va detto che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purchè idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo: in particolare, il giudice del merito può trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d’ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata disposta (Cass. n. 5965 del 2004; n. 14272 del 1999). E’ di tutta evidenza la non sostanziale estraneità all’oggetto dell’indagine conferita dal giudice la parte di consulenza che, secondo i ricorrenti, sarebbe attinta da eccesso di mandato.

La denuncia di assenza di motivazione è priva di specificità, perchè la censura ha ad oggetto la mancata valutazione da parte del giudice di appello non dei rilievi del consulente di parte alla CTU disposta in appello (rilievi che si ignora se siano stati sollevati), ma dei rilievi contenuti nell’atto di appello evidentemente alla CTU di primo grado, da ritenersi superata, alla stregua della motivazione della sentenza impugnata, dalla nuova consulenza e dalla decisione di appello. La corte territoriale ha recepito “per linearità di argomentazioni” la CTU disposta in appello, mentre le considerazioni del consulente di parte esposte nell’atto di appello costituiscono, soprattutto in quanto antecedenti la CTU recepita, meri argomenti difensivi da ritenersi implicitamente disattesi.

Ove si ritenga che sia stato denunciato il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va rammentato che nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; 27 settembre 2016, n. 19001; 22 dicembre 2016, n. 26774). Trattasi di onere processuale non assolto.

Quanto alla eccezione di nullità della CTU per essere basata su documento non prodotto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, i ricorrenti non hanno specificatamente indicato se tale nullità sia stata tempestivamente sollevata nella prima difesa successiva al deposito della CTU.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729,1223,2055,1218 e 1337 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti, con riferimento al consenso informato, che il giudice territoriale ha omesso di prendere in esame una pluralità di indizi da cui inferire che il paziente, ove esaustivamente informato sui rischi potenziali dell’intervento, avrebbe rifiutato di sottoporvisi, ed in particolare: la domanda giudiziale basata sulla circostanza che l’intervento di asportazione di cisti epatica era stato programmato sulla base di un errore diagnostico; il consulente di parte aveva evidenziato che non erano stati effettuati adeguati approfondimenti diagnostici; prima dell’introduzione del giudizio il B. aveva inviato ai convenuti una missiva nella quale affermava che il paziente, se correttamente informato, sarebbe stato posto nella possibilità di scegliere una struttura chirurgica specialistica adeguata; l’interrogatorio reso dall’altra attrice. Aggiungono che la domanda risarcitoria era conseguente alla carenza di consenso informato non in relazione ad un intervento per rimuovere una malattia correttamente informata, ma in relazione ad un intervento proposto sulla base di un’errata diagnosi. Osservano inoltre che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che il B. non avesse patito danni per la lesione del diritto di autodeterminazione.

Il motivo è infondato. In relazione alla denuncia di violazione delle norme sulla prova presuntiva, la censura non pone una questione di vizio di sussunzione, nel senso della mancata qualificazione in termini di indici presuntivi di circostanze dotate dei requisiti di precisione, gravità e concordanza, ma pone una questione eminentemente di valutazione della prova, inerente quindi al giudizio di fatto riservato alla competenza del giudice di merito e non sindacabile in quanto tale nella presente sede di legittimità. In relazione alla denuncia di vizio motivazionale vale quanto osservato a proposito del precedente motivo.

Quanto alla questione della violazione del diritto di autodeterminazione, anche in questo caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il paziente deve allegare e provare il rifiuto che sarebbe stato opposto all’intervento ove vi fosse stata adeguata informazione. Le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico (Cass. 11 novembre 2019, n. 28985).

Permangono per il giudizio di cassazione le ragioni della compensazione delle spese disposta in entrambi i gradi di merito.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e dispone la compensazione delle spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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