Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25159 del 11/10/2018

Cassazione civile sez. III, 11/10/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 11/10/2018), n.25159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26214-2016 proposto da:

CREDIFARMA SPA quale mandataria dei Dottori A.P., +

ALTRI OMESSI nelle rispettive qualità di titolari delle omonime

farmacie, nella persona dell’Amministratore Delegato nonchè legale

rappresentante pro tempore Dott. AL.MA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PAOLA FALCONIERI, 100, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA FIECCHI, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIUSEPPE MACCIOTTA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE ROMA (OMISSIS) in persona del suo

legale rappresentante pro tempore, il Direttore Generale Dott.ssa

D.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO MEDA 35,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA TANDOI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BARBARA BENTIVOGLIO,

GABRIELLA MAZZOLI giusta procura speciale in calce al ricorso

notificato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2045/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI CORRADO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con ricorso notificato in data 31/10/2016, CREDIFARMA S.p.A. chiede alla Corte di cassazione di annullare la sentenza numero 2045-2016 emessa dalla Corte d’appello di Roma, pubblicata il 30/3/2016, con la quale, in rigetto dell’appello della sentenza di primo grado, è stata affermata la carenza di legittimazione passiva della Azienda Sanitaria Locale Roma (OMISSIS) per i crediti vantati dai farmacisti di cui CREDIFARMA risulta procuratrice. L’ente intimato si difende con controricorso notificato il 9/12/2016. Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con un’ unica censura il ricorrente denuncia la violazione della L.R. 23 settembre 1991, n. 53, art. 1 nonchè del D.Lgs. n. 324 del 1993, art. 1, comma 10 convertito in L. n. 423 del 1993, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sull’assunto che l’ente preposto al pagamento dei debiti maturati dall’amministrazione nei confronti dei farmacisti convenzionati debba intendersi l’azienda sanitaria, convenuta in giudizio, e non la Regione, la quale ha un ruolo di ente finanziatore.

1.1. In merito, si rileva che la sentenza impugnata risulta essersi adeguata al principio da tempo enunciato da questa Corte (Cass. n. 18448/07 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13333 del 30/06/2015), secondo cui il D.L. 27 agosto 1993, n. 324, art. 1, comma 10, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 27 ottobre 1993, n. 423 (a norma del quale “nei rapporti con le farmacie, con i medici specialisti convenzionati e con le strutture private convenzionate, in caso di mancato pagamento delle relative spettanze, si deve considerare debitore inadempiente, e soggetto passivo di azione di pignoramento per le obbligazioni sorte successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l’ente incaricato del pagamento del corrispettivo, anzichè l’unità sanitaria locale territorialmente competente”), si applica non solo per le prestazioni autorizzate dall’U.S.S.L. nel regime anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ma anche successivamente, con riferimento alle prestazioni sanitarie autorizzate dalle unità sanitarie locali che si sono costituite in aziende sanitarie locali. Le pronunce citate si sono trovate a decidere se il D.L. 27 agosto 1993, n. 324, art. 1, comma 10, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 27 ottobre 1993, n. 423, si applichi solo per le prestazioni autorizzate dall’U.S.S.L. nel regime anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (come ritiene la ricorrente), ovvero anche successivamente, con riferimento alle prestazioni sanitarie autorizzate dalle unità sanitarie locali che si sono costituite in aziende sanitarie locali (come ha stabilito la sentenza impugnata).

1.2. Nell’optare per la seconda soluzione le sentenze citate hanno spiegato che l’interpretazione restrittiva comporterebbe che la norma sarebbe destinata a trovare applicazione per un periodo limitato di tempo, compreso tra la data di entrata in vigore della legge di conversione (11 novembre 1993) e il 31 dicembre dello stesso anno, essendo previsto che con il giorno 1 gennaio 1994 le vecchie unità socio sanitarie locali sarebbero definitivamente cessate, con la costituzione delle nuove aziende sanitarie locali. Nulla, nel testo della norma, emanata ben dopo l’emanazione della riforma attuata con il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e in prossimità della sua piena entrata in vigore, giustifica un tale assunto. In essa non v’è alcuna indicazione di limiti temporali (presenti, invece, in altre disposizioni del medesimo decreto), e neppure il contenuto positivo della norma postula tali limitazioni.

1.3. La designazione, quale soggetto legittimato passivamente all’obbligazione, de “l’ente incaricato del pagamento del corrispettivo” svincola la norma dalla terminologia della L. 23 dicembre 1978, n. 502, e la rende perfettamente compatibile con il nuovo regime introdotto con la riforma del 1992; inoltre, il riferimento alla “unità sanitaria locale territorialmente competente” non implica, neppure sul piano terminologico, alcun riferimento esclusivo alla “unità socio sanitaria locale”, destinata ad essere sostituita dal nuovo ente previsto dalla riforma, giacchè, anzi, il riferimento letterale è alla “unità sanitaria locale”, propria della legge di riforma, che si costituisce in azienda sanitaria locale.

1.4. Al di là di ogni considerazione di ordine testuale, si deve rilevare che l’interpretazione qui respinta disconosce le ragioni di fondo della disposizione, costituente il punto di arrivo di un’evoluzione normativa complessa, cominciata all’indomani dell’emanazione della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (L. 23 dicembre 1978, n. 833), nella quale valeva il principio per cui l’ente che autorizzava la prestazione sanitaria in regime convenzionato era anche legittimato al pagamento delle stessa al soggetto in regime di convenzione. Il progressivo accentramento delle funzioni di pagamento, con la distinzione tra competenza ad autorizzare le prestazioni sanitarie in regime di convenzione, e competenza al pagamento delle stesse prestazioni, presto trasferita alle cosiddette unità capofila, era motivato, già prima del riconoscimento del ruolo delle regioni nella riforma del 1992, con le concorrenti e assai avvertite esigenze di controllo della spesa pubblica, distribuzione del finanziamento, valutazione dei risultati conseguiti dal servizio sanitario e controllo dell’uniformità delle prestazioni sanitarie erogate, nonchè delle tariffe di pagamento delle prestazioni in regime convenzionale.

1.5. L’evoluzione del modello organizzativo, avviata inizialmente con

l’istituzione di un servizio di tesoreria unificato per le diverse unità socio sanitarie locali, si è compiuta con la riforma attuata dal D.Lgs. n. 502 del 1992, e con le successive modifiche del D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517. L’art. 11, comma 9, del decreto stabilisce il principio che i contributi per le prestazioni del servizio sanitario nazionale e le altre somme ad essi connesse, sono attribuiti alle regioni in relazione al domicilio fiscale posseduto al 1 gennaio di ciascun anno dall’iscritto al servizio sanitario nazionale; e il finanziamento delle singole unità sanitarie locali è trasferito conseguentemente alla Regione. A questa spettano compiti quali la determinazione dei principi sull’organizzazione dei servizi e sull’attività destinata alla tutela della salute, e dei criteri di finanziamento delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette unità sanitarie locali ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie. L’art. 4, comma 7, citato decreto (con le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 517 del 1993), precisa che la regione, nel determinare le modalità di finanziamento delle aziende, ne determina gli introiti. Al tempo stesso, la pur riconosciuta autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica delle aziende sanitarie locali trova il suo limite nel divieto, fatto alle unità sanitarie locali (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 5, lett. f), di ricorrere a qualsiasi forma di indebitamento, fatte salve le eccezioni espressamente previste, e che non riguardano i rapporti con le farmacie, i medici specialisti convenzionati e con le strutture private convenzionate.

1.6. In tale quadro trova agevole collocazione la disposizione, qui considerata, che regola in modo particolare la legittimazione passiva nei confronti di tutti i soggetti che erogano prestazioni sanitarie in regime di convenzione con la regione: farmacie, medici specialisti, strutture private. Per questi soggetti vale la regola che essi sono creditori dell’ente “incaricato del pagamento”, da intendere come ente finanziatore delle aziende sanitarie, poichè l’autorizzazione della prestazione sanitaria costituisce non la fonte dell’obbligazione dell’unità sanitaria che la autorizza, ma la condizione del pagamento da parte dell’ente obbligato per legge, e che è quello di ciò incaricato.

1.7. In sintesi, la Corte, oggi chiamata a pronunciarsi di nuovo su tale questione, ritiene che non vi siano ragioni per dover mutare orientamento, giacchè la natura, pur contingente, di alcune disposizioni, nel contesto dell’ampia riforma attuata nel settore del servizio sanitario nazionale, induce a ritenere che solo parte delle disposizioni abbiano avuto natura ed efficacia temporanea; lo spirito del decreto sopra considerato, inoltre, non è certamente desumibile dal titolo e dal preambolo, i quali fanno riferimento solo ad alcuni dei precetti contenuti nel decreto, diretti a risolvere problemi urgenti e temporanei; piuttosto, le ragioni di fondo della disposizione si mostrano come punto di arrivo di un’evoluzione normativa complessa, iniziata all’indomani dell’emanazione della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (L. 23 dicembre 1978, n. 833), nella quale valeva il principio per cui l’ente che autorizzava la prestazione sanitaria in regime convenzionato era anche legittimato al pagamento delle stessa al soggetto in regime di convenzione. Infine, occorre tener conto che è proprio la “unità sanitaria locale” a costituirsi in azienda nella legge di riforma, e dunque ad assumere un aspetto operativo e locale, e non finanziario. L’assetto interpretativo sistematico adottato dalle sentenze della Corte di cassazione n. 18448/07 e n. 13333/15 regge, dunque, ad ogni obiezione, con la conseguenza che il ricorso deve essere respinto.

2. Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite, poste a carico del ricorrente soccombente nella misura di seguito liquidata.

PQM

1. Rigetta il ricorso;

2. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6000,00, oltre 200,00 per esborsi, spese forfetarie e oneri di legge;

3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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