Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25151 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30569/2019 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 2,

presso lo studio dell’avvocato SABRINA ROSSI, che lo rappresenta e

difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ex lege;

– resistenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 14/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

N.A., cittadino del (OMISSIS), propone ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno avverso il Decreto n. 17892/2019 del Tribunale di Roma, pubblicato in data 14.5.2019, notificato il 18 settembre 2019, con il quale il tribunale, previa audizione del ricorrente, ha ritenuto non sussistere il suo diritto nè alla protezione sussidiaria nè alla protezione umanitaria.

In particolare, il tribunale rilevava che la situazione del Senegal anche nella zona di Casamance di provenienza del ricorrente, era in via di miglioramento e non più tale da poter ritenere sussistente una situazione di rischio generalizzato per la popolazione. Rilevava altresì che il ricorrente, per sua stessa affermazione, aveva trascorso sei anni in Grecia prima di giungere in Italia, e che quindi i suoi timori si riferivano ad un episodio di molti anni addietro. Quanto alla richiesta protezione umanitaria, deduceva che il ricorrente non avesse neppure allegato alcuna specifica ragione di vulnerabilità.

Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente, proveniente dal Senegal, riferisce nella parte introduttiva del ricorso sommariamente la sua vicenda personale: sarebbe fuggito dal paese d’origine perchè il proprietario del terreno vicino sarebbe caduto nel pozzo esistente sul terreno del ricorrente, perdendo la vita, e i parenti di questi, che praticavano la magia nera, lo avrebbero minacciato. Il ricorrente segnala che anche la moglie si era allontanata dal luogo in cui vivevano, recandosi dai genitori in un villaggio vicino, e che lui era fuggito avendo paura dei poteri mistici di queste persone.

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione di norme di diritto, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. c), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, per aver la corte d’appello escluso il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria in modo disancorato dal contesto socio-politico del Senegal.

Il motivo è inammissibile, in quanto estremamente generico: esso infatti si limita ad una ricostruzione astratta degli istituti e non si confronta in alcun modo con passi specifici della sentenza impugnata al fine di segnalare gli errori di diritto nei quali potrebbe essere incorso il giudice; sembra volto più che altro, in effetti, ad ottenere una rivalutazione in fatto della situazione geopolitica del Senegal, compiuta dal tribunale attingendo ad informazioni provenienti da fonti attendibili ed aggiornate al momento della decisione, che l’hanno portato ad escludere, motivando in tal senso, la configurabilità nel Senegal in generale e nel Casamance, regione di provenienza del ricorrente, in particolare, di una situazione di gravità tale da poter essere ricondotta alla nozione di violenza indiscriminata, non ritenendo atti a configurare quel livello di violenza alcuni attacchi terroristici dei quali ricostruiva l’avvenuto verificarsi.

All’interno del medesimo motivo e senza indicare gli articoli di legge che assume siano stati violati, il ricorrente denuncia anche la violazione di legge in relazione alla protezione umanitaria, per non aver il tribunale ritenuto sussistente, rigettando di conseguenza la domanda di concessione del premesso di soggiorno per motivi umanitari, la condizione di vulnerabilità del ricorrente una volta tornato in patria.

Denuncia in particolare che il tribunale non avrebbe proceduto al necessario giudizio di comparazione, facendo uso anche dei suoi poteri di integrazione istruttoria officiosa. Non precisa come si sia sviluppato il suo percorso di integrazione in Italia nè indica di averlo allegato nel corso del giudizio di merito, e che esso sia stato trascurato dal giudice. Anche questa censura è inammissibile in quanto generica, non rapportata nè con il contenuto della pronuncia, che non è mai richiamato, per sottoporlo a revisione critica, neanche per sommi capi, nè tanto meno con la situazione personale del ricorrente, al di là del singolo motivo che lo ha spinto ad espatriare, ritenuto dal tribunale un mero motivo soggettivo (il timore di essere esposto ai poteri magici dei parenti del vicino) non suscettibile di essere posto a fondamento di una oggettiva condizione di vulnerabilità, anche perchè originato da un episodio molto risalente nel tempo. Inoltre, non si fa carico della affermazione decisiva, contenuta nella pronuncia impugnata, secondo la quale egli non avrebbe neppure indicato in che cosa consista la sua personale condizione di vulnerabilità.

Il riferimento alla condizione personale del ricorrente, ed ai punti della pronuncia impugnata in cui essa non sarebbe stata adeguatamente presa in considerazione sono necessari, non perchè la Corte debba o possa in questa sede rinnovare il giudizio sulla presenza dei presupposti per il rilascio del permesso per ragioni umanitarie, ma perchè deve valutare se il giudice di merito sia effettivamente incorso nelle violazioni denunciate, omettendo di considerare non solo la condizione di pericolosità del paese di provenienza, ma il rischio di compressione dei diritti umani del richiedente e il percorso di integrazione seguito in Italia, ovvero per procedere ad un giudizio di comparazione non in astratto ma in concreto, in riferimento alla sua vicenda personale, in attuazione dei principi già più volte affermati da questa Corte: “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. n. 4455 del 2018, richiamata sul punto, quanto alla necessità di compiere il giudizio di comparazione secondo i criteri ivi indicati, da Cass. S.U. n. 29459 del 2019).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

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