Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25138 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/09/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 16/09/2021), n.25138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2892-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F.(OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

SUMA FACTORY YACHT IN LIQUIDAZIONE SRL, in persona del liquidatore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAN GIACOMO

PORRO 1, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO ROSSOMANDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1710/2/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 28/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LA TORRE

MARIA ENZA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR del Piemonte, in contenzioso su impugnazione di avviso di accertamento per Ires e Irap e IVA anni 2009/2012, che ha accolto l’appello della contribuente, in riforma della sentenza di primo grado.

La Suma Factory Yacht, con socio unico, svolgente attività di progettazione, commercializzazione e costruzione di imbarcazioni (SFY), aveva realizzato un solo yacht, poi venduto alla società M&G Yacht, costituita dagli stessi soci; limitatamente all’anno 2008 aveva proposto interpello disapplicativo delle norme riguardanti le società di comodo, e l’Amministrazione aveva aderito, in ragione del fatto che nella indicata annualità non era ancora stata ultimata la costruzione del natante; nel 2012 la società era stata messa in liquidazione e nell’anno 2013 aveva subito il furto dello yacht, con conseguente estinzione del leasing costituito per acquistare l’imbarcazione; negli anni successivi non veniva effettuata da SFY alcuna dichiarazione sullo status di società di comodo, pur non risultando alcun ricavo.

L’Agenzia delle entrate, a seguito del rimborso IVA avanzato da SFY per l’anno 2009, aveva richiesto documentazione contabile dal 2006 – anno di costituzione della società- al 2012, anno in cui è stata messa in liquidazione, emettendo sette avvisi di accertamento e recuperando a tassazione il reddito, determinato ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, in base alle disposizioni sulle società di comodo.

La CTP di Torino aveva respinto il ricorso della società, con decisione riformata dalla sentenza oggi impugnata.

La CTR, delimitata la materia del contendere e sintetizzata la vicenda; preso atto che la società aveva sostenuto solo dei costi per la costruzione di un prototipo senza effettuare alcuna vendita, ha ritenuto che la presunzione legale derivante dall’omessa richiesta disapplicativi ex art. 30 cit., non abbia valenza di presunzione assoluta, per cui l’assenza di ricavi e la mancata utilizzazione dell’interpello disapplicativo derivano, “dall’evidenza degli eventi riportati, non dalla natura di una società di comodo ma di impresa che ha fallito gli obiettivi che si era proposta, compreso quello di ricorrere a una legittima tutela fiscale”.

Suma Factory Yacht, società uni personale, in persona del legale rappresentante pro tempore, come sopra rappresentata e difesa, si costituisce con controricorso; eccepisce la inammissibilità del ricorso per carenza di autosufficienza; l’infondatezza nel merito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Col l’unico motivo del ricorso si deduce violazione di legge, artt. 2728,2729 e 2697 c.c. e L. n. 724 del 1994, art. 30 ex art. 360 c.p.c., n. 3.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Va premesso che la L. n. 724 del 1994, art. 30, disciplina le società non operative, cioè quelle società che, salvo prova contraria, conseguono un ammontare di ricavi inferiore alla somma degli importi risultanti dall’applicazione dei coefficienti stabiliti dalla medesima disposizione. Trattasi di norma antielusiva, volta a disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società che, al di là dell’oggetto sociale, sono state costituite per gestire il patrimonio nell’interesse dei soci. Tali soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma, sono considerati di comodo e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative ed ai relativi adempimenti.

2.2. Trattasi di meccanismo di determinazione del reddito basato su presunzioni, che sono superabili con prova contraria, laddove il contribuente, in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli altri elementi rilevanti per la determinazione del reddito imponibile, può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive (Sez. V, n. 21358 del 2015, n. 16204/2018). Ne’ la normativa è in contrasto col principio di proporzionalità anche alla luce del diritto unionale (Cass. n. 16204/2018 cit.).

2.3. Con riferimento all’onere della prova, trattandosi di presunzioni, è sufficiente che l’avviso di accertamento dia atto dell’assenza di condizioni oggettive per la disapplicazione della normativa, mentre la prova contraria gravante sul contribuente riguarda dati oggettivi che possono venire indicati come elementi che hanno avuto una influenza sulla mancata produzione del reddito (Cass. n. 21358 del 21/10/2015).

Costituisce in sintesi principio consolidato quello secondo cui “In tema di società di comodo, la L. n. 724 del 1994, art. 30, al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci, ma poi, al successivo comma 4-bis, consente la presentazione dell’istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle “disposizioni antielusive”), in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1, così rispondendo all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione, lasciando nel contempo spazio al diritto di difesa del contribuente, sufficientemente garantito dagli strumenti del contraddittorio e dalla necessità di una motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento (Cass. 9852/2018).

2.4. La mancata proposizione dell’istanza di interpello non influisce sulla possibilità di impugnazione dell’avviso di accertamento (v. Cass. 2017 n. 18807).

2.5. Quanto alla nozione di “impossibilità”, per situazioni oggettive di carattere straordinario, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui alla disposizione in esame, essa va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Sez. V., n. 16204 del 20/06/2018, n. 5080 del 2017), e quindi si tratta di una prova che può essere fornita.

3. Nella fattispecie, la CTR ha ritenuto, con accertamento in fatto congruamente motivato e rispondente ai suindicati principi, che le situazioni di fatto accertate (ulteriori costi per l’ultimazione della nave, perizia che rilevava vizi di fabbricazione e conseguente contenzioso, scioglimento del contratto di leasing e dissidi fra i soci, cessazione della società, presenza di costi senza alcuna vendita), peraltro non contestate dall’Ufficio, fossero sufficienti ad integrare la prova contraria gravante sul contribuente.

3.1. Ne’ ha sul punto assume rilievo la doglianza della ricorrente sulla insufficiente prova, rientrando nei poteri del giudice di merito la loro valutazione ove, come nella fattispecie, risulti logicamente e congruamente motivata. Peraltro non si ravvisa la violazione delle norme in tema di riparto dell’onere probatorio, perché i giudici di appello, con un giudizio di fatto insindacabile in questa sede, hanno ritenuto che la società contribuente avesse fornito tale dimostrazione.

4. Il ricorso va conseguentemente respinto.

5. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 16.000,00 oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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