Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25147 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29850/2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLLINA, 48,

presso lo studio dell’avvocato ERMANNO PACANOWSKI, che lo

rappresenta e difende per procura spillata in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INT. ROMA, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ex lege;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 10/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- S.M., cittadino del (OMISSIS), propone ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno, articolato in quattro motivi, notificato il 17.10.2019, avverso il decreto n. 365/2019 del Tribunale di Roma, pubblicato in data 10.1.2019, con il quale il tribunale, previa audizione del ricorrente, ha negato lo status di rifugiato e ha ritenuto non sussistere il suo diritto nè alla protezione sussidiaria nè alla protezione umanitaria.

2. – In particolare, il tribunale riporta tutta la vicenda personale del ricorrente: questi riferisce alla Commissione territoriale di essere musulmano, di etnia (OMISSIS), con una vasta famiglia in patria, comprensiva di una moglie e cinque figli, di essere stato cacciato dalla casa dove abitava con tutta la famiglia dalla seconda moglie del nonno, che falsificava i documenti di proprietà dell’immobile, e di essere stato poi accusato di aver provocato la morte di questa ed aggredito dai suoi parenti che venivano arrestati dalla polizia e poi rilasciati; dichiarava quindi di esser fuggito per sottrarsi alle aggressioni della famiglia della seconda moglie del nonno e perchè se di ritorno nel suo paese non avrebbe saputo come mantenere i suoi familiari.

3. – In tribunale, il ricorrente modificava in parte la versione sopra riportata, riferita alla commissione territoriale, per indicare che il conflitto era non tra le due mogli del nonno ma tra le due mogli del padre, e che lui si trasferiva dapprima in Senegal per lavorare e poi, non riuscendo a mantenere la famiglia, espatriava attraverso la Libia per giungere in Italia.

4. – Il tribunale rigettava le domande ritenendo che la vicenda del ricorrente, a prescindere anche dalle sue contraddizioni, evidenziasse, quanto alla protezione sussidiaria, un mero timore soggettivo e che il paese e l’area di provenienza non presentassero al momento della decisione una situazione di violenza generalizzata atta a costituire una reale minaccia alla sicurezza della persona. Evidenziava poi che il lasso di tempo tra i fatti riferiti e l’espatrio, di circa dieci anni, portasse a dubitare che le ragioni dell’espatrio fossero riconducibili a quell’episodio, dovendosi invece ritenere che la causa dell’espatrio fosse di natura esclusivamente economica.

Quanto alla protezione umanitaria, evidenziava che il ricorrente non aveva allegato nè dimostrato circostanze di particolare vulnerabilità che potessero portare ad un esito favorevole del giudizio di comparazione.

5. – Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione della direttiva 2004/83 CE, recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, ovvero la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alle dichiarazioni rese da parte del ricorrente, ed al mancato supporto probatorio. Osserva che è opinione univoca che l’opposizione del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, non costituisca un’impugnazione in senso tecnico e che il giudice debba svolgere, per obbligo di legge, un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, che nel caso di specie non sarebbe stato svolto. In particolare, sostiene che i primi giudici, anzichè limitarsi a dire che il ricorrente non ha dimostrato ed allegato la condizione che lo ha portato all’espatrio, avrebbero dovuto indicargli “quali documenti allegare, ovvero cosa dovesse dimostrare e non ha dimostrato, o acquisire d’ufficio i mezzi di prova che ritenevano necessari ai fini del decidere, ovvero indicare alla parte le prove ritenute rilevanti e non prodotte e, solo all’esito di una carente e/o insufficiente integrazione, avrebbero potuto rigettare il ricorso”. Il ricorrente non precisa chiaramente a quale delle due protezioni richieste si riferisca, o se si riferisca ad una carenza che si riverbera su entrambe.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omesso esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del Paese di origine del ricorrente.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente avrebbe diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine, ovvero la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in virtù del quale la protezione sussidiaria deve essere concessa in presenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato interno o internazionale.

Identifica la violazione con il rigetto della domanda, cioè con una valutazione non conforme alla sua domanda.

Infine, con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente denuncia la errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sostiene che nella vicenda in esame i giudici di prime cure non abbiano in alcun modo preso in considerazione il grado di integrazione sociale del ricorrente e le precarie condizioni socio-economiche del paese di provenienza.

Il ricorso sarebbe comunque inammissibile, sotto diversi profili, sia perchè generico, in quanto i singoli motivi non si confrontano affatto con la sentenza impugnata, nè pongono a confronto la specificità dei contenuti dei motivi dedotti dinanzi al tribunale con la asserita apoditticità della decisione di rigetto, sia perchè propone una propria rilettura della situazione storica e politica del Gambia sotto tutti gli aspetti (la scarsa igiene nelle carceri, i limiti al diritto di informazione, l’intolleranza verso le persone omosessuali) per condurre ad un nuovo giudizio in fatto sulla situazione di pericolosità diffusa ed all’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria.

Ma, preliminarmente, il ricorso è inammissibile in quanto è tardivo: il decreto impugnato è stato pubblicato il 10 gennaio 2019, il ricorso non indica quando il provvedimento sia stato comunicato, ma esso è stato notificato il 17 ottobre 2019, e quindi, operando in ogni caso il termine c.d. lungo, semestrale, a decorrere dalla pubblicazione del provvedimento (al quale non si applica la sospensione feriale, essendo il provvedimento della Commissione territoriale stato emesso dopo il 17 agosto 2017, data di vigenza della nuova disciplina processuale introdotta con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 14), esso risulta in ogni caso essere stato introdotto quando il termine lungo di sei mesi era ormai decorso.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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