Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25153 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/10/2017, (ud. 15/06/2017, dep.24/10/2017),  n. 25153

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21331-2015 proposto da:

CENTRO AGRO AVERSANO DI SOCIO LOGOPEDIA S.R.L. DI F.K.T., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA OVIDIO 20, presso lo studio dell’avvocato LUCA DI PAOLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO CASTIGLIONE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI N. 2 presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GRISANTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato EMILIO BALLETTI, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1402/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/03/2015 R.G.N. 3998/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUCA DI PAOLO per delega verbale Avvocato FRANCESCO

CASTIGLIONE;

è comparso l’Avvocato LUISA PETRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 5.10.06 il Tribunale di S. Maria Capua Vetere annullava le sanzioni disciplinari conservative e quella espulsiva irrogate a P.G. dal Centro Agro Aversano S.r.l., disponendo la reintegra del lavoratore con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

2. La sentenza veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza n. 1666/08, che dichiarava illegittima soltanto la prima delle sanzioni conservative irrogate al lavoratore, del quale rigettava le residue domande.

3. A sua volta tale sentenza era cassata con rinvio da questa S.C. con pronuncia n. 7398/13, chè accoglieva i ricorsi di entrambe le parti.

4. Pronunciando in sede di rinvio con sentenza pubblicata il 13.3.15, la Corte d’appello di Napoli – per quel che rileva nella presente sede – manteneva ferma la reintegra nel posto di lavoro e la condanna al risarcimento dei danni L. n. 300 del 1970, ex art. 18 già disposte in prime cure, ma statuiva che dalla somma dovuta a titolo risarcitorio fosse detratto l’aliunde perceptum relativamente agli anni dal 2000 al 2008 (eccettuato il 2005).

5. Per la cassazione della sentenza ricorre il Centro Agro Aversano di socio logopedia S.r.l. di F.K.T. affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

6. P.G. resiste con controricorso.

7. Nelle more, con atto depositato il 9.6.17, si è costituito un nuovo difensore del controricorrente, in sostituzione del precedente difensore (che ha rinunciato all’incarico).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Preliminarmente va dichiarata l’invalidità della costituzione di nuovo difensore in sostituzione di quello originario avvenuta con separata comparsa, nonostante che – vista l’introduzione del giudizio nel 2001 – trovi applicazione nel caso di specie il testo dell’art. 83 c.p.c., comma 3, previgente rispetto alla novella di cui alla L. n. 69 del 2009, testo in virtù del quale la procura speciale può essere apposta solo agli atti in esso indicati (cfr., per tutte, Cass. n. 2460/15).

2.1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 Cost., dell’art. 1464 c.c., della L. n. 403 del 1971, art. 1, del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 6 e della L. n. 42 del 1999, art. 4 per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi su uno dei motivi d’appello, secondo cui è ostativa alla reintegra la mancanza, da parte di P.G., di valido titolo abilitativo per continuare ad espletare le mansioni di massokinesiterapista disbrigate presso la società ricorrente.

2.2. Analoga doglianza viene fatta valere con il secondo motivo di ricorso, sotto forma di denuncia di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., comma 1, artt. 1463,2043 e 1223 c.c., nel senso che la mancanza di valido titolo abilitativo affinchè il lavoratore possa continuare a svolgere le summenzionate mansioni rende il rapporto di lavoro inter partes nullo per violazione di norme imperative e – comunque – ormai cessato per factum principis, anche a prescindere dall’intimato licenziamento.

2.3. Con il terzo motivo ci si duole di violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, nonchè degli artt. 2043,1223 e 1227 c.c., dell’art. 112 c.p.c. e di omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha detratto dal risarcimento ex art. 18 cit. anche l’aliunde percipiendum e l’aliunde perceptum relativo all’anno 2005, nonostante che le somme riscosse anche in tale anno dall’odierno controricorrente risultassero dai documenti già prodotti (estratto contributivo e modello CUD 2006); per gli anni dal 2009 in poi – conclude il ricorso – bastano delle presunzioni semplici per ritenere che il lavoratore abbia continuato a guadagnare.

3.1. I primi due motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono infondati.

In realtà le eccezioni in essi esposte risultano sollevate soltanto in sede di rinvio e, benchè si tratti di eccezioni in senso lato, sono incompatibili con la struttura ad istruzione chiusa propria del giudizio di rinvio (cfr., per tutte, Cass. n. 341/09), che non consente alla parte di sollevare o al giudice di rilevare d’ufficio nuove eccezioni o questioni che richiedano un ulteriore accertamento in fatto, come quello del possesso o meno, da parte dell’odierno controricorrente, di valido titolo abilitativo per continuare ad espletare le mansioni di massokinesiterapista.

Ciò prescinde da eventuali accettazioni del contraddittorio da parte dell’avversario, atteso che nel giudizio di rinvio la delimitazione della res litigiosa è nell’interesse pubblico e, quindi, non è nella disponibilità delle parti (cfr. Cass. n. 3970/03).

E’ pur vero che l’estensione dei poteri del giudice di rinvio varia a seconda che l’annullamento sia avvenuto per violazione di norme di diritto o per vizi della motivazione, nel senso che mentre nella prima ipotesi egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti già acquisiti al processo, nella seconda conserva le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 9095/97; Cass. n. 13719/06; Cass. n. 2606/09).

Tuttavia, tali facoltà attengono solo ai poteri di valutazione delle prove già acquisite (e, quindi, dei soli fatti, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento), oltre che alle questioni di diritto precedentemente non esaminate o all’attività assertiva e/o probatoria resasi necessaria alla luce del contenuto della sentenza rescindente, ove questa abbia determinato una modificazione del thema decidendum definendo in modo diverso il rapporto dedotto in giudizio e, così, imprimendo alla controversia un nuovo indirizzo, con conseguente necessario mutamento della difesa delle parti.

Nè il giudice di rinvio può – anche soltanto implicitamente – rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto (cfr., ex aliis, Cass. n. 16171/15).

In breve, nel giudizio di rinvio resta precluso l’esame di ogni questione logicamente pregiudiziale ed incompatibile, non rilevata dalla Corte Suprema o perchè non investita della sua decisione da un motivo di ricorso o anche perchè la questione, pur se in astratta ipotesi rilevabile d’ufficio, non lo è stata. La pronuncia di legittimità non può essere rimessa in discussione nel giudizio di rinvio in base a questioni del tipo sopra indicato; può esserlo solo in base a fatti sopravvenuti al passaggio in decisione della causa in appello o a mutamenti normativi successivi alla pubblicazione della sentenza di cassazione (cfr. Cass. n. 17167/02; Cass. n. 11614/98).

Non sono questi i casi che ricorrono nella presente sede.

3.2. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato sotto tutti i profili.

Lo è sotto quello della mancata detrazione dell’aliunde percipiendum e dell’aliunde perceptum per il periodo dal 2009 in poi, della cui prova è onerato il datore di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 9616/15): in tal modo la ricorrente non fa altro che sollecitare un nuovo apprezzamento in fatto, che sfugge al giudizio di legittimità.

Lo è, altresì, sotto quello della mancata detrazione dell’aliunde perceptum relativo all’anno 2005: anche a tale riguardo la società ricorrente sollecita una nuova valutazione della prova mediante accesso diretto agli atti, operazione non consentita nella presente sede.

Nè quest’ultima doglianza può farsi valere sotto forma di denuncia di omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, atteso che secondo Cass. S.U. n. 8053/14 (e successiva giurisprudenza conforme) l’omesso esame deve riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significatività del fatto medesimo) principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria).

Ma il riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche l’omesso esame di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, ancorchè – in astratta ipotesi – in modo errato o poco convincente.

E indubbiamente il fatto storico dell’aliunde perceptum è stato espressamente esaminato dai giudici di rinvio: ove mai tale esame sia stato – in teorica ipotesi, secondo quel che lamenta la ricorrente – condotto in modo erroneo o travisando il contenuto dei documenti, è questione che non può porsi in sede di legittimità.

4.1. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

la corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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