Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25139 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. II, 08/10/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 08/10/2019), n.25139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 19053 – 2015 R.G. proposto da:

HOTEL INVICTUS s.r.l., – c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – (quale successore

a titolo particolare della “Solis Invictus” s.r.l.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, HOTEL SOLIS s.r.l. –

c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – (quale successore a titolo particolare

della “Solis Invictus”s.r.l.), in persona del legale rappresentante

pro tempore, F.A. – c.f. (OMISSIS) – R.R. –

c.f. (OMISSIS) – A.P. – c.f. (OMISSIS) – rappresentati

e difesi, in virtù di procura speciale a margine del ricorso,

dall’avvocato Antonfrancesco Venturini, la “Hotel Solis”s.r.l.

rappresentata e difesa, altresì, in virtù di procura speciale

autenticata per notar Ri. in data 11.9.2018, dall’avvocato

Giovanni Francesco Biasiotti Mogliazza; tutti elettivamente

domiciliati in Roma, alla via Merulana, n. 141, presso lo studio

dell’avvocato Antonfrancesco Venturini;

– ricorrenti –

e

M.G., – c.f. (OMISSIS) – M.M. – c.f.

(OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in

calce al controricorso dall’avvocato Massimo Giuffrida ed

elettivamente domiciliati in Roma, alla via Tolmino, n. 1, presso lo

studio dell’avvocato Claudia Ritti.

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

e

M.C., – c.f. (OMISSIS) – B.L. – c.f. (OMISSIS) –

elettivamente domiciliati in Roma, alla via dei Corridori, n. 48,

presso lo studio dell’avvocato Pasquale Gallo che li rappresenta e

difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

contro

FE.MA., – c.f. (OMISSIS) – C.R.P. – c.f.

(OMISSIS) – CA.FL. – c.f. (OMISSIS) – CA.BI.MA. –

c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in Roma, alla via Savoia,

n. 72, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Ciaglia, che li

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e

BO.AD., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in

Roma, alla via P.L. Cattolica, n. 6, presso lo studio dell’avvocato

Anna Andracchio che la rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Roma n. 3504 dei

13.5/5.6.2015;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 10

aprile 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità e comunque per il rigetto del ricorso principale e

del ricorso incidentale proposto da M.C. e da

B.L. nonchè per l’accoglimento del secondo e del terzo motivo e per

la declaratoria di inammissibilità del primo motivo del ricorso

incidentale proposto da M.G. e da M.M.;

udito l’avvocato Antonfrancesco Venturini per i ricorrenti

principali;

udito l’avvocato Daniela Gambardella, per delega dell’avvocato

Giovanni Francesco Biasiotti Mogliazza, per la ricorrente principale

“Hotel Solis” s.r.l.;

udito l’avvocato Piero Volpe, per delega dell’avvocato Giuseppe

Ciaglia, per i controricorrenti Fe.Ma.,

C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma.;

udito l’avvocato Antonio Hector Porzio, per delega dell’avvocato Anna

Andracchio, per la controricorrente Bo.Ad..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto in data 29.11.2006 Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma., condomini dell’edificio in (OMISSIS), citavano a comparire innanzi al tribunale di Roma la “Solis Invictus” s.r.l., M.G., M.M., M.C., B.L., F.A., R.R. e A.P..

Esponevano che la “Solis Invictus”, conduttrice degli appartamenti al 2 piano, interni n. 4 e n. 5, e dell’appartamento al 5 piano, interno n. 13 – di proprietà, i primi due, di M.G., M.M., M.C. e B.L., di proprietà, il terzo, di R.R. e A.P. – esercitava nei medesimi immobili attività alberghiera; che del pari F.A., proprietario dell’appartamento al 4 piano, interno n. 12, vi esercitava attività d’albergo.

Esponevano che ai sensi del capitolo 3 del regolamento condominiale del 1923 era vietato destinare gli appartamenti e gli altri locali del fabbricato, tra l’altro, a “case di alloggio”.

Chiedevano che si accertasse e dichiarasse l’illegittimità delle intraprese attività alberghiere, che se ne ordinasse la cessazione, con condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.

Si costituivano i convenuti tutti.

Instavano per il rigetto dell’avversa domanda.

Spiegava volontario intervento la condomina Bo.Ad..

Aderiva alle domande degli attori e chiedeva la condanna dei convenuti alla rimozione di talune strutture collocate sul terrazzo di pertinenza degli interni n. 4 e n. 5 nonchè dell’insegna apposta sulla facciata dell’edificio.

Con sentenza n. 699/2010 l’adito tribunale dichiarava illegittimo, per violazione del regolamento condominiale, l’esercizio dell’attività alberghiera, ne ordinava la cessazione e condannava i convenuti a risarcire i danni esistenziali cagionati agli attori e ad Bo.Ad..

Proponevano appello M.G. e M.M..

Si costituivano la “Solis Invictus” s.r.l., F.A., R.R. e A.P.; esperivano appello incidentale.

Proponevano separato appello M.C. e B.L..

I gravami venivano riuniti.

Si costituivano Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma..

Instavano per il rigetto degli avversi gravami ed esperivano appello incidentale.

Si costituiva Bo.Ad..

Instava per il rigetto degli avversi gravami ed esperiva appello incidentale.

Con sentenza n. 3504 dei 13.5/5.6.2015 la corte d’appello di Roma, in parziale riforma della gravata sentenza, rigettava la domanda di risarcimento danni spiegata dagli attori e da Bo.Ad.; condannava la “Solis Invictus” a rimuovere l’insegna “Hotel Invictus” posta sulla facciata dell’edificio nonchè le strutture collocate sul terrazzo di pertinenza degli interni n. 4 e n. 5; rigettava nel resto gli appelli principali ed incidentali; compensava integralmente tra le parti tutte le spese del doppio grado.

Evidenziava – la corte – che andava disattesa l’eccezione, giacchè priva di specificità, concernente la mancanza dell’unanime consenso dei condomini ai fini dell’adozione del regolamento condominiale del 1923.

Evidenziava che Bo.Ad. aveva prodotto “copia del regolamento interamente trascritto (…) con relativa nota di trascrizione” (così sentenza d’appello, pag. 5), sicchè ne era indubbia l’opponibilità agli originari convenuti.

Evidenziava che la previsione di cui al capitolo 3 del regolamento, ossia il divieto di destinare gli appartamenti e gli altri locali del fabbricato a “case di alloggio”, doveva intendersi nel senso che non fosse consentita l’utilizzazione degli immobili per “l’attività di affittacamere, albergo, “bed & breakfast”” (così sentenza d’appello, pag. 6).

Evidenziava quindi che andava ribadito l’ordine di cessazione dell’attività, siccome vietata a norma di regolamento.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la “Hotel Invictus” s.r.l. (quale successore a titolo particolare della “Solis Invictus” s.r.l.), la “Hotel Solis” s.r.l. (quale successore a titolo particolare della “Solis Invictus” s.r.l.), F.A., R.R. e A.P.; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

Avverso la sentenza n. 3504/2015 della corte di Roma hanno proposto ricorso incidentale M.G. e M.M.; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con il favore delle spese.

Avverso la sentenza n. 3504/2015 della corte di Roma hanno proposto ricorso incidentale M.C. e B.L.; ne hanno chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con il favore delle spese, con distrazione.

Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso principale con vittoria delle spese del giudizio di legittimità.

Ha depositato controricorso Bo.Ad.; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso principale con il favore delle spese del giudizio di legittimità e con condanna dei ricorrenti principali per “lite temeraria”.

Con ordinanza interlocutoria dei 9.10.2018/22.1.2019 il presente procedimento è stato rimesso alla pubblica udienza della seconda sezione civile di questa Corte.

La “Hotel Invictus” s.r.l., la “Hotel Solis” s.r.l., F.A., R.R. e A.P. hanno depositato memorie.

Hanno depositato memorie Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma..

Ha depositato memorie Bo.Ad..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2659 e 2665 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione.

Deducono che “nella nota di trascrizione (…) del regolamento non vi è (…) alcuna indicazione delle pretese clausole limitative della proprietà contenute nell’art. 3 del regolamento stesso” (così ricorso principale, pag. 5); che dunque le clausole limitative non sono opponibili ai terzi aventi causa.

Deducono che la corte di merito ha omesso al riguardo ogni esame.

Con il secondo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 167 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e/o n. 5, l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione.

Deducono che, contrariamente all’assunto dalla corte distrettuale, era onere degli originari attori e non già di essi ricorrenti – originari convenuti – provare la validità e la completezza del regolamento contrattuale; che gravava invero sugli iniziali attori dar dimostrazione – dimostrazione per nulla assolta – del titolo addotto a fondamento dell’azionata pretesa ed, in particolare, dell’unanime sottoscrizione del regolamento.

Deducono quindi che nessun onere era configurabile a loro carico, viepiù chè la contestazione da essi svolta non costituiva eccezione in senso stretto.

Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e/o n. 5, l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione.

Deducono che ha errato la corte territoriale ad interpretare la locuzione “case di alloggio” figurante all’art. 3 del regolamento condominiale.

Deducono che l’interpretazione letterale della locuzione “case di alloggio” indurrebbe difatti a ritenere che con simile espressione si sia inteso far riferimento agli immobili destinati ad essere abitati da una famiglia; che tuttavia, così inteso, il divieto precluderebbe la possibilità di adibire gli appartamenti condominiali ad abitazioni familiari, sicchè l’anzidetta locuzione non può “che essere considerata clausola di mero stile senza una effettiva valenza” (così ricorso, principale, pag. 9).

Con il primo motivo i ricorrenti incidentali, M.G. e M., denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, la violazione degli artt. 1321 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.; l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che la corte di Roma ha correttamente escluso la natura assembleare del regolamento condominiale; che nondimeno in maniera del tutto apodittica, in assenza di prova adeguata, ha opinato per la natura contrattuale del regolamento.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali, M.G. e M., denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2659 e 2665 c.c..

Formulano le stesse censure addotte dai ricorrenti principali con il primo motivo.

Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali, M.G. e M., denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c..

Formulano le stesse censure addotte dai ricorrenti principali con il secondo motivo.

Con il primo motivo i ricorrenti incidentali, M.C. e B.L., denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2659 e 2665 c.c..

Formulano le stesse censure addotte dai ricorrenti principali con il primo motivo.

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali, M.C. e B.L., denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 167 c.p.c..

Formulano le stesse censure addotte dai ricorrenti principali con il secondo motivo.

Taluni dei motivi del ricorso principale e dei ricorsi incidentali si sovrappongono; in ogni caso, pur quando veicolano censure dissimili, gli esperiti mezzi sono strettamente connessi; il che ne suggerisce la disamina congiunta.

I motivi comunque, nessuno escluso, sono destituiti di fondamento e vanno respinti.

E’ vano pertanto qualsivoglia rilievo in ordine alla tempestività dei ricorsi incidentali (tanto a prescindere dall’insegnamento di questa Corte – cfr. Cass. sez. un. 27.11.2007, n. 24627; Cass. (ord.) 12.3.2018, n. 5876 – secondo cui, sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dall’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale).

Si premette che la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle porzioni di proprietà esclusiva, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non già delle obbligazioni “propter rem” (cfr. Cass. 18.10.2016, n. 21024; Cass. 31.7.2014, n. 17493, ove si parla di servitù “reciproche”).

Si premette quindi che, qualora i condomini prospettino che, nell’ambito di un edificio condominiale, in dipendenza delle previsioni contenute nel regolamento condominiale convenzionale, gli appartamenti di proprietà esclusiva non possono essere adibiti ad una data destinazione ed invochino accertamento in tal senso nonchè cessazione della destinazione asseritamente indebita, si è al cospetto di un’actio confessoria servitutis.

Cosicchè l’attore in confessoria ha un duplice onere probatorio, propriamente ha da dimostrare l’esistenza del diritto di servitù (cfr. Cass. 8.9.2014, n. 18890; Cass. 11.1.2017, n. 472) e, rispetto ai terzi acquirenti, l’opponibilità del diritto di servitù (cfr. Cass. 18.10.2016, n. 21024, secondo cui l’opponibilità ai terzi acquirenti dei limiti alla destinazione delle proprietà esclusive va regolata secondo le norme proprie delle servitù), giacchè si presume la libertà del fondo, che si pretende servente, da pesi e limitazioni.

Segnatamente ed in primo luogo l’attore ha l’onere di dimostrare che le disposizioni del regolamento condominiale che restringono nell’interesse comune i poteri e le facoltà che i singoli condomini hanno sulle rispettive porzioni di proprietà esclusiva, assumono carattere convenzionale, nel senso, cioè, che, se precostituite dall’originario unico proprietario dell’edificio, sono state accettate dai condomini nei contratti di acquisto delle rispettive proprietà esclusive oppure in separati appositi atti, se deliberate dall’assemblea dei condomini, sono state approvate all’unanimità (cfr. Cass. 27.6.1973, n. 1856; Cass. 9.7.1994, n. 6501).

Segnatamente ed in secondo luogo, rispetto ai terzi acquirenti, l’attore ha l’onere di dimostrare l’opponibilità del diritto di servitù, nel senso, cioè, dell’avvenuta trascrizione nei pubblici registri immobiliari, antecedentemente alla trascrizione dell’atto di acquisto del terzo (che non ne fa menzione), delle disposizioni regolamentari prefiguranti limitazioni ai poteri e alle facoltà dei singoli condomini sulle rispettive porzioni di proprietà esclusiva (cfr. Cass. 27.6.1973, n. 1856; Cass. 25.10.2001, n. 13164. Cfr. anche Cass. 20.4.1976, n. 1378, secondo cui l’istituto della trascrizione non ammette alcun equipollente e, pertanto, l’acquirente di un immobile non è tenuto a riconoscere la servitù prediale costituita sul medesimo in base ad atto non trascritto, salvo che il contratto di acquisto dell’immobile non contenga un’espressa menzione della servitù, con tutti gli estremi necessari ad identificarla).

A tal ultimo riguardo va soggiunto il seguente duplice rilievo.

Per un verso non è sufficiente il generico rinvio nella nota di trascrizione al regolamento condominiale, ma, ai sensi dell’art. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c., occorre indicare le specifiche clausole limitative (cfr. Cass. 31.7.2014, n. 17493; Cass. 10.10.2016, n. 21024).

Per altro verso, qualora il proprietario di una porzione di proprietà esclusiva adduca l’inopponibilità ad egli terzo acquirente dei limiti alla destinazione della sua porzione, a rigore, non eccepisce un fatto impeditivo, trattandosi propriamente del riflesso, ex latere suo, del fatto costitutivo della pretesa in re aliena azionata dall’attore.

Più esattamente – in ordine a tal ultimo aspetto – la questione relativa alla mancata trascrizione nell’apposita nota della clausola del regolamento di condominio dettante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive e relativa, di conseguenza, all’inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti non costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, sibbene di un’eccezione in senso lato.

Cosicchè il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie (cfr. Cass. 19.3.2018, n. 6769).

Cosicchè, ulteriormente, il suo rilievo officioso – al pari del rilievo ex officio delle eccezioni in senso lato – è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, poichè il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove pure le questioni rilevabili d’ufficio fossero soggette ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (cfr. Cass. 31.10.2018, n. 27998; Cass. (ord.) sez. un. 7.5.2013, n. 10531).

Nel quadro degli esposti principi si evidenzia nella fattispecie (con precipuo riferimento al secondo motivo del ricorso principale, al primo motivo del ricorso incidentale di M.G. e M., al terzo motivo del ricorso incidentale di M.G. e M. ed al secondo motivo del ricorso incidentale di M.C. e B.L.) quanto segue.

Di già il giudice di primo grado aveva posto in risalto che “gli attori hanno depositato in atti una copia conforme del regolamento di condominio del 23 maggio 1923 fra i comproprietari di (OMISSIS), con la firma dei condomini richiedenti la trascrizione e con in calce la sottoscrizione del Notaio” (così sentenza di primo grado, pag. 3), regolamento ove, al capitolo 3, si legge testualmente: “è vietato di destinare gli appartamenti e tutti gli altri locali del fabbricato a (…) case di alloggio” (cfr. ricorso principale, pag. 2; cfr. controricorso di Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma., pagg. 3- 4).

Al contempo copia del manoscritto del regolamento condominiale, trascritto presso l’ufficio delle ipoteche di Roma, con indicazione dei plurimi nominativi dei condomini a favore e contro i quali si ebbe ad operare la trascrizione, costituisce il documento 1) allegato al fascicolo di primo grado di Bo.Ad., che appunto in primo grado ha spiegato intervento volontario.

Ebbene, a fronte della surriferita produzione documentale, il giudizio, evidentemente “di fatto”, alla cui stregua la corte romana ha ritenuto comprovata l’esistenza del diritto di servitù invocato dagli iniziali attori e dall’interveniente volontaria, è in toto incensurabile.

Più esattamente la corte capitolina, in maniera ineccepibile e comunque scevra da qualsivoglia ipotesi di “anomalia motivazionale” rilevante nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte (e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione), ha opinato nel senso che il regolamento è stato in origine “voluto”, unanimemente, dalla totalità dei condomini e dunque che fosse di natura contrattuale (“del resto esso reca la sottoscrizione dei condomini”: così sentenza d’appello, pag. 5).

D’altronde i controricorrenti Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma. hanno avuto cura di precisare che dalla nota di trascrizione “emerge che la Sig.ra Ca.Ma. fu P., vedova G.L. (prima ed originaria proprietaria dell’intero stabile) in data 23.5.1923, con atto del Notaio Ca.Ca., vendeva alcune unità immobiliari. Contestualmente si predisponeva il Regolamento di condominio. Il tutto veniva trascritto il 27.5.1923 (…)”: così controricorso, pag. 15).

Di talchè inappuntabili e congrue sono da reputare le affermazioni della corte d’appello secondo cui “parte appellante non può limitarsi a sostenere genericamente l’assenza dell’unanimità nell’approvazione del Regolamento (…) (ed) avrebbe avuto l’onere di indicare specificamente quali fossero le sottoscrizioni mancanti” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Di talchè, per converso, ingiustificata è la prospettazione dei principali ricorrenti secondo cui “non esistono elementi per dimostrare che il preteso regolamento fosse espressione della volontà negoziale di tutti i comproprietari dello stabile” (così ricorso principale, pag. 8).

Ben avrebbero dovuto, invero, i ricorrenti, così come ha soggiunto la corte di merito, indicare, “in particolare, quale fosse il proprio dante causa che non avrebbe sottoscritto l’atto” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Nel quadro dei principi dapprima esposti si evidenzia dipoi nella fattispecie (con precipuo riferimento al primo motivo del ricorso principale, al secondo motivo del ricorso incidentale di M.G. e M. ed al primo motivo del ricorso incidentale di M.C. e B.L.) quanto segue.

Innanzitutto la corte distrettuale ha puntualizzato che unicamente M.G. e M. avevano in primo grado contestato, “sia pure sommariamente”, l’opponibilità del regolamento condominiale, sicchè nessuna contestazione a tal riguardo era stata formulata dai – in questa sede – ricorrenti principali e dai – in questa sede – ricorrenti incidentali M.C. e B.L..

Orbene siffatta puntualizzazione non è stata oggetto di specifica censura nè da parte dei ricorrenti principali nè da parte dei ricorrenti incidentali M.C. e B.L. (si vedano al riguardo le conclusioni scritte – pag. 3 – in data 14.9.2018, formulate dal Pubblico Ministero in previsione dell’adunanza camerale già fissata per il 9.10.2018).

Ed in verità non è stata oggetto di specifica censura, alla stregua dei motivi di ricorso esperiti da M.G. e M., neppure la puntualizzazione della corte territoriale secondo cui costoro avevano soltanto sommariamente contestato l’opponibilità del regolamento.

Evidentemente le circostanze testè riferite non possono non avere, quanto meno, un certo qual rilievo in rapporto al censurato – in questa sede – riscontro dell’opponibilità del regolamento condominiale contrattuale.

E ciò quantunque la corte di Roma abbia reputato (invero al di là degli insegnamenti di questa Corte n. 6769/2018 e n. 27998/2018 in precedenza citati) che la quaestio dell’opponibilità (o meno) del regolamento non fosse preclusa in grado d’appello.

Si è anticipato comunque che al fascicolo di primo grado di Bo.Ad. risulta allegato, quale documento n. 1), “copia regolamento condominiale del 27/5/1923, trascritto presso l’Ufficio delle Ipoteche di Roma”.

Propriamente il documento n. 1) allegato al fascicolo della Bo. è la “nota per trascrizione a favore e contro Ca.Ma., vedova G. (ed altri) (…) del regolamento fra i comproprietari dello stabile di (OMISSIS)”, trascrizione eseguita, così come si legge a margine della prima pagina della nota, il 27 maggio 1923 al n. 8293 r.g. ed al n. 6399 r.p..

Ebbene, a fronte della surriferita produzione documentale, il giudizio, evidentemente “di fatto”, alla cui stregua la corte romana ha ritenuto altresì comprovata l’opponibilità del diritto di servitù invocato dagli iniziali attori e dall’interveniente volontaria, è del pari in toto incensurabile.

Più esattamente la produzione della summenzionata nota di trascrizione, ineccepibilmente (in relazione al combinato disposto dell’art. 2659 c.c., comma 1, n. 2, e art. 2665 c.c.) ed in forma esente da qualsivoglia “anomalia motivazionale” – rilevante alla stregua della menzionata pronuncia n. 8053/2014 delle sezioni unite di questa Corte – è stata assunta dal secondo giudice (“risulta, altresì, prodotto dalla intervenuta Bo. copia del regolamento interamente trascritto all’Ufficio delle ipoteche di Roma con relativa nota di trascrizione (…)”: così sentenza d’appello, pag. 5) ed, in precedenza, dal tribunale (“gli attori (…) altresì hanno depositato una copia del manoscritto dell’Ufficio Ipoteche di Roma per trascrizione del detto Regolamento di (OMISSIS), alla data del 27 Magg. 1923 in cui appaiono i dati di formalità come indicati dalla interveniente nelle sue difese”: così sentenza di primo grado, pag. 3) come idonea a comprovare ed in ogni caso – si badi – come tale da indurre, univocamente e ragionevolmente, a reputar adeguatamente comprovata (“non può, pertanto, dubitarsi della sua opponibilità (…)”: così sentenza d’appello, pag. 5) l’avvenuta integrale trascrizione del complessivo testo manoscritto del regolamento del condominio dell’edificio di via (OMISSIS), quale comprensivo pur della previsione del capitolo 3 rilevante nel caso di specie.

D’altronde, ad aggiuntivo riscontro della ineccepibilità e congruenza del giudizio cui ha provveduto in parte qua la corte di seconde cure, non vi sarebbe stata ragione alcuna perchè in data 27.5.1923 si provvedesse alla trascrizione (al n. 8293 r.g. ed al n. 6399 r.p.) presso l’Ufficio delle Ipoteche di Roma di singoli stralci del regolamento condominiale, sì da escludere dalle parti trascritte le disposizioni di cui al capitolo 3 (il riscontro dell’ineccepibilità e congruenza della valutazione di adeguatezza – ai fini dell’opponibilità – della nota di trascrizione costituente il documento n. 1) allegato alla produzione di Bo.Ad., ovviamente, prescinde del tutto dalla produzione, operata dai contro ricorrenti Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma. in data 27.9.2018, in spregio al disposto dell’art. 372 c.p.c., della medesima nota di trascrizione datata 27.5.1923 dell’integrale testo manoscritto del regolamento del condomino di via (OMISSIS)).

Conseguentemente, da un lato, l’esigenza per cui, in tema di condominio negli edifici, ai fini dell’opponibilità delle servitù reciproche costituite dal regolamento condominiale, occorre indicare nella nota di trascrizione le specifiche clausole limitative, deve considerarsi nel caso di specie appieno soddisfatta.

Conseguentemente, dall’altro, non possono ricever seguito nè la prospettazione dei ricorrenti principali secondo cui “nella nota di trascrizione (…) non vi è, però, alcuna indicazione delle pretese clausole limitative della proprietà contenute nell’art. 3 del regolamento” (così ricorso principale, pag. 5), nè le analoghe prospettazioni dei ricorrenti incidentali (cfr. ricorso incidentale di M.C. e B.L., pag. 4; cfr. ricorso incidentale di M.G. e M., pag. 8).

Ciò viepiù, siccome si è premesso, chè le affermazioni delle corte capitolina, secondo cui unicamente M.G. e M., in maniera del tutto sommaria, avevano in prime cure contestato l’opponibilità del regolamento, non sono state in questa sede oggetto di specifica censura.

Ovviamente, alla luce dei rilievi tutti testè svolti, la corte d’appello ha senza dubbio disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia l’opponibilità della nota di trascrizione.

Si badi comunque, ad ulteriore riscontro della ineccepibilità e congruenza del giudizio in parte qua della corte di merito, che in ogni caso ben avrebbero potuto gli iniziali convenuti attendere alla produzione dei rispettivi titoli di acquisto.

Tanto, ben vero ed al di là dell’individuazione della parte al riguardo probatoriamente onerata – onde, siccome ha in modo pertinente specificato la corte distrettuale, “dimostrare che negli stessi non fosse stato eventualmente richiamato il suddetto Regolamento” (così sentenza d’appello, pag. 5. Cfr. Cass. 31.8.2018, n. 21501, secondo cui – però – la servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente, deve essere stata trascritta (è il caso di cui al presente ricorso) o espressamente menzionata nell’atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti).

Il terzo motivo del ricorso principale prospetta patentemente una quaestio ermeneutica.

Cosicchè esplicano valenza gli insegnamenti di questa Corte.

In primo luogo l’insegnamento alla cui stregua l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178, e Cass. 2.5.2006, n. 10131).

In secondo luogo l’insegnamento alla cui stregua nè la censura ex n. 3 nè la censura art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si traduca nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178, e Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Su tale scorta l’iter motivazionale che sorregge, in parte qua, l’impugnato dictum, è in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

Con riferimento, dapprima, al profilo della correttezza giuridica per nulla si configura il preteso error in iudicando.

Propriamente il dictum della corte territoriale è appieno aderente all’insegnamento di questa Corte, secondo cui, nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam (come nell’ipotesi di un contratto costitutivo di un diritto di servitù), la ricerca della comune intenzione delle parti, effettuabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve essere fatta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto (cfr. Cass. 5.2.2004, n. 2216; Cass. (ord.) 5.3.2018, n. 5112).

Negli enunciati termini non ha valenza, segnatamente alla luce del parametro ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, la circostanza per cui è stata esercitata attività alberghiera negli appartamenti ricompresi nello stabile condominiale per cospicui lassi temporali e tale destinazione non è mai stata oggetto di contestazione.

Con riferimento, dipoi, al profilo della congruenza logico – formale della motivazione si osserva quanto segue.

Da un canto è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” rilevanti nel segno della (già menzionata) pronuncia n. 8053/2014 delle sezioni unite di questa Corte possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di Roma ha, in parte qua, ancorato il suo dictum.

Specificamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte romana, lo si è anticipato, ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

D’altro canto la corte di capitolina ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa dalle parti discusso, ovvero non ha omesso la disamina della quaestio concernente la corretta esegesi della locuzione “case di alloggio”.

Ad ogni modo è innegabile che la censura, in parte qua addotta dai ricorrenti principali, si risolve nella mera prefigurazione della inverosimiglianza dell’interpretazione recepita dalla corte di seconde cure. Specificamente mediante la prospettazione dell’asserito esito paradossale che l’interpretazione letterale della locuzione “case di alloggio” sortirebbe (il divieto precluderebbe la possibilità di adibire gli appartamenti condominiali ad abitazioni familiari).

In dipendenza del rigetto del ricorso principale e dei ricorsi incidentali i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali vanno in solido condannati a rimborsare ai controricorrenti Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma. le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

In dipendenza del rigetto del ricorso principale e dei ricorsi incidentali i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali vanno in solido condannati a rimborsare alla controricorrente Bo.Ad. le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Gli articolati rilievi dapprima svolti ai fini della reiezione degli esperiti mezzi di impugnazione danno ragione dell’insussistenza dei presupposti della mala fede ovvero della colpa grave perchè si possa far luogo – come da richiesta della controricorrente Bo.Ad. – a pronunce di condanna ex art. 96 c.p.c. (cfr. Cass. sez. un. 20.4.2018, n. 9912, secondo cui la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte nè la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate).

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, da parte dei ricorrenti incidentali M.G. e M. e da parte dei ricorrenti incidentali M.C. e B.L., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso principale;

rigetta il ricorso incidentale proposto da M.G. e da M.M.;

rigetta il ricorso incidentale proposto da M.C. e da B.L.;

rigetta l’istanza della controricorrente Bo.Ad. di condanna ex art. 96 c.p.c.;

condanna in solido i ricorrenti principali, “Hotel Invictus” s.r.l., “Hotel Solis” s.r.l., F.A., R.R. e A.P., ed i ricorrenti incidentali, M.G., M.M., M.C. e B.L., a rimborsare ai controricorrenti, Fe.Ma., C.R.P., Ca.Fl. e Ca.Bi.Ma., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;

condanna in solido i ricorrenti principali, “Hotel Invictus” s.r.l., “Hotel Solis” s.r.l., F.A., R.R. e A.P., ed i ricorrenti incidentali, M.G., M.M., M.C. e B.L., a rimborsare alla controricorrente, Bo.Ad., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali “Hotel Invictus” s.r.l., “Hotel Solis” s.r.l., F.A., R.R. e A.P., da parte dei ricorrenti incidentali M.G. e M.M. e da parte dei ricorrenti incidentali M.C. e B.L., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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