Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25140 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/10/2017, (ud. 24/05/2017, dep.24/10/2017),  n. 25140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14546-2011 proposto da:

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, LUIGI

GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VICOLO DE’

BURRO’ 165, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PELAGGI, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 392/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/05/2010, R. G. N. 790/2008.

Fatto

RILEVATO

CHE:

con sentenza resa pubblica il 27/5/2010, la Corte d’Appello di Milano, confermava la decisione resa dal Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato illegittimo il termine apposto al contratto di lavoro temporaneo stipulato ai sensi della L. n. 196 del 1997, con instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra Z.V. e l’impresa utilizzatrice Autostrade per l’Italia Spa, a decorrere dal 1 luglio 2002, e con condanna della società alla riammissione in servizio del lavoratore ed alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla messa in mora sino al ripristino del rapporto; per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a sette motivi illustrati da memoria cui resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. preliminarmente va rigettata l’eccezione sollevata dalla parte resistente d’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 bis c.p.c.;

ratione temporis è infatti applicabile la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) che ha abrogato il precitato art. 366 bis c.p.c., trovando tale norma, ai sensi della predetta L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, applicazione relativamente alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato, come nella specie, successivamente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della stessa L. n. 69 del 2009 (vedi Cass. 24/3/2010 n. 7119, Cass. 7/11/2013 n. 25058);

2. con il primo motivo di ricorso la società, prospettando vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che la Corte del merito, non abbia esaminato la istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti della società fornitrice Adecco;

il motivo è infondato;

valgono al riguardo i principi affermati da questa Corte in tema di interposizione fittizia di manodopera, in base ai quali deve escludersi la necessità dell’estensione del contraddittorio all’appaltatore (soggetto interposto), ai sensi dell’art. 102 c.p.c., in tal caso, infatti, il lavoratore, agendo in giudizio, afferma l’esistenza di un rapporto con un certo datore di lavoro e ne nega uno diverso con altro soggetto, senza dedurre alcun rapporto plurisoggettivo nè alcuna situazione di contitolarità, mentre l’accertamento negativo del rapporto fittizio con il datore di lavoro interposto costituisce oggetto di questione pregiudiziale, conosciuta dal giudice in via soltanto incidentale, ovvero senza vincolare il terzo attraverso la cosa giudicata e senza alcuna lesione del suo diritto di difesa (vedi Cass. Sez. U.22/10/2002 n.14897, Cass. 29/7/2009 n. 17643);

3. i motivi secondo, terzo e quarto, congiuntamente esaminabili perchè censurano sotto vari profili la sentenza impugnata nella parte in cui ha disconosciuto lo scioglimento del contratto per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 c.c., non possono trovare accoglimento in quanto la Corte territoriale si è uniformata al principio dell’inidoneità del solo decorso del tempo, in assenza di circostanze ritenute significative di una chiara e comune volontà delle parti contraenti, a porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (tra le altre: Cass. 28/1/2014 n. 1780; Cass.1/7/2015 n.13535), trattandosi comunque di valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. SS.UU. 27/10/2016 n.21691, in motivazione, punto 57; Cass. 13/2/2015 n.2906) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono – come nella specie – vizi logici o errori di diritto (Cass. 4/8/2011 n. 16932);

4. con la quinta e la sesta critica la società ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione per non avere il giudice del merito limitato il campo di indagine alla verifica se il lavoratore era stato addetto alla sostituzione di lavoratori in ferie nell’arco temporale previsto dal contratto collettivo, e non aver consentito alla società di assolvere l’onere della prova sulla medesima gravante;

5. tali motivi possono essere scrutinati per reciproca connessione in quanto attingono la fondamentale ratio decidendi posta alla base della sentenza impugnata, secondo cui la società non ha fornito in giudizio adeguata prova della ricorrenza delle condizioni che giustificavano l’apposizione della causale al contratto per il ricorso al lavoro interinale in ragione dell’espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie;

essi non possono trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte in controversie analogh’e (vedi in motivazione, Cass. 9/9/2015 n. 17836, conf. Cass. 26/7/2016 n. 15447) e che vanno qui ribadite;

infatti la prova della effettività della causale posta a base dell’impiego del lavoratore temporaneo non poteva che ricadere sull’utilizzatrice che aveva inteso avvalersene, trattandosi di un elemento imprescindibile ai fini della verifica della legittimità del contratto interinale;

l’accertamento in fatto della ricorrenza delle condizioni che giustificavano il ricorso al lavoro temporaneo, attraverso la valutazione e l’apprezzamento del complessivo materiale probatorio acquisito al giudizio, appartiene alla competenza esclusiva del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità laddove non emerga – come nella specie non emerge – un vizio motivazionale concernente un fatto decisivo che se fosse stato diversamente valutato avrebbe condotto, con grado di certezza e non di mera probabilità, ad un opposto esito della lite;

6. invece deve essere accolto l’ultimo motivo di ricorso con cui si invoca la L. n. 183 del 2010, art. 32 quale ius superveniens applicabile a tutti i giudizi pendenti all’entrata in vigore della legge (v. fra le altre in motivazione, Cass.12/8/2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati) anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l’accertamento della nullità di un contratto di lavoro temporaneo con conversione in rapporto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione (per tutte v. Cass. 23/4/2015 n. 8286, Cass. 26/4/2017 n.10317);

le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. 27/10/2016 n. 21691, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”;

7. pertanto, respinto ogni altro motivo di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. 10/7/2015 n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. 17/2/2016 n.3062), provvedendo altresì alle spese del giudizio;

PQM

la Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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