Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25152 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/10/2017, (ud. 13/06/2017, dep.24/10/2017),  n. 25152

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20893-2015 proposto da:

OVS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso

lo studio dell’avvocato FABIO PULSONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SILVIA MARESCA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO

23/A, presso lo studio dell’avvocato SIMONE PIETRO EMILIANI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1726/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/03/2015 R.G.N. 8039/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIANLUCA GEMMA per delega Avvocato FABIO PULSONI;

udito l’Avvocato MARCO GAMBACCIONI per delega verbale Avvocato SIMONE

PIETRO EMILIANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accertato e dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a S.R. in data 22.2.2011 da Upim s.r.l. ordinandone la reintegrazione e condannando la datrice di lavoro al risarcimento del danno.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che correttamente il primo giudice aveva accertato che era stato violato la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9 sul rilievo che, seppur unico il criterio di scelta dei lavoratori, il datore di lavoro era comunque tenuto ad esternarne le modalità di applicazione. Ha poi sottolineato che la comunicazione finale del 5.4.2011 in violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 non precisava le caratteristiche dei lavoratori collocati in mobilità (qualifica livello di inquadramento età carichi di famiglia) limitandosi ad indicarne il numero. Ha confermato la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 evidenziando come la comparazione dovesse essere effettuata tra tutti i dipendenti dell’azienda con professionalità fungibile. Infine ha evidenziato che la comunicazione del recesso al lavoratore doveva essere contestuale rispetto a quella finale di cui al già citato art. 4, comma 9 come dallo stesso previsto. Ha escluso, da ultimo, che al licenziamento intimato prima dell’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 trovasse applicazione la disciplina sanzionatoria introdotta con l’art. 1, comma 46 citata legge.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre la OVS s.p.a., già Upim s.r.l., che ha articolato tre motivi ai quali resiste la Salerno con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4,comma 9 con riferimento al contenuto della comunicazione finale della procedura L. n. 223 del 1991, ex art. 4 e 24.

4.1. Sostiene la ricorrente che proprio applicando i principi dettati dalle sentenze della Cassazione richiamate si sarebbe dovuti pervenire alla conferma della correttezza della procedura seguita ed alla conseguente legittimità del recesso.

4.2. La Corte di appello avrebbe omesso di esaminare la scheda allegata al verbale di accordo dalla quale si evinceva che il criterio unico era quello, in concreto applicato, della mancata accettazione di proposte di ricollocazione da parte di dipendenti del negozio in chiusura, sostitutivo, per essere stato adottato con accordo sindacale, di quelli previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 e comunque riportati nella comunicazione dell’elenco dei lavoratori da licenziare.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 e art. 5, comma 1 per avere la sentenza ritenuto che la comparazione tra i dipendenti debba interessare l’intera azienda e non, solo, l’unità o il settore interessati dalla necessità di riduzione purchè tale limitazione sia oggettivamente giustificata dalle esigenze organizzative, idoneamente rappresentate nella comunicazione, poste a fondamento della riduzione di personale. La Corte di appello avrebbe omesso di valutare che la società nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3 aveva adempiuto a tale incombente e che la ricorrente non aveva mai contestato le affermazioni contenute nella comunicazione finalizzata ad una gestione contrattata della crisi.

6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 con riguardo al principio di contestualità della comunicazione finale della procedura L. n. 223 del 1991, ex art. 4 e 24 e del licenziamento individuale. Sostiene la ricorrente che la mancanza di contestualità sarebbe giustificata da ragioni oggettive (documentate in giudizio) ed in particolare dal fatto che la Salerno sino all’11 maggio 2011 era in malattia e solo da tale data il recesso era divenuto efficace di tal che la sentenza avrebbe più correttamente dovuto ritenere accertata la contestualità della comunicazione.

7. Il primo motivo di ricorso è infondato e resta irrilevante l’esame delle altre censure poichè l’accertata illegittimità del licenziamento è confermata per effetto della accertata violazione della legge n. 223 del 1991, art. 4, comma 9.

7.1. Va rammentato che questa Corte ha ripetutamente affermato, in tema di licenziamenti collettivi L. 23 luglio 1991, n. 223, che il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico purchè esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro (Cass. 28/10/2015 n. 22024). Premesso poi che nella comunicazione scritta di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 il datore di lavoro deve indicare puntualmente i criteri di scelta dei lavoratori licenziati o posti in mobilità e le modalità applicative dei criteri stessi, quando il criterio di scelta sia unico, deve in ogni caso specificarne le modalità di applicazione affinchè la comunicazione raggiunga un livello di adeguatezza idoneo a mettere in grado il lavoratore di comprendere per quale ragione lui, e non altri colleghi, sia stato posto in mobilità o licenziato e quindi di poter contestare il recesso datoriale. A tal fine, può essere idonea anche la comunicazione dell’elenco dei lavoratori licenziati e del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia, in quanto la natura oggettiva del criterio rende superflua la comparazione con i lavoratori privi del detto requisito (cfr. Cass. 26/08/2013 n. 19576).

7.2. Tanto premesso ritiene il Collegio che il giudice di appello abbia correttamente applicato i principi sopra richiamati verificando da un canto che non erano state esternate le modalità di applicazione del pur unico criterio di scelta e dall’altro che la comunicazione finale della procedura non conteneva nessuna delle altre prescrizioni pure dettate dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 (qualifica, inquadramento, età, carichi di famiglia) ma solo una generica indicazione del numero dei lavoratori da collocare in mobilità. La Corte di merito ha dato atto di aver compiutamente esaminato la comunicazione che era stata allegata al fascicolo di parte ricorrente in primo grado, così come riferisce anche l’odierna ricorrente.

7.3. Deve essere allora rilevato che, se ciò di cui ci si duole è una errata percezione della documentazione allegata al ricorso, allora la ricorrente avrebbe dovuto agire in revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4. Se invece ciò che si lamenta è l’errata applicazione alla fattispecie quale concretamente accertata dell’art. 4, comma 9, allora la censura è infondata atteso che alla luce delle circostanze di fatto accertate in giudizio la Corte di merito ha verificato, con valutazione del materiale probatorio a lei riservata, che la datrice di lavoro nel predisporre la comunicazione prevista dall’art. 4, comma 9 più volte ricordato, non aveva ottemperato all’obbligo di indicare con puntualità le modalità con le quali era stato applicato il pur unico criterio di scelta dei lavoratori da licenziare. Come ripetutamente affermato da questa Corte il rispetto di tale adempimento è finalizzato a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti e non è sufficiente a tal fine la trasmissione dell’elenco dei lavoratori licenziati e la mera comunicazione del criterio di scelta concordato con le organizzazioni sindacali poichè vi è necessità di controllare se tutti i dipendenti in possesso dei requisiti previsti siano stati inseriti nella categoria da scrutinare e, in secondo luogo, nel caso in cui i dipendenti siano in numero superiore ai previsti licenziamenti, se siano stati correttamente applicati i criteri di valutazione comparativa per l’individuazione dei dipendenti da licenziare (cfr. Cass. 23/12/2009 n. 27165, 28/10/2009n. 22825). In definitiva la comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, deve dare pienamente conto dei criteri effettivamente e concretamente seguiti e nella specie la Corte ne ha escluso il rispetto.

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente e liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va poi dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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