Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25142 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.24/10/2017),  n. 25142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antoni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27016-2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.M., F.P.;

– intimati –

Nonchè da:

L.M., F.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GUIDO ALFANI 29, presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO PANETTA,

rappresentati e difesi dall’avvocato FABIO MASSIMO FAUGNO, giusta

delega in atti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4349/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/05/2012 R.G.N. 6922/10.

Fatto

RILEVATO

1. che la Corte di appello di Roma, pronunziando sull’impugnazione proposta da F.M., L.M. e F.P., originari ricorrenti, ha respinto la domanda di F.M.; in riforma della decisione di primo grado, ha accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra Poste Italiane s.p.a. e F.P. e tra Poste Italiane s.p.a. e L.M., rispettivamente con decorrenza dal 2.11.1999 e dal 17.10.2000; ha condannato la società alla riammissione in servizio dei lavoratori ed al pagamento in favore di L.M. e F.P. dell’indennità omnicomprensiva di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 quantificata, per ciascuno, nella misura di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;

1.1. che, per quel che ancora rileva, il giudice di appello, escluso che i rapporti della F. e del L., instaurati con la società Poste sulla base di contratti a termine stipulati ex art. 8 ccnl 16.11.1994., si fossero estinti per mutuo consenso, ha affermato la illegittimità del termine apposto al contratto stipulato dal L. in relazione al periodo 17.10.2000/31.1.2002 e dalla F. in relazione al periodo dal 22.11.1999/29.2.2000, sul rilievo del venir meno, all’epoca, della relativa fattispecie autorizzatoria, negoziata dalle parti collettive ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23; in merito alle conseguenze economiche scaturenti dalla illegittima apposizione del termine, ritenuto applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 considerata, da un lato, la unicità del contratto e la sua breve durata e, dall’altro, il consistente protrarsi dell’inadempimento datoriale, pur in presenza di contrari orientamenti di legittimità consolidatisi a partire dall’anno 2005, ha ritenuto di quantificare in quattro mensilità della retribuzione globale di fatto la indennità risarcitoria di cui al comma 5, art. 32 L. cit.;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di due motivi;

3. che gli intimati si sono costituiti con tempestivo controricorso con il quale hanno formulato ricorso incidentale (tardivo affidato ad un unico motivo;

4. che la società ha depositato controricorso avverso ricorso incidentale;

5. che Poste Italiane s.p.a. ha depositato atto di rinunzia al ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. che l’atto di rinunzia di Poste Italiane s.p.a. è stato ritualmente notificato a controparte;

1.1. che a tanto consegue, ai sensi dell’art. 391 c.p.c., la declaratoria di estinzione del giudizio relativamente al ricorso per cassazione proposto dalla società Poste;

2. che, infatti, in tema di ricorso per cassazione, la norma dell’art. 334 c.p.c., comma 2, – secondo cui, ove l’impugnazione principale sia dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale tardiva perde efficacia – non trova applicazione nell’ipotesi di rinuncia all’impugnazione principale, (,Cass. Sezioni Unite 19/04/2011 n. 8925), conseguendone la necessità di decisione nel merito del ricorso incidentale;

3. che con l’unico motivo di ricorso incidentale i lavoratori hanno dedotto violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 in relazione agli artt. 1174, 1225, 1227 nonchè omessa, insufficiente e motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Hanno sostenuto che la previsione dell’art. 32 cit., comma 5 in tema di indennità risarcitoria, si poneva in contrasto con superiori principi costituzionali e con la normativa europea e che, quale ius superveniens, la previsione era applicabile ai soli giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, ed era, comunque, aggiuntiva rispetto al risarcimento del danno determinato secondo gli ordinari criteri;

3.1. che il motivo è infondato;

3.2. che questa Corte ha già risolto i dubbi di compatibilità della normativa richiamata con i principi costituzionali e sovranazionali. Nella sentenza 09/01/2015 n. 151 ha, infatti, ribadito, richiamando i precedenti arresti 6/2/2014 n. 2760 e 17/7/2014 n. 16420, che deve escludersi che la l’indennità di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5 e 7, come disciplinata dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 13, con norma di interpretazione autentica di portata retroattiva abbia (irragionevolmente) disposto di diritti retributivi e previdenziali, di rilievo costituzionale, già entrati nel patrimonio del lavoratore (essendo tale efficacia retroattiva limitata a quelle situazioni in cui, in ordine ai diritti derivanti al lavoratore dalla nullità della clausola di apposizione del termine – con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato -non si è ancora formato il giudicato);

3.3. che è stato altresì ivi evidenziato che la norma interpretativa non ha inteso realizzare una illecita ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia, allo scopo d’influenzare la risoluzione di controversie, posto che, in realtà, ha fatto propria una soluzione già adottata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. ex plurimis, Corte cost. n. 257/2011);

3.4. che la stessa norma interpretativa, inoltre, costituisce disposizione di carattere generale, che, al pari di quelle di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, non favorisce selettivamente lo Stato o altro ente pubblico (o in mano pubblica), perchè le controversie su cui essa è destinata ad incidere non hanno specificamente ad oggetto i rapporti di lavoro precario alle dipendenze di soggetti pubblici, ma tutti i rapporti di lavoro subordinato a termine;che si è poi aggiunto (cfr. Cass. 14 ottobre 2014 n. 21701 e 09/01/2015 n.151, già cit.), che neppure è fondata la questione di verifica della conformità del citato art. 32 (come autenticamente interpretato) alla Direttiva CE n. 70/99 (clausola 4 punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e clausola 8 punto 1), in quanto si tratterebbe di norma capace di determinare una drastica riduzione (rispetto alla normativa previgente) dell’indennità risarcitoria nei casi di conversione del rapporto laddove la lettura combinata delle indicate clausole legittimerebbe, per i lavoratori che si trovino in situazioni comparabili, solo la possibilità di introdurre disposizioni più favorevoli. Si è infatti osservato che la Corte di Giustizia, con la sentenza Carratù, richiamata dalla stessa ricorrente incidentale, ha innanzitutto precisato che la scelta dello Stato italiano di prevedere, per l’ipotesi dei contratto a termine illegittimo, un regime risarcitorio diverso e meno favorevole rispetto a quello applicato in caso di licenziamento illegittimo, non contrasta con il diritto comunitario. Inoltre, con l’art. 32, il legislatore non ha stabilito una parametrazione del risarcimento in misura diversa ed inferiore rispetto ad analoga parametrazione del sistema previgente, tale da consentire un raffronto teorico ai fini di una valutazione in termini di drastica riduzione. Prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, infatti, in relazione alla scadenza,del contratto a termine operavano le sanzioni tipiche previste dall’ordinamento che si ricollegano all’applicazione delle regole generali civilistiche collegate alla nullità della clausola appositiva del termine, alla conversione del rapporto ex tunc in rapporto a tempo indeterminato ed alla mora del datore di lavoro. L’introduzione di una indennità comunque dovuta a prescindere da un danno effettivo ed i cui limiti sono stati parametrati dal legislatore tra un minimo ed un massimo (tenendo conto del vantaggio per il lavoratore derivante dal mantenimento della regola di “conversione”), non è, dunque, automaticamente ovvero necessariamente meno favorevole rispetto ad un sistema in cui la liquidazione del risarcimento andava effettuata caso per caso dal giudice, anche mediante il ricorso a presunzioni semplici sull’aliunde perceptum e percipiendum. Nella successiva sentenza n. 16545 del 05/08/2016, si è poi escluso che la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, della come autenticamente interpretato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13, contrasti con la giurisprudenza della Corte EDU (e segnatamente con la sentenza 7 giugno 2011, in causa Agrati ed altri contro Italia) in quanto essa è giustificata da ragioni di “pubblica utilità”, suscettibili di legittimare limitazioni al diritto di proprietà, la cui valutazione compete, prioritariamente, alle autorità nazionali, che vantano una posizione migliore rispetto alle autorità giurisdizionali internazionali, tanto più che, riguardando non un diritto già attuale ed esigibile, ma soltanto una “legittima speranza” di ottenere il pagamento delle somme controverse, essa assolve, in linea con quanto affermato da Corte cost. n. 303 del 2011, una finalità perequativa di semplificazione e certezza applicativa di interesse generale;

3.5. che, in continuità con precedenti arresti di questa Corte, deve essere affermata la applicabilità dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della norma, ivi compreso quelli di legittimità (Cass. 09/08/2013 n. 19098, Cass. 29/02/2012 n. 3056″ Cass. 05/06/2012 n. 90239);

4. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso incidentale deve essere respinto;

5. che atteso l’esito complessivo della lite le spese del giudizio sono compensate.

PQM

La Corte dichiara estinto il giudizio relativamente al ricorso di Poste Italiane s.p.a.; rigetta il ricorso di F.P. e L.M.. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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