Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25140 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. II, 08/10/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 08/10/2019), n.25140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 23452 – 2015 R.G. proposto da:

P.S., – c.f. (OMISSIS) – M.G., – c.f. (OMISSIS) –

elettivamente domiciliate in Roma, al viale Parioli, n. 79/H, presso

lo studio dell’avvocato Pio Corti che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato Felice Brusatori le rappresenta e

difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) s.r.l., – p.i.v.a. (OMISSIS)/c.f. (OMISSIS) – in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, alla via Attilio Regolo, n. 12/D, presso lo studio

dell’avvocato Italo Castaldi che disgiuntamente e congiuntamente

all’avvocato Giuseppe Marelli la rappresenta e difende in virtù di

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Milano n. 2723 dei

10.6/10.7.2014;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 10

aprile 2019 dal consigliere Dott. Abete Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’avvocato Italo Castaldi per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato il 13.12.2006 la “(OMISSIS)” s.r.l. – già dichiarata fallita dal tribunale di Milano (con sentenza dei 23/27.11.2000) ed il cui concordato fallimentare, omologato con sentenza (poi definitiva) n. 161/2005, contemplante il pagamento dei chirografari al 30%, era stato acclarato di completa esecuzione con decreto dell’11.1.2006 – citava a comparire dinanzi al tribunale di Busto Arsizio P.S. e M.G..

Esponeva che in virtù di atto pubblico e di successivo atto interpretativo, siglati con il Comune di Gallarate, rispettivamente, in data 28.12.1988 ed in data 30.12.1992, aveva acquisito il diritto di superficie con riferimento a n. 27 “boxes – auto” ed a n. 14 “posti – auto” all’interno dell’autosilos ubicato al (OMISSIS) del Comune di Gallarate.

Esponeva che con atto del 31.3.1989 aveva promesso di cedere e vendere alle convenute, che avevano a loro volta promesso di acquistare, il diritto d’uso, per ottant’anni dalla consegna e per il prezzo di lire 22.000.000, oltre i.v.a., del “box – auto” collocato al 2 piano dell’autosilos, identificato come “B29”.

Esponeva che, nell’ambito di pregresso giudizio nei suoi confronti promosso dalle – tra gli altri – convenute, il tribunale di Busto Arsizio con sentenza n. 1088/1994 aveva respinto la domanda della P. e della M. diretta ad ottenere il trasferimento ex art. 2932 c.c. del diritto d’uso del “box – auto” “B29” ed, in grado d’appello, la corte di Milano con sentenza n. 2597/1998 – poi passata in giudicato – aveva rilevato la nullità dei preliminari tutti da essa s.r.l. siglati con riferimento ai “boxes – auto” ed ai “posti – auto” all’interno dell’autosilos al (OMISSIS) di Gallarate.

Esponeva che le convenute, in dipendenza della nullità del preliminare stipulato il 31.3.1989, occupavano senza titolo a far data dal 15.12.1990 il “box – auto” “B29” nè avevano provveduto a rimborsarle le spese di gestione.

Chiedeva condannarsi le convenute all’immediato rilascio del “box – auto” “B29”, al pagamento della somma di Euro 5.397,09 ovvero della diversa somma ritenuta congrua quale rimborso delle spese di gestione, al pagamento della somma di Euro 13.230,00 ovvero della diversa somma ritenuta congrua quale indennità per l’occupazione senza titolo.

Si costituivano P.S. e M.G..

Instavano per il rigetto dell’avversa domanda. In via riconvenzionale, previo accertamento della validità ed efficacia del preliminare del 31.3.1989 ovvero previa sua conversione ex art. 1424 c.c., chiedevano pronunciarsi sentenza ex art. 2932 c.c. idonea a trasferir loro il diritto di superficie relativamente al “box – auto” “B29”; in via riconvenzionale subordinata chiedevano condannarsi la s.r.l. attrice a restituire loro la somma di Euro 20.141,82, pari al doppio della caparra versata.

Assunta la prova per testimoni, espletata c.t.u., con sentenza n. 207/2009 l’adito tribunale, in dipendenza della nullità del preliminare del 31.3.1989, quale acclarata con sentenza n. 2597/1998 dalla corte di Milano, condannava le convenute alla restituzione del “box – auto” “B29” nonchè a corrispondere alla società attrice la somma di Euro 14.946,92, oltre interessi, a titolo di indennità di occupazione; condannava la società attrice a corrispondere alle convenute la somma di Euro 10.070,91, oltre interessi.

Proponeva appello la “(OMISSIS)” s.r.l.

Resistevano P.S. e M.G.; esperivano appello incidentale.

Con sentenza n. 2723 dei 10.6/10.7.2014 la corte d’appello di Milano, in parziale riforma della gravata sentenza, in ogni altra parte confermata, condannava le appellate a corrispondere all’appellante la somma di Euro 15.598,23 (in luogo della somma di Euro 14.946,92), oltre rivalutazione monetaria ed interessi, condannava l’appellante a corrispondere alle appellate la somma di Euro 3.021,27, oltre interessi; compensava fino a concorrenza di 1/3 le spese del doppio grado e condannava le appellate a rimborsare a controparte i residui 2/3.

Evidenziava – la corte – in ordine al primo motivo dell’appello principale, che, ferma la prescrizione decennale correttamente applicata dal primo giudice, alla “(OMISSIS)” era da riconoscere, a titolo di indennità di occupazione sine titulo, l’ulteriore importo di Euro 651,31 con riferimento al periodo temporale compreso tra il 15 marzo 1996 e novembre 1996.

Evidenziava, in ordine al secondo motivo dell’appello principale, con cui la “(OMISSIS)” a censura del primo dictum aveva invocato l’assoggettamento alla falcidia concordataria L. Fall., ex art. 135 della pretesa delle controparti alla restituzione della caparra, che la relativa domanda doveva reputarsi formulata tempestivamente, siccome proposta con memoria depositata in data 11.6.2007 nei termini fissati dal primo giudice; che di conseguenza il debito restitutorio della s.r.l. appellante era eguale alla minor somma di Euro 3.021,27.

Evidenziava, in ordine al primo motivo dell’appello incidentale, che alla stregua delle testuali espressioni di cui alla motivazione ed al dispositivo della sentenza n. 2597/1998 della corte d’appello di Milano, tal ultima statuizione esplicava valenza di giudicato “esterno” in ordine al profilo della nullità del contratto preliminare del 31.3.1989.

Evidenziava, in ordine al secondo motivo dell’appello incidentale, che il conseguimento della disponibilità del “box – auto” da parte delle appellate doveva reputarsi pacifico sia alla luce delle dichiarazioni rese dai testi C.P. e G.M. sia alla luce dell’implicita ammissione desumibile dalla missiva datata 25.6.1997.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso P.S. e M.G.; ne hanno chiesto sulla scorta di sei motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

La “(OMISSIS)” s.r.l. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi improcedibile, inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.

La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5 la violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 e 2909 c.c. nonchè degli artt. 112,183,324 e 329 c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo, l’omessa, erronea e/o contraddittoria motivazione, il travisamento dei fatti.

Deducono che la corte d’appello e prima ancora il tribunale di Busto Arsizio hanno ritenuto, con riferimento al preliminare del 31.3.1989, sussistente ed operativa una nullità giammai dichiarata da alcuna pronuncia passata in giudicato, oggetto al più di accertamento incidentale con effetti circoscritti al procedimento definito dalla corte d’appello di Milano con la sentenza n. 2597/1998, addotta e prospettata dalla “(OMISSIS)” con tardiva memoria ex art. 183 c.p.c..

Deducono che la corte d’appello non ha valutato l’eccepita carenza di legittimazione attiva della “(OMISSIS)”, nè ha vagliato la documentazione allegata e rilevante a tal proposito, siccome idonea ad individuare nella “Car Service s.a.s. di R.A. & C.” la titolare dei rapporti aventi ad oggetto i “boxes – auto” ed i “posti – auto” sia nei confronti del Comune di Gallarate sia nei confronti dei promissari acquirenti.

Deducono che la corte d’appello avrebbe dovuto viceversa, con riferimento alla domanda di rilascio esperita dalla “(OMISSIS)”, rilevare quale unica preclusione da giudicato quella scaturente dal rigetto della domanda di risoluzione del preliminare esperita dalla stessa “(OMISSIS)”.

Deducono che la corte d’appello avrebbe dovuto d’altro canto, in dipendenza della nullità del preliminare del 31.3.1989, dichiarare la nullità dell’atto pubblico in data 28.12.1988 e dell’atto interpretativo in data 30.12.1992 siglati dalla “(OMISSIS)” con il Comune di Gallarate.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, l’omesso esame di fatto decisivo.

Deducono che, contrariamente all’assunto della corte di merito, controparte ha invocato la falcidia concordataria tardivamente, con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, in data 8.6.2007.

Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5 la violazione degli artt. 1224,2033,2037,2038 e 2697 c.c. nonchè degli artt. 112 e 116 c.p.c., l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione, la carenza di prova.

Deducono che la corte distrettuale, allorchè ha pronunciato condanna alla restituzione del “box – auto” ed alla corresponsione dell’indennità di occupazione, ha erroneamente valutato gli esiti delle prove orali e documentali, facendo “un cattivo uso del suo prudente apprezzamento sulla valutazione delle prove” (così ricorso, pag. 66).

Deducono al contempo che la corte distrettuale ha avallato “l’errato criterio adottato dal c.t.u. ai fini del calcolo della pretesa indennità” (così ricorso, pag. 67).

Deducono in particolare che la corte distrettuale ha fatto proprio l’ingiustificato ricorso – da parte del c.t.u. – ai valori di locazione del “box – auto”, ancorchè le parti avessero concordato il prezzo della fruizione del “box – auto” per la durata di ottant’anni in misura pari a lire 19.500.000 (cfr. ricorso, pag. 76).

Con il quarto motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 la violazione, falsa ed errata applicazione degli artt. 1422,1424 e 2932 c.c. nonchè dell’art. 112 c.p.c., l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione, il travisamento dei fatti.

Deducono che ha errato la corte territoriale a non dar seguito all’invocata – in via subordinata – conversione, sub specie di preliminare di trasferimento del diritto di superficie, del preliminare siglato in data 31.3.1989.

Deducono segnatamente che della sollecitata conversione ne sussistono i presupposti, tanto più che la reale e concreta volontà delle parti, quale manifestatasi mercè la stipula del preliminare del 31.3.1989, “conduce inevitabilmente ad affermare che il diritto che ne aveva costituito oggetto e che queste ultime hanno inteso trasferire è esattamente un diritto di superficie, (…) solo erroneamente qualificato diritto d’uso” (così ricorso, pag. 83), “il tutto coerentemente anche con gli impegni assunti dalla (OMISSIS) s.r.l. col Comune di Gallarate (…) a seguito dell’atto interpretativo del 30/12/92” (così ricorso, pag. 85).

Con il quinto motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 la violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1282 c.c. nonchè dell’art. 112 c.p.c., l’omessa ed erronea motivazione.

Deducono che ha errato la corte di Milano, allorchè a modifica del primo dictum ed in accoglimento del motivo di gravame sul punto esperito dalla controparte, ha statuito che sull’importo di Euro 3.021,27 la “(OMISSIS)” fosse tenuta a corrispondere ad esse ricorrenti gli interessi non già a decorrere dal versamento, sibbene dal dì di proposizione della domanda di restituzione.

Deducono che controparte si era limitata a domandare che gli interessi fossero computati a decorre dalla “messa in mora”, sicchè la corte di Milano è incorsa in ultrapetizione.

Deducono che la corte di Milano è incorsa in contraddizione in rapporto alle determinazioni assunte con riferimento all’obbligo di corresponsione dell’indennità di occupazione posto a loro carico.

Con il sesto motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., l’omessa ed erronea motivazione.

Deducono che la corte milanese ha sostanzialmente respinto i motivi di gravame esperiti dalla “(OMISSIS)”; che in dipendenza della reciproca soccombenza la corte avrebbe dovuto integralmente compensare le spese di lite.

Va previamente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, siccome (si assume) tardivamente proposto, sollevata dalla controricorrente.

La sentenza n. 2723/2014 in questa sede impugnata non è stata notificata.

Si applica ratione temporis alla fattispecie il termine “lungo” di un anno, atteso che il giudizio in prime cure ha avuto inizio in epoca antecedente al 4.7.2009 (cfr. Cass. (ord.) 6.10.2015, n. 19969, secondo cui, in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4.7.2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio).

Ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale la modifica di cui al D.Lgs. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 162 del 2014), che, sostituendo la L. n. 742 del 1969, art. 1, ha ridotto il periodo di sospensione da 46 giorni a 31 giorni (dall’1 al 31 agosto di ciascun anno), trova applicazione, in mancanza di una disciplina transitoria, a partire dalla sospensione dei termini relativa al periodo feriale dell’anno solare 2015, non rilevando, a tal fine, la data dell’impugnazione o quella di pubblicazione della sentenza (cfr. Cass. (ord.) 11.5.2017, n. 11758).

Alla luce dei premessi rilievi si rappresenta quanto segue.

La sentenza in questa sede impugnata è stata depositata e dunque pubblicata il 10.7.2014.

Il ricorso è stato notificato il 25.9.2015.

Il ricorso quindi è stato proposto tempestivamente, l’ultimo giorno utile, alla scadenza di un anno e 46 giorni, tenuto conto e del periodo feriale relativo all’anno 2014 e del periodo feriale relativo all’anno 2015.

Il primo motivo di ricorso va respinto.

E’ fuor di dubbio che la corte d’appello di Milano con la sentenza n. 2597/1998, passata in giudicato, assunta nel giudizio intrapreso in prime cure innanzi al tribunale di Busto Arsizio (n. 656/1992 r.g.), tra gli altri, da M.G. e da P.S. nei confronti della “(OMISSIS)”, ebbe a rilevare la nullità del preliminare tra le medesime parti intercorso in data 31.3.1989.

Su tale scorta risultano ineccepibili le puntualizzazioni della corte di merito (di cui alla sentenza qui impugnata), secondo cui, in dipendenza delle testuali espressioni rinvenibili nella motivazione (“la Corte deve rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 c.c., che i contratti preliminari di cui si discute sono nulli per la giuridica impossibilità del loro oggetto”) e nel dispositivo (“rilevata la nullità dei contratti preliminari stipulati tra le parti”) della sentenza n. 2597/1998, tal ultimo dictum esplica valenza di giudicato “esterno” in ordine al profilo della nullità del contratto preliminare del 31.3.1989; secondo cui, in particolare, la corte di Milano (con la sentenza n. 2597/1998) si era pronunciata su di un punto di diritto costituente presupposto logico dell’accertamento, sollecitato dalla “(OMISSIS)” con la citazione notificata il 13.12.2006 (introduttiva del presente giudizio), relativo alla pretesa della stessa s.r.l. alla percezione dell’indennità di occupazione sine titulo.

Ineccepibili – si badi – alla luce dell’insegnamento di questa Corte di legittimità, espresso in relazione ad una fattispecie del tutto simile, a tenor del quale la rilevazione d’ufficio delle nullità negoziali – sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte – è sempre obbligatoria, purchè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio; ed a tenor del quale la loro dichiarazione, invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia con efficacia di giudicato in assenza di sua impugnazione (cfr. Cass. 5.2.2019, n. 3308; nell’ipotesi di cui a tal ultima pronuncia questa Corte ha ritenuto che la sentenza, emessa in altro giudizio e passata in giudicato, con la quale era stata incidentalmente dichiarata la nullità del contratto preliminare di vendita del diritto d’uso di un box auto, spiegasse i suoi effetti anche nel successivo giudizio instaurato dalla promittente alienante nei confronti dei promissari acquirenti per il rilascio del bene e per il pagamento delle spese di gestione e dell’indennità di occupazione).

Evidentemente alla luce dell’insegnamento n. 3308/2019 di questo Giudice del diritto non ha rilievo alcuno la deduzione delle ricorrenti secondo cui la preclusione da giudicato “esterno” sarebbe stata dalla “(OMISSIS)” dedotta tardivamente con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, depositata il 24.5.2007 (cfr. ricorso, pag. 33).

Con riferimento all’asserita omessa statuizione in ordine alla prefigurata carenza di legittimazione attiva della “(OMISSIS)” (cfr. punto 8) del ricorso, pagg. 39 – 43), si osserva quanto segue.

Da un canto, in rapporto alla condicio actionis di cui all’art. 81 c.p.c., la denuncia di omessa pronuncia non ha ragion d’essere.

Invero il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito (cfr. Cass. 23.1.2009, n. 1701; Cass. 26.9.2013, n. 22083, secondo cui il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali; cfr. Cass. 25.1.2018, n. 1876).

D’altro canto, correlata la legittimazione de qua agitur al riscontro della titolarità in capo alla “(OMISSIS)” del diritto sostanziale ad ottenere, tra l’altro, il rilascio del “box – auto” “B29”, la prospettazione di una quaestio siffatta similmente non si giustifica in alcun modo.

Invero con la comparsa di risposta in data 24.4.2007, con la quale ebbero – in prime cure – a costituirsi nel presente giudizio (cfr. ricorso, pagg. 10 – 12), M.G. e P.S. in via riconvenzionale ebbero a chiedere in danno della “(OMISSIS)”, promittente venditrice giusta l’atto del 31.3.1989, la pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c. idonea a trasferir loro il diritto di superficie del “box – auto” “B29” (cfr. ricorso, pagg. 10- 12), in tal guisa assumendo che controparte era senz’altro titolare del diritto di cui avevano sollecitato il coattivo trasferimento.

Con riferimento all’asserita preclusione da giudicato “esterno” scaturente dal rigetto della domanda di risoluzione del preliminare del 31.3.1989 che la “(OMISSIS)” ebbe ad esperire nel giudizio definito dalla corte di Milano con la sentenza – passata in giudicato – n. 2597/1998 (cfr. punto C) del ricorso, pagg. 43 – 51), si osserva che sostanzialmente in quel giudizio la domanda di risoluzione ebbe a rimaner assorbita nel rilievo di nullità dei contratti preliminari.

D’altronde il tribunale di Busto Arsizio, con la statuizione di prime cure n. 207/2009, confermata, limitatamente all’an debeatur, dalla sentenza della corte d’appello di Milano in questa sede impugnata, non ha condannato la “(OMISSIS)” a restituire il doppio della caparra.

Con riferimento ai rilievi delle ricorrenti di cui al punto D) del ricorso (cfr. pagg. 51 – 54), la declaratoria di nullità dell’atto pubblico in data 28.12.1988 e dell’atto interpretativo in data 30.12.1992, in (asserita) dipendenza della nullità del preliminare del 31.3.1989, avrebbe postulato, quanto meno, la presenza in giudizio del Comune di Gallarate.

Per altro verso si è anticipato che il concordato fallimentare della “(OMISSIS)”, omologato con sentenza (poi definitiva) n. 161/2005, è stato acclarato di completa esecuzione con decreto dell’11.1.2006.

Cosicchè, nel solco della previsione della L. Fall., art. 120 (per i fallimenti dichiarati antecedentemente all’entrata in vigore della “riforma” – è il caso del fallimento della “(OMISSIS)”, dichiarato dal tribunale di Milano nell’anno 2000 – il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato segnava la chiusura della procedura fallimentare: L. Fall., art. 131, u.c.), non si giustifica l’assunto delle ricorrenti secondo cui la “(OMISSIS)” “avrebbe perso ogni diritto” (così ricorso, pag. 53).

Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

Al di là dei puntuali rilievi – dapprima enunciati – sulla cui scorta la corte distrettuale ha ritenuto tempestiva l’eccezione della “(OMISSIS)” circa l’assoggettamento alla falcidia concordataria L. Fall., ex art. 135 della pretesa delle controparti alla restituzione della caparra, è da reputare comunque che l’asserita tardività dell’eccezione L. Fall., ex art. 135 non ha precipua valenza.

Propriamente non ha precipua valenza, se è vero – come è vero – che principio fondamentale che regola il concordato, è quello per cui, con l’omologazione dello stesso (salve le azioni di risoluzione, per mancato adempimento del debitore agli obblighi del concordato, e di annullamento, nel caso di dolo del concordatario), i crediti si cristallizzano ed il debitore resta liberato da quella parte della sua obbligazione che è stata falcidiata con le condizioni di concordato (cfr. Cass. 10.6.1964, n. 1441, seppur con riferimento al concordato preventivo; cfr. Cass. sez. un. 26.7.1990, n. 7562, secondo cui, qualora il creditore, per causa anteriore all’apertura del fallimento del debitore chiuso con concordato fallimentare, agisca in via ordinaria e consegua, dopo l’omologazione del concordato, cui sia rimasto estraneo, sentenza di accertamento e di condanna per l’intero ammontare del credito senza che nel relativo giudizio sia stata dedotta l’esistenza del concordato stesso, gli effetti di quest’ultimo possono essere fatti valere – per giunta – in sede satisfatoria anche con l’opposizione all’esecuzione).

Il terzo motivo di ricorso parimenti va respinto.

Con il terzo mezzo di impugnazione M.G. e P.S. censurano innanzitutto il giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha provveduto (in sede di disamina del secondo motivo dell’appello incidentale) “sia in tema di restituzione del box, sia in tema di pagamento dell’indennità di occupazione” (così ricorso, pag. 57).

In tal guisa, in parte qua agitur, il motivo in esame si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Ebbene, alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di seconde cure risulta – anche in parte qua – in toto ineccepibile ed assolutamente congruo e esaustivo.

Da un lato è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” rilevanti alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite – tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi nelle motivazioni cui la corte d’appello ha – in parte qua – ancorato la sua decisione.

Dall’altro è da ritenere che la corte di seconde cure ha di certo disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante – in parte qua – la res litigiosa.

Si tenga conto che le ricorrenti censurano l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“mai la (OMISSIS) s.r.l. ha consegnato il bene nè mai ha (…) redatto e/o prodotto in causa alcun verbale di consegna sottoscritto da P.S. e M.G.”: così ricorso, pag..59; “i testimoni escussi erano e sono del tutto falsi ed inattendibili ed intrinsecamente inveritieri (…) così ricorso, pag. 60; “tutta la documentazione e le pretese lettere allegate alla memoria 2.7.07 di controparte (…) nulla rilevano nè affermano sul punto”: così ricorso, pag. 63).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all'”anomalia motivazionale” che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

In questi termini a nulla vale che le ricorrenti adducano che “hanno da sempre e sin dall’origine (…) contestato e respinto le avverse domande” (così ricorso, pag. 59).

Si tenga conto inoltre che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Si tenga conto ancora che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

Con il terzo mezzo di impugnazione M.G. e P.S. adducono altresì che la nullità del contratto preliminare “non rende per ciò stesso illecita o illegittima la detenzione “ab origine” del bene da parte di chi l’ha ricevuto” (così ricorso, pag. 72) e, quali accipientes di buona fede, sarebbero state obbligate unicamente alla restituzione del “box- auto” “B29”.

Ebbene al riguardo si puntualizza quanto segue.

In primo luogo il promissario acquirente di un fondo agricolo, che ne abbia conseguito la disponibilità a titolo di anticipata esecuzione di un contratto preliminare poi dichiarato nullo, in quanto detentore della cosa, è tenuto a restituire non solo il bene indebitamente goduto, ma anche le utilità “ab initio” ricavate dallo stesso (cfr. Cass. (ord.) 10.10.2013, n. 23035, ove si soggiunge che non rileva, al riguardo, la disposizione di cui all’art. 1148 c.c., la quale limita temporalmente l’obbligo restitutorio dei frutti per il possessore in buona fede con decorrenza dal giorno della domanda giudiziale; cfr. anche Cass. 22.3.2011, 6489).

In secondo luogo nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile (cfr. Cass. (ord.) 6.8.2018, n. 20545).

In terzo luogo nella liquidazione del credito di valore – nella specie, risarcimento del danno derivato dall’occupazione sine titulo di un bene immobile, oggetto di un contratto preliminare di compravendita dichiarato nullo – sulla somma riconosciuta possono calcolarsi sia la svalutazione, sia gli interessi con la medesima decorrenza, perchè la prima ha la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato antecedentemente alla consumazione dell’illecito, i secondi invece hanno una funzione compensativa, con la conseguenza che questi ultimi sono compatibili con la rivalutazione e vanno corrisposti e calcolati anno per anno sulla somma via via rivalutata con decorrenza dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso (cfr. Cass. 7.6.2001, n. 7692).

In questo quadro per nulla si giustificano le prospettazioni delle ricorrenti.

Ovvero l’assunto secondo cui l’impugnato dictum è illegittimo nella parte in cui ha posto a loro carico l'”obbligo non solo di restituire il bene medesimo ma anche di pagare l’indennità di occupazione” (così ricorso, pag. 73) e secondo cui su di loro mai “dovrebbe gravare (…) un’obbligazione risarcitoria da comportamento illecito” (così ricorso, pag. 73).

Ovvero l’assunto secondo cui l’indennità di occupazione doveva essere riconosciuta non già a decorrere dalla data indicata nell’atto di citazione, coincidente con l’epoca di stipulazione del contratto preliminare, ma “soltanto a decorrere dalla richiesta fattane dalla (OMISSIS) s.r.l. e dalla data successiva al deposito della sentenza (n. 2597/1998) della Corte d’Appello di Milano (28.9.98)” (così ricorso, pag. 78).

Si badi, a tal ultimo riguardo, che l’accertamento della nullità del contratto opera, ovviamente, sin dalla sua stipulazione, sicchè sin dal di della stipulazione (31.3.1989), in linea di principio, il danno (aquiliano) cagionato dalle promissarie acquirenti con titolo nullo era da risarcire. Beninteso si è anticipato che nella fattispecie la corte di Milano, in sede di disamina del primo motivo dell’appello principale, ha opinato nel senso che il tribunale aveva correttamente reputato prescritto il credito all’indennità di occupazione sine titulo per il periodo antecedente al 15.3.1996.

Con il terzo mezzo di impugnazione M.G. e P.S. adducono inoltre che la corte di Milano ha accordato alla “(OMISSIS)” un importo superiore a quello domandato (cfr. ricorso, pag. 75).

La riferita censura non merita seguito.

Con l’iniziale citazione del 13.12.2006 la “(OMISSIS)” aveva domandato la condanna di M.G. e di P.S. al pagamento dell’indennità di occupazione altresì nella misura che sarebbe risultata congrua (cfr. ricorso, pag. 9); in pari tempo la quantificazione dell’indennità nell’importo di Euro 13.230,00 era riferita all’occupazione protrattasi fino al 30.9.2006 (cfr. ricorso pag. 7).

Non sussiste quindi vizio di ultrapetizione (cfr. Cass. sez. lav. (ord.) 10.8.2018, n. 20707).

Con il terzo mezzo di impugnazione M.G. e P.S. adducono ancora che erroneo è il riferimento operato dal c.t.u. e recepito dalla corte di Milano “ai valori di locazione del bene” (così ricorso, pag. 76) ai fini del computo dell’indennità di occupazione sine titulo.

Innegabilmente l’ausiliario ha utilizzato il canone di locazione, all’uopo determinato, quale mero parametro per la quantificazione dell’indennità di occupazione, recte per la quantificazione del risarcimento del danno.

Cosicchè siffatta ragione di doglianza analogamente si risolve nella censura del giudizio “di fatto” cui ha atteso, in parte qua, la corte di Milano.

E nondimeno nel solco della pronuncia n. 8053/2014 delle sezioni unite di questa Corte – dapprima menzionata – la valutazione della corte lombarda è in toto ineccepibile e congrua.

Così come del tutto ineccepibile e congrua è da reputare, ai fini del computo del canone di locazione e dunque dell’indennità di occupazione sine titulo, la circostanza che il c.t.u. abbia calcolato anche V “aggiornamento istat”.

A nulla vale perciò addurre, limitatamente all’aggiornamento istat, che “una tal domanda non era mai stata formulata dalla (OMISSIS) s.r.l.” (così ricorso, pag. 78).

Da ultimo non si giustifica la prospettazione delle ricorrenti secondo cui “mai è stata formulata o proposta dalla (OMISSIS) s.r.l. la domanda di pagamento della rivalutazione monetaria sull’indennità di occupazione” (così ricorso, pag. 79).

E’ sufficiente in proposito il riferimento all’insegnamento di questa Corte a tenor del quale nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria – quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni – e che il giudice di merito deve attribuire gli uni e l’altro anche se non espressamente richiesti, pure in grado di appello, senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione (cfr. Cass. 17.9.2015, n. 18243).

Il quarto motivo di ricorso va rigettato.

Si premette che la corte d’appello, in sede di disamina dell’ultimo motivo dell’appello incidentale, ha puntualizzato che le ragioni – correlate specificamente all’indeterminatezza della durata, mutabile a discrezione del Comune di Gallarate – alla cui stregua la corte di Milano aveva, con la sentenza n. 2597/1998, ravvisato la nullità del preliminare del 31.3.1989, risultavano estensibili pur ad un’operazione negoziale avente ad oggetto il diritto di superficie, sicchè non vi era margine per far luogo all’applicazione dell’art. 1424 c.c..

Ebbene a siffatto impianto motivazionale non si correla puntualmente il mezzo di impugnazione in disamina.

Invero le ricorrenti hanno genericamente addotto che i “requisiti oggettivi e soggettivi (…) (di) diverso contratto (…) nella vicenda de qua appaiono essere tutti sussistenti” (così ricorso, pag. 82). E tuttavia non hanno specificamente censurato il rilievo della corte di merito secondo cui l’indeterminata durata del contratto da convertire era mutabile a discrezione del Comune di Gallarate (cfr. sentenza d’appello, pag. 7).

D’altra parte, in tema di conversione del contratto nullo, l’accertamento dell’ipotetica volontà dei contraenti, implicando un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, non può essere compiuto in sede di legittimità (cfr. Cass. 30.4.2012, n. 6633; Cass. 6.7.2018, n. 17905).

Cosicchè a nulla vale che le ricorrenti adducano che “la lettura del (…) preliminare del 31/3/89 e la ricostruzione della reale e concreta volontà delle parti in essa formalizzata conduce inevitabilmente ad affermare (…)” (così ricorso, pag. 83).

Il quinto motivo di ricorso del pari va rigettato.

Si evidenzia che, in ipotesi di nullità di un contratto, la disciplina degli eventuali obblighi restitutori è mutuata da quella dell’indebito oggettivo, con la conseguenza che qualora l’accipiens sia in mala fede nel momento in cui percepisce la somma da restituire, è tenuto al pagamento degli interessi dal giorno in cui l’ha ricevuta (cfr. Cass. 8.4.2009, n. 8564; Cass. 25.10.2005, n. 20651).

Si evidenzia altresì che, in tema di indebito oggettivo, la buona fede dell’accipiens al momento del pagamento è presunta per principio generale, sicchè grava sul solvens che faccia richiesta di ripetizione dell’indebito, al fine del riconoscimento degli interessi con decorrenza dal giorno del pagamento stesso e non dalla data della domanda, l’onere di dimostrare la malafede dell’accipiens all’atto della ricezione della somma non dovuta (cfr. Cass. sez. lav. 8.5.2013, n. 10815; Cass. sez. lav. 18.1.1991, n. 428).

In questo quadro si rimarca quanto segue.

In primo luogo la corte di merito ineccepibilmente ha fatto riferimento al disposto dell’art. 2033 c.c., allorchè, in riforma del primo dictum, ha condannato la “(OMISSIS)” a corrispondere a M.G. e a P.S. la somma di Euro 3.021,27.

In secondo luogo le ricorrenti per nulla hanno addotto, con il mezzo di impugnazione in disamina, di aver dato prova (nè comunque hanno dato prova) della mala fede della “(OMISSIS)” al momento della percezione della caparra di Euro 10.070,91.

In terzo luogo la “(OMISSIS)” ha richiesto, in riforma della statuizione di primo grado, che fosse condannata alla corresponsione alle controparti della minor somma di Euro 3.021,27 con gli interessi dal di della avversa domanda riconvenzionale (cfr. sentenza d’appello, foglio di precisazione delle conclusioni della “(OMISSIS)”).

Evidentemente, a tal ultimo riguardo, in dipendenza della buona fede della “(OMISSIS)”, è il momento della domanda riconvenzionale esperita in prime cure da M.G. e da P.S., volta a conseguire la restituzione della caparra indebitamente prestata, che segna, ai fini della corresponsione degli interressi, la mora debendi dell’accipiens, ossia della s.r.l. controricorrente in questa sede (art. 2033 c.c., ultima parte).

In tal guisa non ha ragion d’essere la denuncia di ultrapetizione.

Infine e parimenti per nulla si giustifica la denuncia di contraddittorietà e disparità di trattamento in rapporto alle statuizioni assunte dalla corte d’appello di Milano circa l’obbligo delle ricorrenti di corresponsione alla “(OMISSIS)” dell’indennità di occupazione sine titulo.

Si è anticipato che l’obbligo di corresponsione dell’indennità di occupazione sine titulo di un bene immobile, oggetto di un contratto preliminare di compravendita dichiarato nullo, ha natura risarcitoria – aquiliana.

D’altro canto la corte distrettuale ha riconosciuto gli interessi sull’importo dell’indennità di occupazione sine titulo dal di della notifica dell’atto di citazione della “(OMISSIS)” introduttivo del giudizio di primo grado.

Il sesto motivo di ricorso parimenti va rigettato.

Si versa in una ipotesi di soccombenza reciproca (reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento: cfr. Cass. 22.2.2016, n. 3438).

Su tale scorta si rappresenta che, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in qual misura debba farsi luogo a compensazione (cfr. Cass. 3.3.1994, n. 2124).

Si rappresenta segnatamente che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass. 31.1.2014, n. 2149).

A nulla vale perciò addurre che la complessiva prevalente soccombenza di M.G. e di P.S., ritenuta dalla corte territoriale, “è affermazione fattuale certamente errata e costituisce un evidente travisamento dei fatti” (così ricorso, pag. 90).

In dipendenza del rigetto del ricorso le ricorrenti vanno in solido condannate a rimborsare alla s.r.l. controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido le ricorrenti, M.G. e P.S., a rimborsare alla controricorrente, “(OMISSIS)” s.r.l., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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