Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25143 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32054/2019 proposto da:

M.S., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to

Giuseppe Mariani, (avv.marianigiuseppe.pec.it), con studio in Muro

Lucano via Sopra Maddalena n. 4, giusta procura speciale allegata al

ricorso, e domiciliato in Roma piazza Cavour presso la cancelleria

civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2014/2019 dei Tribunale di Caltanissetta

depositata il 13.09.2019

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15.07.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. M.S., proveniente dal (OMISSIS), ricorre affidandosi a tre motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Caltanissetta che aveva respinto il ricorso da lui proposto avverso il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale alla quale aveva domandato il riconoscimento della protezione internazionale nella forma della protezione sussidiaria nonchè, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito per ragioni politiche, essendo appartenente al partito (OMISSIS): ha raccontato, al riguardo, che il sindaco del proprio paese, membro del partito di opposto orientamento, lo aveva ingiustamente accusato di aver ucciso il cugino per vendicarsi del fatto che non gli aveva venduto “la sua proprietà”.

2.1. Ha affermato, altresì, che la fuga era stata determinata anche dalla comprovata situazione di povertà ivi esistente, determinata dalle calamità naturali che ricorrentemente si abbattevano sul paese.

3. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3,10,24,111 e 117 Cost. e denuncia la violazione del diritto di difesa e dell’art. 6 della CEDU.

1.1 Assume, al riguardo, che a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 46 del 2017, era stato introdotto, nella materia della protezione internazionale, il rito camerale il quale, fondato su un modello processuale sconosciuto nel sistema interno per la tutela dei diritti soggettivi e fondamentali della persona, non forniva le necessarie garanzie in relazione alla formazione della prova ed aveva pregiudicato il diritto di difesa dei richiedenti asilo, tenuto anche conto che l’audizione personale dinanzi al giudice, era prevista soltanto in via eventuale.

1.2. A ciò doveva aggiungersi l’ulteriore limitazione derivante dalla eliminazione del grado d’appello che, associata al rito prescelto, rappresentava una irrazionale riduzione delle tutele che dovevano essere garantite, tale da far emergere, in relazione ad entrambi i profili critici, i presupposti della non manifesta infondatezza della questione di legittimità Costituzionale che viene sollevata.

2. Con il secondo motivo, articolato in tre censure, deduce, ancora, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,7,14,16 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 10 e 32 Cost..

2.1 Lamenta l’apodittica valutazione di inattendibilità del proprio racconto, nonchè l’omessa acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine rispetto alle quali non era stato svolto alcun approfondimento, con specifico riferimento alla situazione di violenza indiscriminata e di assenza di controllo e di intervento da parte dei poteri statali.

3. Con il terzo motivo, infine, deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al diniego della protezione umanitaria.

3.1 Assume, al riguardo, che l’apodittica negazione di tale forma residuale di protezione era fondata su affermazioni generali e prive della necessaria valutazione comparativa fra il livello di integrazione raggiunto e la riduzione dei diritti fondamentali che, in caso di rimpatrio, egli avrebbe subito nel paese di origine, diritti fra i quali, doveva ricomprendersi anche quello alla salute, del tutto svalutato dal Tribunale in relazione alla dedotta povertà inemendabile causata anche dalle catastrofi climatiche che si abbattevano sul paese di origine.

4. Tanto premesso, si osserva quanto segue.

4.1 Il primo motivo – con il quale si prospetta la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 6, comma 13, conv. nella L. n. 46 del 2017, in relazione alla duplice questione concernente l’introduzione del rito camerale e l’abolizione del grado d’appello – è infondato.

4.2. Entrambi i profili critici, infatti, sono già stati scrutinati e ritenuti manifestamente infondati da questa Corte (cfr. Cass. 17717/2018; Cass. 27700/2018; Cass. 28119/2019) con argomentazioni che il Collegio condivide e che sono trasponibili al caso in esame: non essendo rilevabili ragioni ulteriori e diverse da quelle già esaminate nelle pronunce sopra riportate, anche in questa sede le questioni devono ritenersi prive di manifesta fondatezza e quindi devono essere rigettate.

5. Il secondo motivo è inammissibile.

5.1 Il ricorrente fonda la seconda censura riguardante letteralmente “la valutazione della scarsa credibilità rispetto ai fatti narrati”, e “la valutazione della credibilità del narrato” su una erronea ratio decidendi del provvedimento impugnato: il Tribunale, infatti, non ha mai messo espressamente in discussione i fatti narrati dal ricorrente, statuendo piuttosto che gli stessi e la complessiva situazione narrata non potessero essere ricondotti ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria.

5.2 Pertanto, i rilievi operati con riferimento alla carenza di credibilità (che si riferiscono all’omessa osservanza della “griglia valutativa” fissata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5) non colgono nel segno, in quanto indiscussi i fatti raccontati, il Tribunale – sottolineando che il ricorrente aveva già ottenuto un diniego della domanda da parte della Commissione territoriale nel 2015, confermato sia in primo che in secondo grado dai giudici di Caltanissetta nel 2016, e che il ricorrente non era comparso all’udienza fissata, non compiendo alcun ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (cfr. pag. 2 rigo 17 e 18 del decreto impugnato) – si è limitato ad affermare che la situazione rappresentata non poteva configurare nè il rischio di subire un danno grave nè trattamenti inumani e degradanti, escludendo, altresì, sulla base di fonti informative ufficiali ed aggiornate (rapporto EASO del 2017: cfr. pag. 2 u. rigo e pag. 3 primo cpv. della sentenza) che potesse ricorrere una situazione di conflitto armato interno così come definito dalla Corte di Giustizia (cfr. al riguardo, Corte di Giustizia 30.1.2014, C-285/12, Diatikè; Cass. 9090/2019).

5.3 Rispetto a tale statuizione, da una parte risulta del tutto inconducente la censura riferita alla sua credibilità che non è stata mai messa in discussione; e, dall’altra, non sono state contrapposte dal ricorrente fonti informative diverse da quelle utilizzate in base alle quali possa emergere un quadro sociopolitico caratterizzato da fatti riconducibili all’ipotesi di cui D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. in termini Cass. 29056/2019).

6. Il terzo motivo, invece, è fondato.

6.1 La censura prospetta una assoluta assenza di valutazione, ai fini del riconoscimento della residuale protezione umanitaria, del livello di integrazione raggiunto dal richiedente, in comparazione con le condizioni, anche climatiche, del paese di origine caratterizzate da frequenti calamità naturali, ridondanti sul fondamentale diritto alla salute.

6.2 La motivazione del diniego della protezione “minore” invocata, infatti, sì fonda sulla scarna affermazione del Tribunale secondo cui:

a. non era stata esposta dal ricorrente alcuna condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani, tale da giustificare il suo allontanamento dal paese di origine;

b. risultava priva di autonomo rilievo la circostanza concernente lo svolgimento di un’attività lavorativa in Italia, pur se in atti documentata;

c. le nuove circostanze addotte dalla parte non rilevavano ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno temporaneo per esigenze di carattere umanitario e che nell’area di provenienza del ricorrente non esisteva una condizione qualificabile come calamità naturale.”

6.3. Deve premettersi che la censura è stata declinata con riferimento al vizio di cui all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, anche sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: tuttavia la complessiva parte argomentativa di essa, riferita alla motivazione apparente in ordine al giudizio di comparazione fra l’integrazione raggiunta e la situazione di violazione dei diritti fondamentali che il ricorrente potrebbe subire ove fosse rimpatriato, impone una riqualificazione del motivo con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in linea il principio ormai consolidato, affermato da questa Corte secondo cui “ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell'”error in procedendo”, di cui del citato art. 360 c.p.c., n. 4″ (cfr. al riguardo Cass. 1370/2013; Cass. 24553/2013 e Cass. 23381/2017; Cass. SUU 17931/2013; Cass. 4036/2014; Cass. 26310/2017) Ciò consente alla Corte di ricondurre la censura proposta nell’alveo dell’art. 360, n. 4, concernente le ipotesi di nullità della sentenza, fra le quali devono essere ricomprese quelle riferibili ad una motivazione inesistente, resa, cioè, attraverso una mera apparenza argomentativa.

6.4. Tanto premesso, come si è preannunciato, il motivo è fondato.

6.5. Deve, al riguardo, richiamarsi preliminarmente l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha affermato, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, che “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. 9105/2017): nel caso in esame si rileva che il diniego della protezione umanitaria risulta apodittico, posto che è sguarnito di argomentazioni sufficientemente specifiche rispetto alla vulnerabilità denunciata, fondata principalmente sulla provenienza da una condizione di povertà inemendabile, determinata dalle condizioni climatiche del paese di origine alle quali la domanda di protezione umanitaria è riferita (cfr. da ultimo Cass. 2563/2020 che ha condivisibilmente affermato che “In tema di protezione internazionale, ove il richiedente il permesso di soggiorno per motivi umanitari affermi di essere emigrato a seguito di eventi calamitosi verificatisi nel paese di origine, occorre tener conto che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 20 bis, introdotto dal D.L. n. 113 del 2018, conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2018, ancorchè non applicabile “ratione temporis”, ha espressamente previsto un particolare permesso di soggiorno da concedersi quando nel paese di origine dello straniero vi sia una situazione di contingente ed eccezionale calamità, così tipizzando una condizione di vulnerabilità già tutelabile ne consegue che ai fini della valutazione della vulnerabilità del richiedente, deve ritenersi rilevante anche la sussistenza della menzionata situazione di calamità”).

6.6. A ciò si aggiunge che nessun giudizio di comparazione è stato espresso neanche in relazione all’integrazione raggiunta dal ricorrente ed attestata dalla documentazione prodotta sull’attività lavorativa in ordine alla quale il Tribunale non rende alcuna motivazione (cfr. pag. 2 terzo cpv. del decreto impugnato).

6.7. Risulta pertanto del tutto assente il giudizio di comparazione secondo il paradigma postulato dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. 4455/2018; Cass. SUU 29459/2019).

7. Il ricorso deve dunque essere accolto sulla base del seguente principio di diritto: “in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale.

A tal fine il giudice di merito deve osservare il seguente percorso argomentativo:

a. non può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano.

b. le relative basi normative sono “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria “a clausola generale di sistema”, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

c. deve essere, assegnato rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale, fra i quali deve ricombrendersi, anche in relazione alle condizioni climatiche, il fondamentale diritto alla salute”.

8. Il decreto, pertanto, deve essere cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Caltanissetta in diversa composizione per il riesame della controversia, in parte qua, alla luce del principio di diritto sopra evidenziato.

Il Tribunale provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il secondo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Caltanissetta in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

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