Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25148 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/10/2017, (ud. 08/06/2017, dep.24/10/2017),  n. 25148

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21181-2015 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6,

presso lo studio dell’avvocato RENATO MACRO, rappresentato e difeso

dagli avvocati ALESSANDRO BALDASSARRE, ERMANNO BALDASSARRE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.C.G.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA GIUSEPPE

PIZZIGONI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 537/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 19/02/2015 R.G.N. 381/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2017 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 537/2014 la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia n. 467/2014, emessa dal Tribunale di Bergamo con la quale era stata accolta la domanda proposta da D.C.G.M.G. nei confronti dell’Avv. C.V., di cui era dipendente con le mansioni di impiegata, ed era state dichiarato illegittimo il licenziamento intimatole con lettera del 3.8.2012 disponendo la riassunzione ovvero la condanna del datore di lavoro alla corresponsione di una indennità pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

2. A fondamento della propria decisione i giudici di secondo grado hanno rilevato che: 1) l’eccezione di decadenza della lavoratrice dall’azione, perchè la produzione dell’impugnativa stragiudiziale del licenziamento non era stata effettuata in sede di costituzione, unitamente al deposito del ricorso introduttivo del giudizio (infatti era stata depositata altra impugnativa stragiudiziale), bensì successivamente all’udienza del 5.6.2013, era infondata sia perchè la decadenza L. n. 604 del 1966, ex art. 6 non era elemento costitutivo del diritto e della relativa azione e, in quanto tale, poteva essere oggetto di prova a seguito di eccezione della controparte, sia perchè, nel processo del lavoro, andava privilegiata la ricerca della verità materiale anche acquisendo agli atti la documentazione necessaria ai fini di accertare la tempestività dell’impugnativa di licenziamento; 2) le infrazioni disciplinari contestate alla D.C. o erano risultate inesistenti o molto meno gravi di quelle ipotizzate dal datore di lavoro.

3. Per la cassazione ha proposto ricorso l’Avv. C.V. affidato a due motivi illustrati con memoria.

4. Ha resistito con controricorso D.C.G.M.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte distrettuale erroneamente consentito l’acquisizione di un documento, che non era stato prodotto con il ricorso introduttivo, con il quale era stato già prodotto altro analogo documento, con ciò violando il rigido sistema delle preclusioni processuali che regolano il rito del lavoro.

2. Con il secondo motivo si censura la falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè i giudici di secondo grado, avvalendosi in modo erroneo dell’esercizio dei poteri istruttori di ufficio, avevano consentito l’acquisizione di un documento non producibile attesa la eccepita e già integrata decadenza.

3. I motivi, che devono essere trattati congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, non sono fondati.

4. In primo luogo, deve rimarcarsi che è vero che l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento L. n. 604 del 1966, ex art. 6 è un atto negoziale unilaterale e ricettizio, per il quale la legge richiede la forma scritta ad substantiam e che pertanto non può essere dimostrato attraverso il ricorso alla prova testimoniale; inoltre, la prova del fatto impeditivo della decadenza dall’impugnazione non si sottrae al regime delle preclusioni processuali sancito nel rito del lavoro dagli artt. 414,416 e 420 c.p.c., al pari di qualsiasi fatto costitutivo, modificativo od estintivo del diritto fatto valere in giudizio (cfr. Cass. 24.8.2000 n. 11059).

5. Tuttavia, ritiene il Collegio che, allorquando vi sia stata solo una errata indicazione e/o produzione del documento, non ricorre la nullità del ricorso introduttivo ai fini dell’art. 414 c.p.c. nè opera la relativa preclusione processuale in quanto rientra nel potere del giudice acquisire il documento di ufficio ex art. 421 c.p.c., qualora quello esatto sia realmente esistente ma sia stato solo oggetto di errore nella produzione, non comportando tale acquisizione una supplenza ad una carenza probatoria su fatti costitutivi della domanda, ma piuttosto il superamento di una incertezza su un fatto indispensabile ai fini del decidere.

6. Del resto, tale soluzione non contrasta con la caratteristica della circolarità, nel rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova donde l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – sussiste su fatti non allegati nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo (Cass. Sez. Un. 17.6.2004 n. 11353) e non quando, come nel caso di specie, il fatto era stato allegato correttamente ma per mero errore era stata prodotta altra impugnativa stragiudiziale di licenziamento.

7. In secondo luogo, va rilevato che, in ordine all’esercizio dei poteri istruttori di ufficio da parte del giudice e al sistema delle preclusioni che, nel processo del lavoro, regola l’ammissione delle prove costituite e di quelle costituende, la Corte distrettuale si è attenuta ai principi elaborati da questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 8202/2005; Cass. n. 15228/2007), cui si intende dare seguito, circa la necessità di un contemperamento ispirato alla esigenza della ricerca della verità materiale e, quindi, alla correttezza dell’acquisizione del documento esatto preesistente, oggetto pur sempre di allegazione, a seguito della contestazione di controparte.

8. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere respinto.

9. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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