Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2515 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/01/2019, (ud. 26/06/2018, dep. 29/01/2019), n.2515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25040-2016 proposto da:

TERRANOVA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ILUIGI BAMBACI,

CARMELO MOBILIA;

– ricorrente –

contro

G.C., G.G., in proprio e nella qualità di eredi

di GA.GI., G.M.C. nella qualità di erede

universale di GA.GI., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresenti e difesi

dall’avvocato ANGELA MARIA RIZZO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 259/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 06/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Patti, con sentenza n. 143/2014, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava in solido Ga.Gi., G.C. e G.G. a corrispondere alla Terranova s.r.l. il residuo prezzo delle strutture per serra a loro vendute dalla stessa società, rigettando le domande di risarcimento danni proposte sia dai fratelli G. sia dalla convenuta.

A seguito di appello interposto dai G., la Corte d’appello di Messina, nella resistenza della società appellata, in riforma della sentenza di primo grado, riduceva nella misura del 30% il prezzo pattuito per la fornitura delle serre e, per l’effetto, condannava la società appellata al pagamento di Euro 12.228,58 a titolo di risarcimento del danno derivante dalla presenza dei vizi accertati, oltre agli interessi.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Messina la società Terranova propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi. I fratelli G. resistono con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1224 c.c., per aver la Corte di appello retrodatato il giorno dal quale calcolare la somma dovuta a titolo di interessi e la rivalutazione. In particolare, il giudice del gravame, nel liquidare il risarcimento del danno dovuto dalla Terranova s.r.l. ai G., avrebbe erroneamente riconosciuto gli interessi legali e la rivalutazione monetaria con decorrenza dalla domanda introduttiva del giudizio, anzichè dalla data di accertamento del danno, avvenuto con CTU.

Il motivo è infondato.

E’ stato precisato da questa Corte che ove l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, che è l’atto idoneo a porre in mora il debitore, siccome la sentenza produce i suoi effetti retroattivamente dal momento della proposizione della detta domanda (Cass. n. 9338/2009 e n. 6545/2016).

Nel dare continuità al suddetto principio si osserva che è corretto il criterio, in concreto applicato dalla Corte di appello, che ha riconosciuto gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sull’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno dal giorno della domanda, anzichè dalla data di accertamento del danno, legato ad un fatto estraneo alla sfera del creditore;

– Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame, da parte del giudice di merito, delle concause indicate dal CTU e recepite dal giudice di prime cure, nella valutazione della somma dovuta a titolo di risarcimento danni dalla società ai G.. In particolare, la Corte d’appello avrebbe dovuto ridurre la somma dovuta a titolo di risarcimento dei danni in misura percentuale all’incidenza delle concause, quali l’ubicazione, l’esposizione degli impianti e il tipo di coltura praticata.

Il motivo è inammissibile, esulando, formalmente e sostanzialmente, dai canoni previsti dal testo novellato dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte di appello ha, infatti, preso in esame, nello statuire in ordine al risarcimento dovuto dalla società venditrice, le osservazioni della ricorrente sull’incidenza delle concause (pag. 9 della sentenza impugnata), la CTU nonchè le ammissioni delle parti (pag. 10 della sentenza impugnata) e ha concluso, affermando che non solo il vizio (la ruggine) si era manifestato a breve distanza dalla consegna del materiale, escludendo così un’incidenza immediata delle concause nella realizzazione del danno, ma anche che la società si era obbligata a fornire un materiale adatto allo scopo, ossia ad essere collocato in un ambiente che conosceva essere ubicato in zona marina e destinato all’uso di materiali chimici.

Per converso la ricorrente chiede, nella sostanza, una nuova valutazione delle risultanze probatorie, sollecitando una rivalutazione della determinazione quantitativa cui è pervenuta la Corte di appello. Tale richiesta non è accompagnata da alcuna evidente anomalia motivazionale, quale tuttora denunciabile in questa sede, e si sostanzia in una richiesta di nuova valutazione del merito comunque inammissibile nel giudizio di legittimità.

In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, all’art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione Civile, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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