Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2516 del 02/02/2011

Cassazione civile sez. II, 02/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 02/02/2011), n.2516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.P., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Gobbi Vittorio, per legge

domiciliato nella cancelleria civile della Corte di cassazione,

piazza Cavour, Roma;

– ricorrente –

contro

PREFETTO DI CUNEO;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Torino n. 8117 in data 10

dicembre 2008.

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 6 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:

“Il Giudice di pace di Alba ha respinto l’opposizione proposta da P.P. avverso l’ordinanza con la quale il Prefetto di Cuneo gli aveva ingiunto il pagamento di una somma di danaro, con decurtazione dei punti di patente, per violazione del codice della strada (eccesso di velocità) accertato dalla Polizia stradale. Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 8117 depositata in data 10 dicembre 2008, ha rigettato l’appello del P., condannandolo al pagamento delle spese processuali.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 25 gennaio 2010, sulla base di quattro motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è inammissibile perchè nessuno dei quattro motivi in cui si articola si conclude con la formulazione del quesito di diritto o – là dove viene prospettato il vizio di motivazione – del quesito di sintesi, l’uno e l’altro prescritti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Considerato che, preliminarmente, va dichiarata irricevibile, per tardività, la memoria depositata dal P., essendo questa pervenuta a mezzo posta in cancelleria soltanto il 13 dicembre 2010, dopo la scadenza del termine di cinque giorni prima della camera di consiglio, previsto dall’art. 380-bis cod. proc. civ.;

che non rileva che il plico contenente la detta memoria sia stato spedito dal difensore del ricorrente prima della scadenza del termine, giacchè l’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito della memoria, perchè il deposito di quest’ultima è esclusivamente diretto ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo – rispetto alla udienza di discussione o alla adunanza in camera di consiglio – ritenuto necessario dal legislatore (da ultimo, Cass., Sez. 5, 4 agosto 2006, n. 17726);

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;

che questa Corte regolatrice, infatti – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie i motivi di ricorso, formulati ex art. 360 c.p.c., n. 5, sono totalmente privi di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione dei motivi;

che, d’altra parte, non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che, invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5 in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima Legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3, 24 marzo 2010, n. 7119);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l’intimata Amministrazione svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2011

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