Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25161 del 28/11/2011

Cassazione civile sez. I, 28/11/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 28/11/2011), n.25161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CE.DO. DI CERESOLI CLAUDIO s.n.c. (c.f. (OMISSIS)), in persona

dell’amministratore sig. C.C., rappresentata e difesa,

giusta procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti CIOCCA

Luigi e Paolo Panariti ed elett.te dom.ta presso lo studio del

secondo in Roma, Via Celimontana n. 38;

– ricorrente –

contro

FBM HUDSON ITALIANA s.p.a. (c.f. (OMISSIS)), in amministrazione

straordinaria, in persona dei commissari avv. C.P., Dott.

F.G. e Dott.ssa M.L.M.C. in

T., rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dagli avv.ti prof. POLI Stefano e Pietro Sciubba

ed elett.te dom.ta presso lo studio del secondo in Roma, Via Riccardo

Grazioli Lante n. 76;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1200/2007,

depositata il 12 novembre 2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4

ottobre 2011 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;

udito per la controricorrente l’avv. Pietro SCIUBBA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte: d’appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento della domanda di revoca di pagamenti per complessivi Euro 224.102,90 proposta, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, dalla F.B.M. Hudson Italiana s.p.a. (di seguito semplicemente Hudson) in amministrazione straordinaria nei confronti della Ce.Do. di Ceresoli Claudio s.n.c. (di seguito Ce.Do.).

La Corte ha ritenuto, in particolare, che le risultanze del carteggio intercorso fra le parti – ossia i plurimi insoluti della debitrice, la continua ricontrattazione del credito, le reiterate richieste di pagamento con minaccia di blocco delle forniture e/o restituzione di merce, nonchè la pretesa d: garanzie per gli insoluti già verificatisi – dimostrino “senza dubbio” che all’epoca in cui ricevette i pagamenti, eseguiti a partire dal 31 luglio 1994, la società creditrice era consapevole dello stato di insolvenza in cui versava la debitrice. In tale contesto – ha osservato – non ha valore in contrario la qualifica di “piccolissima” società artigiana rivendicata dalla creditrice; nè la dedotta continuazione dei rapporti commerciali fra le parti – elemento equivoco attribuibile anche al tentativo di ottenere per tal via il pagamento del dovuto – o il mancato esperimento di procedure esecutive o giudiziarie in genere.

Secondo la Corte, inoltre, gli elementi di cui sopra, già sufficienti ad integrare la prova della scientia decoctionis, trovavano conferma negli ulteriori segnali, emergenti da gravi notizie di stampa, relativi all’insolvenza del gruppo societario “Fochi”, del quale faceva parte la Hudson e le cui vicende: non potevano certamente sfuggire alla Ce.Do., esposta per importi non trascurabili che mettevano a repentaglio la sua stessa attività economica.

A proposito, infine, della consapevoLezza, da parte della creditrice, dell’appartenenza della debitrice a quel gruppo societario, era tardiva – essendo stata sollevata soltanto nella comparsa conclusionale in grado di appello – l’eccezione di difetto di prova che il logo del gruppo comparisse nella carta intestata della Hudson utilizzata nelle comunicazioni con la Ce.Do..

Quest’ultima ha quindi proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di censura. L’amministrazione straordinaria ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione della L. Fall., art. 67, degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 133, 184 e 345 c.p.c..

In primo luogo la ricorrente rimette a questa Corte la valutazione di gravità, precisione e concordanza degli indizi posti dai giudici di secondo grado a base dell’accertamento della scientia decoctionis in capo alla ricorrente stessa, sostenendo ovviamente l’insussitenza dei predetti caratteri.

In secondo luogo, lamenta che la Corte d’appello abbia tenuto conto di una circostanza – la spedizione di missive alla Ce.Do., da parte della Hudson, su carta intestata recante la dicitura “Gruppo Fochi”, rivela-trice della conoscenza, da parte della destinataria, dell’appartenenza della mittente a quel dissestato gruppo societario – dedotta in giudizio dall’attrice oltre i termini perentori di cui all’art. 183 c.p.c., e che comunque la conoscenza dell’appartenenza della Hudson a quel gruppo, da parte della creditrice, era del tutto sfornita di prova.

1. – Nessuna delle riferite censure può essere accolta.

La prima muove dal presupposto che la valutazione della gravità, precisione e concordanza degli indizi possa essere direttamente rimessa alla Corte di cassazione sotto forma di denuncia di falsa applicazione di norma di diritto (l’art. 2729 c.c., comma 1), ossia di errata sussunzione dei fatti sotto la norma.

Tale tesi, però, per quanto trovi avallo in qualche precedente di legittimità (cfr. Cass, 17457/2007 e 17535/2008), non può essere condivisa, perchè implica una sostanziale apertura al rinnovo del giudizio di fatto in sede di legittimità. Va invece ribadito il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito sulla ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzioni è incensurabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr., tra le molte, Cass. 17596/2003, 3983/2003, 3221/2004 1667/2004, 10135/2005, 20085/2008, 3394/2011).

La seconda censura è inammissibile perchè riguarda un passaggio non decisivo del ragionamento del giudice di appello, il quale ha fatto riferimento alla notorietà del dissesto del gruppo societario di appartenenza della Hudson solo ad abundantiam, ossia a conferma di una conclusione – la scientia decoctionis in capo alla creditrice – che espressamente ha chiarito doversi trarre con certezza già dalla considerazione dei soli rapporti intercorsi fra le parti.

2. – Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello:

– non abbia o abbia insufficientemente considerato le seguenti circostanze rivelatrici della inscientia decoctionis:

a) i mezzi del tutto normali con cui erano stati eseguiti i pagamenti oggetto di revoca;

b) gli affidamenti provenienti da soggetti professionalmente qualificati come il factor della società ricorrente – che del resto era una piccola impresa artigiana – il quale aveva accettato in cessione crediti verso la Hudson;

– abbia attribuito un significato indicativo della scientia decoctionis, del tutto fuori del senso comune o del tutto inconciliabile con il loro contenuto effettivo, ad altri fatti, e cioè;

c) la prosecuzione dei rapporti commerciali fra le parti e l’omissione di iniziative giudiziali o esecutive, incongruamente considerate quali mezzi finalizzati all’ottenimento del saldo dei crediti pregressi;

– abbia attribuito un significato contraddittorio e illogico ad altri fatti ancora, quali:

d) le notizie di stampa, che si è affermato non sarebbero potute sfuggire alla creditrice attesa l’entità del suo credito, tale da porre in pericolo la sua stessa sopravvivenza.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Le circostanze sub a) e b), infatti, non sono decisive; le inferenze tratte dai giudici di appello dalle circostanze sub c) non possono definirsi prive di probabilità; le circostanze sub d) attengono a un passaggio non decisivo del ragionamento dei giudici, come si è già rilevato sopra a proposito delle seconda censura del primo motivo di ricorso.

3. – Il ricorso va in conclusione respinto. Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 5.200,00, di cui 5.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011

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