Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25159 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 20/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35786/2018 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ERCOLANO 5,

presso lo studio dell’avvocato MARCO MALARA, rappresentato e difeso

dall’avvocato RAFFAELE MASCIANTONIO;

– ricorrente –

contro

F.P.;

– intimato –

e contro

F.M., (quale erede di F.M.) e

F.A. (in proprio e quale erede di F.M., e

D.I.), elettivamente domiciliato in ROMA, V. TRIONFALE 5637, presso

lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, rappresentato e difeso

dall’avvocato MERCURIO GALASSO;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ERCOLANO 5,

presso lo studio dell’avvocato MARCO GAETANO MALARA, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAFFAELE MASCIANTONIO;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1837/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 4/12/2018 e il 7/12/2018, la sig. M.B., propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, assistito da successiva memoria, avverso la sentenza n. 1837/2018 della Corte d’Appello di L’Aquila, notificata il 9/10/2018. Resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato, notificato l’11/1/2019, assistito da successiva memoria, i sig.ri F.A.M. e F.M.. Il sig. F.P., intimato, non si è costituito. La ricorrente, in data 14/2/2019, ha notificato controricorso al ricorso incidentale.

2. La sig.ra M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lanciano Sezione distaccata di Atessa, i sig.ri D.I., F.A.M., F.M. e F.P. per ottenere dagli stessi, nella loro qualità di eredi del sig. F.M., il risarcimento dei danni ex art. 389 c.p.c., subiti dopo che, nel (OMISSIS), aveva dovuto sospendere i lavori di costruzione di un fabbricato (da adibire a negozio e magazzino) a causa di una denuncia di nuova opera, poi rivelatasi infondata, presentata dal dante causa dei convenuti per violazione della normativa delle distanze legali. La procedura avviata dal sig. F.M., dapprima dinanzi al Pretore di Atessa e poi, in appello, al Tribunale di Lanciano esitava nella condanna della sig.ra M. ad arretrare il fabbricato in costruzione fino a dieci metri. La pronuncia veniva impugnata dinanzi alla Suprema Corte che, con la sentenza n. 1256/1997, annullava la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Pescara. Il Tribunale di Pescara statuiva in ordine alle distanze legali, rilevando che il fabbricato in costruzione della sig.ra M. era posto a distanza regolamentare non inferiore a tre metri dal fabbricato preesistente del sig. F.M., condannando i successori dello stesso al pagamento delle spese dei vari gradi di giudizio.

Nel riassumere la causa innanzi al giudice del rinvio, la sig.ra M. aveva invocato il risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., comma 2, ma la domanda veniva dichiarata inammissibile in quanto domanda nuova, non ancorata a fatti o comportamenti sopravvenuti, bensì al comportamento tenuto ab origine dal sig. F.M. e che, dunque, avrebbe dovuto essere proposta tempestivamente fin dal primo grado di giudizio. Impugnata la sentenza, la Suprema Corte rigettava il ricorso.

3. La sig.ra M. adiva nuovamente il Tribunale di Lanciano proponendo separata azione risarcitoria ex art. 389 c.p.c., da cui prende le mosse il presente procedimento. Il Tribunale rigettava la domanda per intervenuta prescrizione, rilevando che il termine prescrizionale decennale previsto per l’azione di cui all’art. 389 c.p.c., doveva decorrere dalla sentenza della Suprema Corte n. 1256 del 1997 (che aveva cassato la pronuncia del Tribunale di Lanciano ove il sig. F.M. era risultato vittorioso), termine vanamente decorso quando l’attrice aveva notificato l’atto di citazione agli eredi del F. nel maggio 2009.

4. Avverso la pronuncia l’attrice proponeva gravame dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila che, con la sentenza qui impugnata accoglieva il suo primo motivo di appello ritenendo l’azione non prescritta; sul punto, in particolare, rilevava che la domanda risarcitoria per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., formulata dalla sig.ra M. in sede di giudizio di rinvio, sebbene inammissibile in quanto non tempestivamente proposta, era comunque idonea ad interrompere il termine prescrizionale, con la conseguenza di consentire all’attrice di agire ex art. 389 c.p.c., in modo autonomo, nel maggio 2009, risalendo la pronuncia di inammissibilità al settembre 2003. Nel merito, tuttavia, riteneva di non accogliere la domanda risarcitoria poichè sprovvista di prove, che spettava all’attrice fornire. Per l’effetto, compensava le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.2. Con il primo motivo si prospetta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione degli artt. 1171,2697 e 2728 c.c.; nonchè l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, rappresentato dal danno emergente. In primo luogo, la ricorrente censura la sentenza della Corte d’Appello per non aver condannato i convenuti al risarcimento dei danni dalla stessa subiti per l’effetto della sospensione dell’opera, rappresentati dalla differenza del costo di costruzione del fabbricato dal giorno del blocco dei lavori (27/7/1982) al dicembre 2008, nonchè dal non aver potuto utilizzare un edificio da destinarsi all’esercizio di attività economica costituente fonte di potenziale reddito, sull’erroneo assunto della mancanza di elementi probatori a fondamento della domanda che spettava all’attrice fornire; la ricorrente deduce di aver ampiamente indicato il fatto produttivo di danno, il soggetto cui era attribuibile il fatto e gli elementi per la valutazione dei danni e che, a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità dell’ordine di sospensione dei lavori, il danno derivante è, per il proprietario del bene, “in re ipsa” (invoca Cass. 1562/2010; Cass. 827/2006; Cass. 21501/2018) e costituisce una presunzione legale per disposto dell’art. 2728 c.c., essendo quindi dispensata dell’onere di provare l’an del danno subito. In secondo luogo, rileva che la Corte territoriale ha argomentato il rigetto della domanda risarcitoria sul rilievo “che non era stata allegata nè prodotta in giudizio alcuna prova in merito all’effettiva, completa, costruzione del fabbricato da destinarsi a magazzino”, senonchè in tal modo avrebbe erroneamente posto a carico dell’attrice l’onere di provare un fatto pacifico che non poteva essere provato, stante la disposta sospensione dei lavori, ignorando l’oggetto della domanda proposta, nonchè il disposto dell’art. 1171 c.c., comma 2, che in tema di denuncia di nuova opera prevede che il giudice, nel caso in cui vieti la continuazione dell’opera, deve adottare le opportune cautele per il risarcimento del danno prodotto dalla sospensione della stessa.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 389 c.p.c. e degli artt. 1123 e 2043 c.c.; nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi; e, infine, in relazione all’art. 116 c.p.c., l’omesso esame della CTU acquisita. In primo luogo, ritiene la violazione dell’art. 389 c.p.c., per come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1135/1987; Cass. n. 10386/2005), secondo cui la disposizione autorizza a chiedere al giudice del rinvio i provvedimenti restitutori e riparatori conseguenti alla cassazione della sentenza di merito e le misure suddette non richiedono la prova di una colpa di colui a carico del quale la restitutio venga posta. La Corte d’Appello, pur avendo dichiarato di fare propri i richiamati principi, avrebbe motivato il rigetto della domanda di risarcimento del danno emergente per mancanza di prova, benchè il danno fosse in re ipsa ed il pregiudizio subito per effetto della sospensione fosse desumibile da nozioni di comune esperienza. In secondo luogo, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l’attrice aveva fornito la prova del quantum del danno emergente per il tramite della ctu espletata. Sul punto, inoltre, rileva che il giudice di secondo grado sarebbe incorso nella violazione dell’art. 116 c.p.c., per non aver indicato le ragioni per le quali la prova del quantum del danno reclamato non poteva essere ricavata dalla CTU. Infine, la Corte avrebbe violato gli artt. 2043 e 1223 c.c., perchè, nel caso concreto, ricorrevano tutti gli elementi integranti le fattispecie ivi previste.

3. I controricorrenti hanno proposto appello incidentale condizionato affidandolo a due motivi.

3.1. Con il primo motivo censurano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione dell’art. 389 c.p.c., in relazione all’art. 25 Cost. e art. 99 c.p.c., per avere la Corte d’Appello disatteso l’eccezione proposta di incompetenza funzionale del Tribunale di Lanciano, in favore di quello di Pescara. I controricorrenti rilevano che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la domanda conseguente alla cassazione ex art. 389 c.p.c., va proposta nel medesimo giudizio di rinvio o in altro autonomo, ma comunque sempre dinanzi al giudice del rinvio che, nel caso di specie, non era il Tribunale di Lanciano, ma il Tribunale di Pescara, così come designato dalla Corte di Cassazione con la pronuncia che ha annullato la decisione di sospensione dei lavori (Cass. n. 1256/1997).

3.2. Con il secondo motivo deducono – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 2934,2935 e 2943 c.c. e art. 96 c.p.c., in relazione all’art. 389 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto non prescritta l’azione promossa dalla sig.ra M. nel 2008. I controricorrenti, di contro, rilevano che l’unico titolo giudiziale da cui far decorrere la prescrizione dell’azione ex art. 389 c.p.c., era la sentenza n. 1256/1997 della Corte di Cassazione, non potendo assumere efficacia interruttiva del termine prescrizionale la domanda proposta dinanzi al giudice del rinvio ex art. 96 c.p.c., nel 2003 poichè trattavasi di due distinte ed autonome iniziative giudiziarie.

4. I motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente in quanto intimamente connessi. Essi sono infondati o inammissibili per le seguenti ragioni.

4.1. La Corte territoriale ha ritenuto che la domanda risarcitoria proposta fosse del tutto sprovvista di prove poichè l’attrice, su cui l’onere probatorio incombeva, non ha fornito alcuna prova sul fatto che il manufatto, già esistente in forma grezza, sarebbe stato effettivamente completato, anche alla luce delle riscontrate difformità alle concessioni edilizie rilasciate; nè avrebbe fornito prova che il manufatto sarebbe stato concesso in locazione a terzi e che tale locazione sarebbe stata di natura commerciale, trattandosi di mera possibilità, di difficile realizzazione, viste le risultanze della CTU che ne aveva evidenziato la mancanza dei requisiti strutturali indispensabili e alla luce del mancato effettivo compimento dell’opera; nè, infine, che l’ipotetica locazione avrebbe avuto durata continuativa dal 1982 al 2008. La Corte territoriale, dunque, non ha onerato l’attrice della prova dell’effettivo compimento dell’opera, prova ictu oculi logicamente impossibile stante l’ordine giudiziale di sospensione dei lavori intervenuto, ma ha ritenuto che la ricorrente avrebbe dovuto fornire elementi idonei a dimostrare che l’opera sarebbe stata effettivamente realizzata, nonostante le emerse difformità edilizie. E ha aggiunto che, inoltre, la ctu “seppur di pregio”, alla luce di tale mancata realizzazione, fornisse solo elementi tecnici non idonei a ritenere provato il danno derivate dall’illegittima sospensione.

4.2. Stante la ratio decidendi della sentenza gravata la ricorrente, che assume di aver fornito la prova del fatto ingiusto produttivo di danno, del danno, del nesso causale tra fatto e danno e della responsabilità del dante causa degli appellati e che, comunque, ritiene essere esonerata da tale incombenza essendo il danno “in re ipsa” per l’effetto dell’illegittimità della sospensione dei lavori, si osserva preliminarmente che la medesima non ha neanche indicato quali siano le circostanze e le risultanze probatorie configuranti i presunti elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria e ove poterli localizzare nei documenti e negli atti processuali delle precedenti fasi di merito. Per altra via, restano oscure le evidenze probatorie non correttamente apprezzate dal giudice di secondo grado e, addirittura, gli esatti termini della domanda risarcitoria proposta.

4.3. Più precisamente, quanto al primo motivo, in linea di diritto, la deduzione sul danno in re ipsa si pone innanzitutto in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale segnato da questa Corte in più precedenti riguardanti simili fattispecie, collegate al cd. danno- conseguenza. Difatti, ai fini del risarcimento, allorchè occorra accertare se in concreto si è verificato un danno-conseguenza, esso non può essere configurato “in re ipsa”, consistendo in tal caso nel pregiudizio economico derivante dalla perdita di occasioni di alienare o locare il cespite oppure di venderlo o locarlo a condizioni più favorevoli (Cass. Sez. 3, ordinanza n12123 del 22 giugno 2020 in materia di illegittima iscrizione di ipoteca; Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 23987 del 26/09/2019 in materia di danno da ritardata restituzione di un bene locato; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 11203 del 24/04/2019 in materia di danno da occupazione immobiliare abusiva).

4.4. Quanto alle restanti censure, il ricorso si pone in contrasto con il requisito di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, per i moitivi già sopra accennati.

4.5. In particolare, in relazione alle circostanze e alle valutazioni effettuate dal giudice di merito, nel ricorso non vengono trascritti, e nemmeno indicati, gli accertamenti e le risultanze peritali, al fine di consentire a questa Corte di valutare la congruità della motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto le conclusioni del consulente non conferenti in relazione alla prova del danno cagionato dall’illegittima sospensione dei lavori.

4.6. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso, non potendo ricavarsi da altri atti come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza gravata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Così, Cass., Sez. 5, sentenza n. 29093 del 13/11/2018; in senso conforme, ex plurimis, Cass., Sez. U., Sentenza n. 34469 del 27/12/2019; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/7/2015; Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 9/4/2013).

4.7. Peraltro, le circostanze che nel ricorso vengono dedotte come violazione o falsa applicazione degli artt. 1123,1171,2043,2697 e 2728 c.c., nonchè le doglianze inferenti un’erronea interpretazione dell’oggetto della domanda attorea da parte della Corte d’Appello, non risultano in alcun modo trattate nella sentenza impugnata, talchè – proponendole in questa sede – la ricorrente aveva l’onere di allegare l’avvenuta deduzione delle questioni dinanzi al giudice di merito, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Così, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019; in senso conforme, Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/6/2018; Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013; Sez. 1, Sentenza n. 28480 del 22/12/2005).

4.8. Le stesse doglianze, poi, vengono prospettate anche sub specie art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione antecedente alla modifica portata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. in L. n. 134 del 2012, che, dunque, non è applicabile al caso di specie ratione temporis. Il novum legislativo, difatti, ha introdotto nell’ordinamento un vizio denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dovuto indicare esattamente “il fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, l’an, l’ubi e il quomodo tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame degli elementi istruttori, delle argomentazioni e delle deduzioni difensive non integra il vizio di omesso esame (Cfr. Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12387 del 24/6/2020; Sez. 2 -, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/4/2014). Dunque, non può ritenersi ammissibile la censura sotto il profilo de quo, in quanto nel ricorso non si rinviene alcun “fatto storico” la cui omissione possa essere vagliata alla luce della nuova formulazione della norma, limitandosi ad assumere la mancata considerazione o, piuttosto, l’erronea considerazione, del “danno emergente”, della circostanza che la ricorrente fosse dispensata dal provare l’an del danno subito e il quantum risarcitorio per come già rilevato in sede di ctu che, tuttavia, non integrano “fatti storici” ma deduzioni difensive e risultanze istruttorie neppure individuate nei loro esatti termini.

4.9. Neppure è possibile, peraltro, ipotizzare che la ricorrente abbia voluto intendere il richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come vizio motivazionale nell’ambito del cd. “minimo costituzionale” ancora sottoposto al sindacato del giudice di legittimità, poichè nel ricorso non vi sono specifiche ed adeguate denunce alle anomalie motivazionali della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., Sez. 2 -, Ordinanza n. 20721 del 13/8/2018; Sez. 3 -, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 dell’8/10/2014).

4.10. Conclusivamente, il ricorso principale va rigettato quanto al primo motivo, in relazione al mancato accoglimento del danno in re ipsa, e va dichiarato inammissibile in relazione agli ulteriori motivi.

4.11. L’inammissibilità del ricorso principale assorbe ogni motivo del ricorso incidentale in quanto spiegato in via condizionata.

4.12. Le spese seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate a favore dei controricorrenti come da dispositivo, in base alle tariffe attualmente vigenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso in relazione al primo motivo, relativo al danno in re ipsa, e lo dichiara inammissibile per il resto, con assorbimento del ricorso incidentale; per l’effetto, condanna la ricorrente principale alle spese liquidate in Euro5.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile Terza, il 20 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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