Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25145 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 10/10/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 10/10/2018), n.25145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18696-2017 proposto da:

D.P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO

PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO COLACINO;

– ricorrente –

contro

P.E., P.C., P.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo

studio dell’avvocato LETIZIA CAROLI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

(OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 981/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 1995, S.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il (OMISSIS) S.r.l., per sentirla condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dalla ritardata diagnosi del tumore mammario di cui era affetta. L’attrice assumeva di avere effettuato presso il convenuto centro un primo esame mammografico nell’ottobre 1990, con il quale erano stati rilevati segni di displasia fibrocistica bilaterale più estesa a sinistra; deduceva di essersi sottoposta ad ulteriori due esami mammografici, presso lo stesso centro radiologico, nel dicembre 1991 e nel gennaio 1992, che evidenziavano rispettivamente la presenza di una formazione ovoidale con contorni policiclici non ben definiti e un’estesa opacità di densità non uniforme da esaminare con indagine istologica. Quindi, seguiva un intervento chirurgico di mastectomia radicale presso l’Ospedale (OMISSIS), con diagnosi di neoplastia alla mammella sinistra. Il Centro radiologico convenuto si costituiva contestando la fondatezza della domanda attorea, convenendo, a sua volta, in giudizio il Dott. D.P.V., specialista radiologo che operava presso lo stesso Centro, al fine di accertarne l’esclusiva responsabilità dei danni lamentati dalla S..

Nelle more parte attrice decedeva, quindi il giudizio veniva riassunto dagli eredi.

Con sentenza del 23 marzo 2001, il Tribunale accoglieva la domanda attorea, condannando in solido il centro sanitario e il Dott. D.P. al risarcimento dei danni.

2. D.P.V. e il Centro Radiologico proponevano separati appelli avverso la pronuncia di primo grado. Con sentenza 12376/2008, la Corte d’Appello di Roma riformava integralmente la sentenza di prime cure, rigettando la pretesa risarcitoria degli eredi della S., motivando sulla base della circostanza per cui non era stato possibile accertare se il comportamento colposo del medico radiologo avesse inciso sull’esito della malattia. La Corte rigettava altresì la domanda di manleva prodotta dal Centro radiologico nei confronti del sanitario.

Parte soccombente proponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia d’appello.

Con sentenza 11363/2014, i Giudici di legittimità accoglievano il ricorso, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, secondo l’indirizzo giurisprudenziale per il quale l’irrilevanza causale dell’inadempienza professionale sul prodursi dell’evento doveva essere provata dal medico, in quanto debitore della prestazione diagnostica.

2.1. Con sentenza 981/2017, del 14/02/2017, la Corte territoriale romana rigettava l’appello del Dott. D.P. e del Centro radiologico, ritenendo il rapporto tra medico e cliente regolato dalle disposizioni vigenti in materia di responsabilità contrattuale, ricadendo così sul debitore l’onere di provare l’impossibilità di muovergli rimproveri per negligenza o imperizia, o l’irrilevanza causale del suo inesatto adempimento sulla produzione del danno. Conclusivamente, la Corte osservava che la prova del nesso nel campo della responsabilità sanitaria non fosse sorretta da criteri di certezza assoluta, bensì dalla logica della probabilità relativa.

3. Avverso tale sentenza D.P.V. propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi.

3.1. C., A. ed P.E. resistono con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione della L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 3, avendo errato la Corte nel qualificare come contrattuale la responsabilità del medico, ed in secondo luogo per aver ritenuto provato il nesso causale sulla base della semplice probabilità relativa.

6.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 2236 c.c. Si assume l’errore della Corte nel non avere contemplato la possibilità di applicare al caso sottoposto al suo vaglio l’art. 2236 c.c., che esclude ogni responsabilità del professionista quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di specifiche difficoltà.

6.3. Con la terza censura, il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, avendo la Corte errato nel ritenere che le conclusioni delle relazioni peritali eseguite nei due gradi del giudizio non fossero contrastanti.

6.4. Con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo che aveva formato oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’esame radiologico al quale la paziente si era sottoposta.

7. I motivi di ricorso sono tutti inammissibili.

La prima censura è inammissibile, avendo prospettato la violazione di una norma, la L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 3, non ancora in vigore al momento della pronuncia della sentenza impugnata e quindi non applicabile al caso di specie.

Parimenti inammissibile è la seconda censura, con la quale parte ricorrente pone una questione nuova. Difatti in seno al ricorso:

a) non si rinviene alcun riferimento al contenuto e al tenore della domanda; b) non vi è cenno alcuno al contenuto delle difese avversarie e delle conseguenti contestazioni; c) nulla si dice sul tenore della sentenza di primo grado, sui motivi di appello ed infine sulle ragioni della decisione.

Con il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso, il ricorrente si duole dell’omesso esame della corretta motivazione delle consulenze d’ufficio e dell’esame radiologico eseguito dalla paziente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Entrambe le doglianze sono inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 in quanto non riporta i passi della CTU che contesta. Invero l’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, richiede la precisa indicazione delle carenze argomentative sulle quali si fonda il capo di sentenza specificamente censurato, ovvero la specifica illogicità dell’iter motivazionale sviluppato dal Giudice di merito.

Nella formulazione delle doglianze parte ricorrente contravviene al principio di autosufficienza, operando un generico rinvio alle consulenze svolte nei gradi di merito e censurando altrettanto genericamente la pronuncia d’appello, senza tuttavia indicare con precisione l’argomentazione assunta illogica e carente.

Il motivo di ricorso è altresì inammissibile a fronte della sua sottesa richiesta di una nuova valutazione del merito dei fatti oggetto di lite, che si desume dalle critiche mosse da parte ricorrente all’assunta erronea interpretazione degli elementi di prova acquisiti al giudizio.

Al riguardo si rammenta che, come più volte ribadito dalla Giurisprudenza di questa Corte, il sindacato di legittimità della motivazione è ridotto al minimo costituzionale (Cass., Sez. 16502/2017), quindi limitato alla verifica della correttezza logico-formale e giuridica della valutazione operata dal giudice di merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento.

8. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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