Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25158 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 08/10/2019), n.25158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28260-2018 proposto da:

D.V., elettivamente domiciliato in RONIA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

G.M., con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.: PROCURA

GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– inumati –

avverso la sentenza n. 1223/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il il 11/07/2018:

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/(19/2019 dal Consigliere Relatore, Dott. CAIAZZO

ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

Che:

D.V., cittadino albanese, impugnò il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale che gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione umanitaria, con ricorso che fu respinto dal Tribunale di Brescia con ordinanza del 9.1.2017.

Il ricorrente propose appello che, con sentenza dell’11.7.2018, fu rigettato dalla Corte d’appello di Brescia, osservando che: non sussistevano i presupposti del riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto la vicenda narrata, relativa al timore del ricorrente di subire una vendetta in applicazione della legge tradizionale albanese del Kanun, era del tutto avulsa dall’ambito della protezione internazionale, emergendo piuttosto che l’istanza del ricorrente era diretta a regolarizzare la posizione di un cittadino straniero; non era riconoscibile la protezione umanitaria, in quanto il ricorrente non aveva allegato situazioni specifiche di vulnerabilità, non presentando problemi di salute, nè di sradicamento, non essendo, di per sè, sufficiente a tal fine, il positivo percorso d’integrazione seguito. D.V. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Non si è costituito il Ministero.

Il Consigliere relatore ha formulato la proposta ex art. 380-bis c.p.c.; il ricorrente non ha depositato memoria.

Diritto

RITENUTO

Che:

Con il primo motivo è dedotta l’ammissibilità del ricorso poichè proposto nel termine di legge.

Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 e 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 2, art. 3 Cedu, per aver la Corte d’appello escluso la protezione sussidiaria senza alcun riferimento alla situazione generale dell’Albania, avuto riguardo alle faide familiari.

Con il terzo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, in quanto la Corte d’appello non ha effettuato alcun accertamento in ordine alla sua condizione di vulnerabilità, che presuppone un giudizio di bilanciamento tra il grado d’inserimento sociale raggiunto e la condizione di provenienza.

Il primo motivo è manifestamente inammissibile, in quanto del tutto irrilevante, riguardando la questione della tempestività del ricorso stesso, non trattandosi di una censura ad un capo della sentenza impugnata.

Il secondo motivo è manifestamente inammissibile non avendo il ricorrente allegato fatti specifici e rilevanti ai fini, del riconoscimento della protezione internazionale, considerato altresì che dalla stessa prospettazione della parte non si evince alcuna fattispecie riconducibile al concreto pericolo per l’incolumità del ricorrente a seguito di ipotetico conflitto armato in Albania.

Al riguardo, la Corte ritiene di dare continuità all’orientamento per cui, in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass., n. 15794/19).

Invero, il ricorrente deduce una questione di natura personale afferente ad un’asserita faida nei suoi confronti in Albania, di cui non ha neppure chiarito l’oggetto e i relativi fatti, che avrebbe anche determinato la reazione dell’Autorità albanese con l’esecuzione di vari arresti.

Il terzo motivo è manifestamente inammissibile essendo diretto al riesame dei fatti, avendo la Corte d’appello escluso i presupposti della protezione umanitaria, in mancanza dell’allegazione di specifiche situazioni di vulnerabilità, considerando altresì che il motivo è relativo a fatti accaduti molti anni fa.

Data l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, non s’applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma l-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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