Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25146 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. II, 08/10/2019, (ud. 24/05/2019, dep. 08/10/2019), n.25146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20674/2015 R.G. proposto da:

G.R., rappresentato e difeso dall’avv. Rodolfo Pace, con

domicilio eletto in Roma Via Sistina n. 42, presso lo studio

dell’avv. Giovanni Galoppi.

– ricorrente –

contro

L.C.A., rappresentato e difeso dall’avv. Valerio G.

Ferrari e dall’avv. Maria Ribaldone, con domicilio eletto in Roma,

Piazza del Popolo n. 18.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1290/2014,

depositata in data 2.7.2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24.5.2019 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.C.A. ha convenuto in giudizio G.R. dinanzi al tribunale di Torino, esponendo di aver stipulato in data 31.7.2006, in qualità di promissario acquirente, un preliminare di vendita avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS) e lamentando che, nonostante il G. avesse garantito che il bene era libero da vincoli, erano state riscontrate molteplici difformità urbanistiche, sul bene insisteva un vincolo di inedificabilità a favore delle Ferrovie dello Stato, non era stata cancellata l’ipoteca gravante sull’immobile e – infine – il promittente venditore non era comparso dinanzi al notaio nel giorno fissato per la stipula.

Il Tribunale ha accolto la domanda ed ha condannato il convenuto al pagamento del doppio della caparra, regolando le spese.

La sentenza è stata confermata dalla Corte distrettuale di Torino, che ha stabilito che:

a) il termine per la conclusione del preliminare inizialmente fissato per la data del 20.10.2006 – non aveva carattere essenziale ed era stato consensualmente prorogato prima di 15 giorni, poi al 24.11.2006 ed infine al 4.12.2006 a causa della mancata consegna, da parte del G., di tutta la documentazione comprovante la regolarità urbanistica dell’immobile, pervenuta solo in data 23.11.2006;

b) il L. si era – invece – attivato per tempo per concludere il definitivo, aveva la disponibilità dell’intero ammontare del prezzo e non aveva tenuto alcuna condotta dilatoria volta ad ottenere una riduzione del corrispettivo;

c) il ricorrente non era comparso all’incontro del 6.12.2006 per la stipula del definitivo (non essendovi prova che l’assenza fosse dovuta a motivi di salute), non aveva liberato l’immobile dall’ipoteca e non aveva manifestato alcuna volontà di fissare un nuovo incontro per concludere il contratto.

Per la cassazione di questa sentenza il G. ha proposto ricorso sviluppato in tre motivi.

L.C.A. ha depositato controricorso e memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 1385,1324,1334,1350 c.c., artt. 99,100,112 e 183 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che la domanda proposta in citazione era volta ad ottenere una pronuncia costitutiva della risoluzione contrattuale e non il mero accertamento della legittimità del recesso ex art. 1385 c.c.; che solo nella memoria del 4.5.2007, mediante un’inammissibile mutatio libelli, il difensore del ricorrente, privo di procura sostanziale, aveva chiesto di accertare l’intervenuta risoluzione di diritto del preliminare ai sensi dell’art. 1385 c.c., senza comunicare, come era necessario, il recesso in via stragiudiziale.

Il motivo non merita accoglimento.

In effetti, già il tribunale aveva ritenuto proposta un’azione di accertamento dell’intervenuta risoluzione di diritto del preliminare ed aveva stabilito che il recesso era stato ritualmente esercitato mediante la notifica dell’atto di citazione, senza che detta statuizione sia stata oggetto dei motivi di appello (cfr. sentenza pag. 7), il che ne preclude la proposizione in sede di legittimità.

In ogni caso, dall’esame degli atti introduttivi – consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio denunciato – risulta evidente che, nello specifico, il L. già in citazione aveva inteso avvalersi della facoltà di recesso ex art. 1385 c.c., insistendo per la condanna del promittente venditore al pagamento del doppio della caparra.

Difatti, come osservato dalla Corte di merito, una domanda di recesso, ancorchè non formalmente proposta, può ritenersi egualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando quest’ultima abbia richiesto il pagamento a condanna alla restituzione del doppio della caparra quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria dell’inadempimento (Cass. 22657/2017; Cass. 2032/1994), in luogo di proporre l’ordinaria azione di risarcimento contrattuale (Cass. 20957/2017; Cass. 14014/2017).

Non solo – quindi – il resistente non ha modificato la domanda nella memoria del 4.5.2007, ma inoltre non occorreva la notifica di un atto stragiudiziale di recesso, poichè l’esercizio della facoltà prevista dall’art. 1385 c.c., per il caso di versamento della caparra, non è subordinato nè all’esistenza di un termine essenziale, nè all’intimazione di una diffida ad adempiere: la citazione è in tal caso pienamente idonea a produrre gli effetti sostanziali contemplati dall’art. 1385 c.c. (Cass. 11356/2006).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione la falsa applicazione dell’art. 1181, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza sostenuto che il G. avesse rinunciato al termine di adempimento del preliminare, mentre questi si era semplicemente limitato ad accettare un adempimento tardivo, riservandosi ogni strumento di tutela contrattuale, inclusa la richiesta di risoluzione del contratto. A parere del ricorrente, il mancato rispetto del termine di stipula del definitivo non era dipeso dal ritardo con cui era stata trasmessa la documentazione relativa alla regolarità urbanistica dell’immobile, poichè già in data 18.10.2006 era stato consegnato il certificato di abitabilità ed era stata comprovata la tempestiva proposizione della richiesta di sanatoria dell’immobile. Inoltre, con missiva del 13.10.2006 era stata trasmessa l’autorizzazione in sanatoria delle costruzioni poste a distanza di ml. 21,50 dalla linea ferroviaria.

Il motivo non merita accoglimento.

La censura non si confronta – anzitutto – con la ratio decidendi della sentenza, poichè la Corte di merito ha ritenuto legittimo il recesso dal contratto non già a causa del ritardo con cui era stata trasmessa la documentazione comprovante la regolarità urbanistica dell’immobile, ma per il fatto che il ricorrente non era comparso all’incontro fissato per la stipula del definitivo e per non aver mostrato – successivamente al 6.12.2006 – alcuna volontà di stipulare il contratto, avendo inoltre omesso di procedere alla cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile (cfr. sentenza pag. 11).

Il ritardo nell’invio della documentazione relativa alla regolarità dell’immobile è stata presa in considerazione per escludere che il mancato rispetto del termine fissato dalle parti per la conclusione del definitivo fosse imputabile al resistente.

Si legge nella sentenza che “tutto il carteggio intercorso nel periodo compreso tra il 27.7.2006 ed il 18.10.2006 non può esser ritenuto utile ai fini dell’imputazione di una condotta dilatoria in capo al L. in relazione al fatto che la Dia era stata protocollata dal Comune di Aqui Terme il 17.10.2006 e che il certificato di agibilità relativo al fabbricato fu rilasciato dal responsabile del servizio urbanistica di Asti solo in data 18.10.2006 e trasmesso al notaio il 23.11.2006, posta l’oggettiva sussistenza di irregolarità urbanistiche dell’immobile di cui risultava l’acquisizione della documentazione attestante l’avvenuta sanatoria in data ben successiva a tutti i termini che il G. aveva graziosamente concesso a titolo di proroga” (cfr. sentenza pag. 9).

In definitiva, non sussiste la denunciata violazione dell’art. 1181 c.c., avendo il giudice di merito accertato che l’inutile scadenza dei termini di adempimento era stata provocata dall’impossibilità di stipulare la vendita per fatto non imputabile al promissario acquirente, il che impediva al G. di far valere eventuali ragioni di tutela contrattuale connesse all’asserito, ma non sussistente, inadempimento della controparte.

Parimenti, non si configura la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè il carteggio intercorso tra le parti (incluse le missive del 13.10.2006 e del 18.10.2006) è stato esaminato a valutato dalla Corte distrettuale, con esiti tuttavia difformi da quelli auspicati dal ricorrente: posto che l’omesso esame di risultanze istruttorie è denunciabile in cassazione solo ove l’accadimento che ne costituisca l’oggetto non sia stato preso in considerazione, non anche per sollecitare una diverso apprezzamento dei fatti emersi in istruttoria (Cass. s.u. 8053/2014).

In ogni caso, non riveste alcun carattere di decisività il mancato esame della lettera del 13.10.2006 (concernente l’avvenuta autorizzazione in sanatoria delle opere poste a distanza illegale dalla Rete ferroviaria), poichè tale circostanza non ha condotto ad alcun addebito a carico del G. e non è stata assunta a fondamento della ritenuta legittimità del recesso, fermo peraltro che la sanatoria delle violazioni in tema di distanze non poteva condurre all’osservanza del termine di adempimento, in mancanza degli altri documenti necessari per la stipula.

3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1385,1218,1375,1453,1455,1456,1457,1460 c.c., artt. 112 e 116 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contestando alla sentenza di non aver tenuto conto della condotta inadempiente del promissario acquirente.

A parere del ricorrente: a) il L. non si era attivato per tempo per convocare la controparte dinanzi al notaio, pur potendo solo in quell’occasione verificare la completezza di tutta la documentazione necessaria per la conclusione del contratto definitivo, documentazione, peraltro, pervenutagli in tempo per onorare il termine fissato nel preliminare; b) con missiva del 12.9.2006 il G. aveva diffidato il resistente a procedere alla stipula entro dieci giorni, riservandosi ogni eventuale azione giudiziaria, per cui il rinvio della vendita non era stato determinato dall’incompletezza della documentazione ma dal tentativo del L. di ottenere una riduzione del prezzo; c) il secondo termine di adempimento stabilito dalle parti aveva carattere essenziale, dato che il L. aveva venduto la propria abitazione e aveva l’urgente necessità di procurarsi altro alloggio; d) il termine con scadenza 4.12.2006 era stato indicato dalle parti come improrogabile ed ultimativo e il suo inutile decorso aveva determinato la risoluzione di diritto del contratto per fatto imputabile al resistente; e) il G. non aveva presenziato all’incontro del 6.12.2006 per motivi di salute e quella data il promissario acquirente non aveva ancora la disponibilità dell’intero ammontare del prezzo e non aveva mai ritirato la richiesta di ottenerne una riduzione; f) il ricorrente si era dichiarato disponibile a fissare un’ulteriore data, per cui il suo inadempimento non poteva considerarsi definitivo; g) la mancata cancellazione dell’ipoteca non era stata dedotta a motivo della risoluzione e non poteva esser presa in esame.

Il motivo non merita accoglimento.

Il ricorso finisce per porre nuovamente in discussione la valutazione del giudizio di gravità della condotta del ricorrente e la comparazione tra i comportamenti delle parti in sede di esecuzione del preliminare, sostenendo che i termini di adempimento dovevano considerarsi essenziali quantomeno a partire della prima proroga e che la mancata osservanza dell’originario termine contrattuale era dipesa dall’intento del L. di ottenere uno sconto sul prezzo.

Trattasi tuttavia di questioni e profili che attengono al merito e che sono sindacabili solo sul piano della motivazione – nei limiti in cui ne è attualmente ammessa lo scrutinio.

La violazione di legge – qui dedotta – si configura invece solo se il giudice abbia applicato alla fattispecie concreta una norma regolante un’ipotesi diversa o in caso di erronea sussunzione del caso specifico nella norma applicabile, esulandone ogni valutazione che, come nel caso di specie, si risolva nella censura pertinente alla ricognizione dei fatti di causa a mezzo delle risultanze istruttorie, profilo che investe le tipiche valutazioni rimesse al giudice di merito (Cass. 24054/2017; Cass. 16698/2010; Cass. 4178/2007).

In ongi caso, la sentenza ha motivatamente escluso il carattere essenziale del termine di adempimento, ritenendo insufficiente il solo dato letterale del contratto e rilevando che il promittente venditore aveva acconsentito alle richieste di proroga, peraltro giustificate dalla necessità di acquisire tutta la documentazione necessaria.

Ha inoltre accertato che l’impossibilità di concludere il definitivo era dipesa dalla presenza di irregolarità urbanistiche e dalla necessità di ultimare tutte le verifiche, protrattesi nel tempo a causa del ritardo con cui era stata trasmessa la documentazione urbanistica.

La sentenza ha anche escluso – in fatto – che il L. non avesse la disponibilità di un importo sufficiente al pagamento integrale del prezzo, rilevando come questi si fosse munito di un importo di Euro 380.000,00 in assegni circolari e di un assegno bancario di Euro 20.000,00, somme che, in aggiunta alla caparra, assommavano all’esatto ammontare del prezzo concordato. Ha ritenuto indimostrati i motivi volti a giustificare l’assenza del promittente venditore all’incontro del 6.12.2006 (cfr. sentenza, pag. 11), ed ha inoltre rilevato che questi non avevano mostrato alcuna disponibilità a fissare un nuovo incontro, omettendo, inoltre di procedere alla cancellazione dell’ipoteca, circostanza, quest’ultima, che non poteva ritenersi estranea al tema di lite, poichè già il tribunale l’aveva valorizzata, senza che la relativa statuizione risulti censurata in appello.

Quanto infine al carattere non definitivo dell’inadempimento ascritto al ricorrente, è sufficiente osservare che la legittimità del recesso è stata desunta da una pluralità di condotte, non esauritesi nella sola mancata comparizione all’incontro del 6.12.2006.

In definitiva, la sentenza non è incorsa nè nella violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè nella denunciata violazione di legge, dovendosi comunque ribadire che: a) l’accertamento dell’essenzialità del termine di adempimento è riservato al giudice di merito e va condotto alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, di modo che risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo (Cass. 14426/2016; Cass. 25549/2007; Cass. 5797/2005); b) anche la valutazione circa la natura ordinatoria del termine originariamente pattuito come essenziale, ma successivamente prorogato, basata sulla ravvisata volontà delle parti di intervenire non solo sulla decorrenza del termine medesimo, ma anche sulla sua natura giuridica, si risolve in un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua e priva di vizi logici e giuridici (Cass. 7450/2018; Cass. 2026/1979); c) il giudizio di gravità e di prevalenza tra le contrapposte inadempienze attiene al merito ed è sindacabile solo per vizi di motivazione (Cass. 6401/2015; Cass. 12296/2011; Cass. 14974/2006; Cass. 9176/2000).

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese e con liquidazione in dispositivo.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, apri ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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